Ripristinare gli ecosistemi migliora l’umore: ecco perché nelle battaglie ambientali bisogna coinvolgere le comunità territoriali

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Ormai è noto: l’esposizione alle aree naturali genera benefici per la salute psicologica e promuove la salute fisica. Ma secondo uno studio scientifico scritto a più mani, Oltre la disperazione: Sfruttare il ripristino dell’ecosistema per la resilienza psicosociale, da poco pubblicato sulla rivista scientifica PNAS, ripristinare gli ecosistemi ha anche un potenziale importante e in gran parte ancora inutilizzato: quello di rendere possibile la trasformazione personale e sociale delle persone, oltre che il miglioramento della resilienza della comunità, contrastando soprattutto la percezione di essere testimoni impotenti del declino ambientale.

“È un argomento attuale e interessante quello del ripristino ambientale come modo per intervenire sugli effetti della società, sulla socializzazione, sull’attaccamento ai luoghi, sulla relazione”, commenta Alessandra Viola, scrittrice e giornalista scientifica.

Pensare “hope based solution”

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Fino ad oggi, gli obiettivi di ripristino e le misure di successo si sono storicamente concentrati su parametri ecologici, cioè sulla capacità dell’ecosistema di evitare punti di svolta o di resistere ai disastri, ma le prospettive recenti si concentrano sul potenziale del ripristino di trasformare anche individui e comunità, che invece la forte attenzione ai soli risultati ecologici può minare. “Si tratta di uno studio innovativo, che ci dà anzitutto l’opportunità di riflettere sul concetto di One Health, cioè il fatto che non possiamo pensare di separare la salute degli umani sia fisica che psicologica dagli ecosistemi in cui siamo inseriti”, spiega la prof.ssa Erica Salomone, docente di Psicologia dello Sviluppo all’Università di Milano Bicocca ed esperta di ecoansia. “Ma lo studio colpisce anche per il riferimento ai temi cardine dell’appartenenza del luogo e dell’ottimismo, due fattori fondamentali per contrastare il fenomeno sempre più prevalente dell’ansia climatica”. Coinvolgere le comunità diventa fondamentale per promuovere la capacità adattiva di prosperare in un ambiente in continua evoluzione e imprevedibile. “Il senso di efficacia, il senso di comunità e la speranza sono forse le reali risorse rinnovabili su cui dobbiamo puntare di più e sarebbe bello che questi aspetti entrassero sempre di più nei progetti dei ripristino cosa che ancora non c’è, per cui oltre a progettare gli aspetti tecnici, il design, le soluzioni basate sulla natura e la resilienza climatica forse potremmo parlare anche di hope based solutions, per coltivare davvero insieme la percezione di potercela fare”, nota Giorgio Vacchiano, prof. di Scienza Forestali all’Università di Milano..

La centralità del senso del luogo

Lo studio si concentra in particolare sul potenziale del ripristino per migliorare tre aspetti: il senso del luogo, l’ottimismo e le reti sociali. Il “senso del luogo” è la raccolta di significati, credenze, simboli, valori e sentimenti che individui o gruppi associano a una particolare località. Per questo, ricordano gli esperti, i progettisti devono evitare di fare progetti di restauro che erodano il senso del luogo esistente invece che migliorarlo. Il coinvolgimento diretto nel processo fisico di restauro può essere un’esperienza di creazione di un luogo, con una serie di effetti positivi anche coinvolgendo bambini e giovani. Fornire uno spazio fisico è un modo per consentire alle persone di utilizzare l’area restaurata come luogo di ritrovo per funzioni sociali, attività culturali o ricreative. Questo può significare, ad esempio, progettare le aree con un forte attaccamento emotivo da parte delle persone vicino a posti di accesso pubblico.

Sconfiggere l’ansia climatica recuperando (un po’) il controllo

Le attività di ripristino dell’ecosistema possono essere preziose per costruire la resilienza della comunità, perché uniscono le persone intorno a un senso condiviso di ottimismo, un tratto psicologico prezioso, e possono rappresentare un promemoria che non tutta la speranza è perduta. “L’ansia climatica”, continua la prof. Salomone, “è legata al fatto di non avere il controllo su ciò che sta capitando, un senso di agency: lo studio ci ricorda non solo che ci sono benefici nello stare nella natura, ma che c’è un effetto secondario, purché ovviamente si resti ancorati alla realtà: se noi prendiamo parte allo sforzo di ripristino di un ambiente, questo sforzo collettivo inserito in un contesto di comunità può avere un effetto più profondo proprio, rafforzando ancora di più il senso di autoefficacia, di sentirci competenti: è un’occasione, per adulti e bambini, di allenare competenze emotive e sociali che rappresentano fattori protettivi rispetto alla salute psicologica futura”.

Il senso di potenza porta all’impegno

Ciò è particolarmente importante, argomentano gli autori, in quest’epoca di incertezza ambientale e dolore, perché consente alle persone di credere che, nonostante la gravità delle sfide, le loro azioni fanno la differenza, che gli sforzi collettivi possano affrontare i torti del passato (mentre l’impotenza porta al disimpegno). Un esempio? Il ripristino delle barriere coralline di ostriche nell’Australia meridionale ha creato un forte senso di empowerment e ottimismo, spingendo il governo a espandere il programma a nuove linee costiere.

In conclusione: c’è un crescente interesse globale nel ripristino degli ecosistemi come strategie per contrastare il declino diffuso dell’habitat e della biodiversità, ma servono ulteriori ricerche per comprendere i contesti in cui è più probabile che il restauro migliori la resilienza psicosociale, gli effetti di diversi metodi di inclusione della comunità in vari fasi di restauro, le conseguenze di forme di restauro non inclusive, in particolare laddove vi sia un disallineamento tra gli obiettivi degli progetto e le esigenze delle comunità. Serve anche capire, nel ripristino, perché stiamo cercando di costruire resilienza e per chi stiamo cercando di costruire resilienza. Occorre infine operare per cambiare, a livello più strutturale, la convinzione che esseri umani e ambiente siano entità separate.

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