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Sono passati cento giorni dalle disastrose alluvioni iniziate il 29 ottobre 2024 nella Comunità Valenciana, in Spagna, che causarono la morte di almeno 227 persone e danni stimati per almeno 17 miliardi di euro. In oltre tre mesi le macerie e il fango sono stati rimossi dalle strade, e i rottami delle automobili sono stati spostati altrove. Con l’eccezione di questi aspetti immediatamente visibili, però, in molte delle località più colpite siamo ancora lontani dalla normalità. Migliaia di persone non sono ancora tornate nelle loro case e, nonostante un massiccio stanziamento di fondi pubblici, è continuato lo scontro politico tra l’amministrazione regionale e il governo centrale che ha minato la collaborazione istituzionale nella fase successiva all’emergenza.
Rispetto alla situazione di un mese dopo le alluvioni non sono cambiate le cifre degli aiuti ma solo le percentuali della loro erogazione. È più chiara e precisa la contabilità dei danni, ma i problemi sono rimasti grossomodo gli stessi.
– Leggi anche: I problemi che rimangono a Valencia a un mese dalle alluvioni
Nella zona alluvionata sono stati dichiarati inabitabili 523 edifici e palazzi. Per 313 i danni sono così gravi che non si può fare nulla per sistemarli, e dovranno essere demoliti. Più di 2mila alloggi sono ancora inabitabili, ma anche molte delle case considerate agibili sono state danneggiate e serviranno degli interventi per sistemarle.
I comitati delle persone alluvionate hanno segnalato che 4.600 ascensori negli edifici danneggiati sono ancora fuori servizio. Per le persone anziane o con problemi di mobilità significa non poter uscire di casa, o non poterci tornare. Le spese per sistemare gli impianti vanno dai 2mila a diverse decine di migliaia di euro, cifre che molti condomìni non possono permettersi.
Questa situazione ha portato migliaia di persone a doversi trasferire nelle case di parenti e amici, dove ancora si trovano. C’era un problema preesistente di penuria di alloggi, che si è aggravato: scarseggiano anche le sistemazioni offerte dall’amministrazione locale. «Qui la vita non è tornata normale. Fuori, per la strada, può sembrarlo, ma dentro casa no», ha detto al quotidiano La Razón un uomo di 77 anni che ha dovuto lasciare la sua abitazione ed è stato accolto a casa di sua figlia.
Oltre alle abitazioni sono state danneggiate più di 8mila attività economiche e commerciali, il 70 per cento delle quali in modo grave. Quasi la metà (il 40 per cento) non ha ancora riaperto. Nella zona alluvionata circa 32mila lavoratori ricevono un’indennità simile alla cassa integrazione (l’ERTE). Anche tante scuole non sono ancora tornate agibili: circa 48mila studenti, di 115 istituti scolastici, non hanno più ripreso le lezioni in presenza (sono continuate regolarmente ma online o con il trasferimento degli alunni in altre scuole). Venti fermate della metro sono ancora chiuse, e più di 90mila automobili devono essere rottamate, una procedura che sta procedendo a rilento.
In tutto il governo centrale ha stanziato 16,6 miliardi di euro di aiuti, di cui solo un ottavo, 2,2 miliardi, è stato erogato. Il versamento dei fondi regionali è stato più veloce: sono stati già assegnati 337 milioni degli 897 stanziati (più di un terzo del totale). Il governo ha anche messo a disposizione 25mila tecnici e funzionari, e inviato 9.700 agenti. Per fare un confronto, per le alluvioni in Emilia Romagna del maggio del 2023 furono erogati in tutto aiuti per 1,6 miliardi di euro.
Oltre ai problemi immediati ce ne sono altri di lungo periodo. Sugli oltre 80 comuni colpiti dalle alluvioni, 28 sono ancora formalmente in stato d’emergenza. I tecnici regionali hanno mappato il territorio inondato, concludendo che poco meno di un quinto del suolo non sarà bonificabile. Secondo uno studio dell’Universitat Politècnica de València, il livello dell’acqua aveva superato il metro d’altezza in un’area che copre complessivamente 10 chilometri quadrati, e i 2 metri di altezza in un’area di 2,8 chilometri quadrati.
Negli ultimi tre mesi ci sono state quattro proteste molto partecipate in cui i manifestanti hanno chiesto le dimissioni del presidente della Comunità Valenciana, Carlos Mazón, contestando gli errori e i ritardi della sua amministrazione regionale prima e dopo le alluvioni. Tra questi c’è il fatto che il messaggio d’allerta del sistema di allarme pubblico Es-Alert venne inviato agli abitanti delle zone a rischio a sera inoltrata, quando già pioveva da ore, nonostante gli avvertimenti diffusi nei giorni precedenti dall’Agencia Estatal de Meteorología (AEMET).
Mazón non ha mai voluto incontrare i comitati delle persone alluvionate, né chiarire cosa fece il pomeriggio dell’alluvione, quando risultò irrintracciabile per diverse ore.
Dopo una prima fase di stretta cooperazione col governo centrale del primo ministro Pedro Sánchez, Mazón ci ha perlopiù litigato, rimpallando le responsabilità di ciò che non aveva funzionato. Ci sono anche ragioni politiche: Mazón è un esponente del Partito Popolare, il principale partito di centrodestra e dell’opposizione al governo dei Socialisti di Sánchez. A livello nazionale, i Popolari e il partito di estrema destra Vox chiedono che venga istituita una commissione d’inchiesta parlamentare, che intendono usare come strumento politico per danneggiare i Socialisti.
Le discussioni politiche e la scarsa collaborazione istituzionale hanno accresciuto il senso di frustrazione e di abbandono degli abitanti dei posti più colpiti. Il più noto è Paiporta, dove nei giorni immediatamente successivi all’alluvione ci fu la protesta, infiltrata da attivisti di estrema destra, contro Sánchez, Mazón e il re di Spagna Felipe VI, che erano in visita. Cento giorni dopo a Paiporta hanno chiuso i punti di distribuzione degli aiuti, anche se ci sono ancora volontari che preparano i pasti. Diverse persone intervistate dai giornali locali hanno raccontato di avere avuto problemi d’ansia, da allora.
– Leggi anche: Cosa non ha funzionato prima e dopo le alluvioni a Valencia
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