Cosa sta succedendo in Congo e perché la stabilità dell’Africa centrale interessa anche noi

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È da oramai qualche giorno che arrivano notizie sempre più drammatiche dal fronte africano, relativamente a quanto sta accadendo nei territori del Ruanda e del Congo, che rappresenta non tanto un episodio isolato, quanto una parte consistente di un conflitto storico oramai radicato e mai completamente risolto.

Per comprendere meglio ciò di cui si parla, dobbiamo fare un salto indietro e analizzare alcuni dei punti salienti nell’intera vicenda.

L’antefatto storico e gli sviluppi fino ad oggi

Come drammaticamente tutti ricordano, nel 1994 ebbe luogo uno dei più sanguinosi genocidi del nostro secolo, ovvero quello ruandese. E fu proprio in quel momento che si verificò una diaspora del popolo del Ruanda, nel momento in cui molti degli artefici delle atrocità trovarono rifugio nella Repubblica democratica del Congo, dopo la vittoria degli uomini di Paul Kagame, tuttora al potere. Ed è da quel momento che la regione orientale del Congo è diventata un vero e proprio campo di battaglia per numerosi gruppi armati, che operano tra l’altro forti di una assenza quasi totale dello Stato congolese. Ed è qui che entra in scena il cosiddetto M23, gruppo armato già attivo nel passato e che, nel giro di pochi giorni, ha recentemente portato alla conquista di uno dei centri più importanti della regione orientale del Congo. E di qui, inevitabilmente, il possibile coinvolgimento del paese ruandese accusato da alcuni di sostenere questi nuovi ribelli.

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Ecco quindi che dopo poco più di trent’anni la storia sembra ripetersi, causando un grande scombussolamento in territori già fortemente scossi e mai del tutto ripresisi dalle battaglie interne degli anni Novanta e in cui l’autorità politico-istituzionale appare assai debole.

Ma ora, oltre ad una motivazione per così dire ‘razziale’, pare aggiungersene un’altra ben più rilevante, ovvero quella relativa alla ricchezza mineraria del sottosuolo congolese (dal tungsteno allo stagno al tantalio, tutti rilevanti nel settore elettronico), che ha addirittura portato ad una causa con la società Apple, accusata di aver ottenuto minerali illegalmente nella regione.

I tentativi di riequilibrio da parte di attori interni ed esterni al continente

Si comprende bene perciò che lo scontro in atto riveste una rilevanza assoluta sulla scena internazionale, sia da un punto di vista di capitale umano che di risorse economiche. Ed è esattamente questo che giustifica l’intervento di diversi attori, sia dentro che fuori dal continente, i quali intendono porsi quali punti di riferimento in un processo di ri-stabilizzazione della situazione nell’area dell’Africa centrale.

Sul fronte internazionale, l’ONU ha definito tale situazione una “crisi dei diritti umani e una crisi umanitaria”, sottolineando l’atrocità delle azioni messe in atto dai ribelli, nonostante una certa immobilità in termini di azione pratica, almeno fino a questo momento.
Sul piano regionale, invece, sono diversi i Paesi africani che hanno cercato di promuovere il dialogo, in particolare il Kenya e l’Angola, che hanno provato a mediare tra i vari poteri coinvolti, sebbene senza risultati significativi, finora.

La presenza estera nel continente e le possibili soluzioni offerte dall’Italia con il Piano Mattei

Va poi ricordato che in Africa esistono forti presenze straniere, su tutte Cina e Russia, che stanno esercitando una sempre maggiore pressione sull’intero territorio. E in maniera non sempre positiva.

È bene a questo punto far presente che, straordinariamente, l’Italia con Giorgia Meloni si sia posta da tempo quale attore in grado di riequilibrare la situazione generale vissuta dall’Africa, specificamente attraverso il Piano Mattei, un progetto lungimirante che mira al perseguimento della stabilità e della ricostruzione di quei paesi troppo spesso sottovalutati e troppo spesso sfruttati, con l’obiettivo ulteriore di portare un significativo valore aggiunto alla popolazione locale, che è soprattutto in una situazione del genere, stretta tra conflitti interni e pressioni esterne, a rischiare di rimanere soffocata, senza possibilità di fuga.

Ecco perciò che l’implementazione e la continuazione del Piano ad oggi non solo appare utile, ma anche necessaria. Perché, probabilmente, con una migliore e maggiore cooperazione tra le due sponde del Mediterraneo (e di altri attori che condividono la stessa visione italiana) sarà possibile arginare-e financo eliminare- questi e ulteriori fronti di crisi interne e finalmente consegnare ai paesi africani la prosperità che meritano.

La speranza è dunque che questo progetto internazionale si possa concretizzare e implementare nel migliore dei modi e nel più breve tempo possibile, perché appare chiaro-ora come non mai- che sia proprio il nostro Paese uno dei soggetti più affidabili in grado di offrire una risposta seria e autorevole per risollevare l’Africa dal suo stato di precarietà.

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E vale altresì la pena evidenziare che il conflitto in Africa, parimenti a quello in Ucraina e in Medio Oriente, deve essere debitamente tenuto in considerazione, non solo a livello mediatico, ma anche e soprattutto politico internazionale, dal momento che è uno scontro che si sta vivendo alle porte dell’Europa (e dell’Italia in particolar modo), e, volente o nolente, coinvolge alcune delle più grandi potenze di oggi, oramai radicate sul territorio.

Non può più essere perso del tempo, ma occorre quanto prima arginare le ostilità, costruendo parallelamente un sistema di relazioni improntate all’uguaglianza e alla parità dei soggetti coinvolti, al di qua e al di là dei confini africani. E in questo quadro complesso, il Piano Mattei si inserisce a pieno titolo quale soluzione innovativa per il raggiungimento della pace e della stabilità dell’intero continente africano.