Il nome “Jambon de Bosses” ci porta subito a pensare al celebre prosciutto spagnolo, saporitissimo e stagionato a lungo. Si tratta però di un semplice caso di assonanza perché questo è un prosciutto italiano, precisamente valdostano e la sua storia inizia nel 1300. Siamo nel comune di Saint-Rhémy-en-Bosses, l’ultimo prima del confine svizzero. Qui nel mese di luglio si festeggia, con una sagra dedicata, il prezioso Jambon de Bosses.
Un prosciutto noto già sulle tavole medioevali
Ci troviamo nella Valle del Gran San Bernardo, un punto strategico sin dall’epoca romana. Siamo nel Medioevo, precisamente nel 1397 quando lo Jambon viene citato per la prima volta per iscritto. Negli antichi registri di vendita e scambio si parla di “tybias porci”, l’antenato dell’attuale prosciutto che è arrivato fino ai giorni nostri grazie alla piccola comunità di Saint-Rhémy che ne ha conservato la ricetta. Un tempo era usanza portare in alpeggio anche i maiali insieme alle mucche che erano nutriti con foraggio di montagna e scarti di lavorazione della Fontina. Proprio nei fienili venivano fatti stagionare questi prosciutti in sacchi di iuta e aromatizzati con bacche e spezie locali.
Jambon o Jamon? Parenti differenti
“I nomi possono sembrare simili ma i prodotti sono molto diversi, anche al livello gustativo. Il nostro è molto fragrante, vellutato e morbido con una quantità di umidità elevata” spiega Enrico Meta – socio e fondatore insieme a Bruno Fegatelli – di De Bosses, uno dei produttori più stimati dello Jambon. “La nostra azienda nasce nel ’99 con la partecipazione del comune di Saint-Rhémy-en-Bosses per valorizzare una delle otto DOP della Valle d’Aosta. Tutto inizia grazie a una vera e propria esigenza di far sopravvivere questo prodotto storico, farlo uscire dalla produzione casalinga e dal consumo familiare che per anni ha tramandato i saperi della lavorazione delle carni suine. La capacità di salare le carni era nota già all’epoca dei romani ma la nostra ricetta è differente. Grazie agli abitanti del territorio e ai monaci questo prodotto si è trasformato in uno dei prosciutti crudi più apprezzati dagli italiani e nel mondo”.
Un prosciutto stagionato in alta quota
Il prodotto è prezioso però nel 1950 stava scomparendo, finita la guerra i villaggi si svuotavano sempre di più, molti si spostavano in città più grandi. Lo Jambon era realizzato perlopiù dalle famiglie e nelle case. Così, proprio ad un passo dalla scomparsa, ci si è resi conto che questa sapienza andava salvaguardata. “Grazie all’arrivo della certificazione DOP, alle ricerche storiche e all’impegno della comunità il nostro prosciutto è ancora oggi conosciuto. Tutto, dal cibo con cui si nutrono i suini fino alle erbe aromatiche, deve essere prodotto nel nostro territorio. Ma l’elemento che più caratterizza il nostro prosciutto è che viene prodotto a 1.600 metri di altitudine, ed è proprio il particolare microclima che caratterizza e differenzia il nostro prosciutto dagli altri”.
Cosa distingue lo Jambon dal classico prosciutto?
“La stagionatura minima è di 13 mesi ma si arriva anche ai 16 o ai 18. Deve mantenere il gambetto che solitamente è inclinato di 45 gradi. A differenza di altri prosciutti ha il castello, ovvero la parte davanti della coscia. Caratterizzato da una corona giallo paglierino e un grasso solido. Proprio la qualità del grasso garantisce una buona stagionatura e in degustazione aromi particolari e caratterizzanti. Al palato dolce con una nota di selvatico grazie alle erbe valdostane”.
Un prosciutto da mangiare in purezza
Un prodotto unico, che si presta a un particolare tipo di utilizzo. “Sicuramente il miglior modo per degustare il nostro prosciutto è in purezza, così da apprezzarlo al meglio. Il modo più tradizionale prevede invece l’accompagnamento con il pane nero di segale e burro, che un tempo era appannaggio dei ricchi come anche la frutta secca per un gioco di dolce e salato”. L’80% della produzione è assorbita dalla Valle D’Aosta quindi “per assaggiarlo dovete venire qui da noi. C’è la possibilità di organizzare visite guidate nello stabilimento di produzione”.
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