“Da Trump follia, ma leggiamo tra le righe, dice 100 per ottenere 50”

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Vive da quindici anni sotto scorta, ma di lui le televisioni e i talk show si occupano poco: Emanuele Fiano, ex parlamentare Pd, ex presidente della comunità ebraica di Milano, è la mente – e spesso anche il braccio – di Sinistra per Israele.

Le dichiarazioni di Trump su Gaza sono sorprendenti. In che direzione vanno?
«Sembrano proposte da rigettare completamente. Va tenuto conto che siamo in presenza di un leader mondiale che ha un modo di proporsi forse più consono alle trattative commerciali che diplomatiche. Il suo metodo è quello di sparare alto, di mettere l’asticella più in alto possibile – come gli abbiamo già visto fare sull’idea di occupare il canale di Panama – per poi trattare e arrivare a dare un segnale».

Fare di Gaza una riviera turistica, dunque, è solo una boutade?
«È una idea, per come è stata esternata, oltre che indecente, inapplicabile. Prima di tutto perché forse Trump non si rende conto di cosa significhi portare via 2,3 milioni di persone da un posto. E poi perché i paesi con cui avrebbe intenzione – giustamente – di rinnovare gli Accordi di Abramo, l’Arabia Saudita, l’Egitto e la Giordania hanno tutti rigettato l’ipotesi. Questo non vuol dire però che Trump non abbia individuato un problema reale».

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Intende dire che la ricostruzione di Gaza non può farsi con la presenza di quella popolazione sulle macerie della città preesistente?
«Quando noi abbiamo avuto tremendi terremoti, in questo paese, abbiamo avuto il problema di dove ricollocare qualche migliaio di persone. E quando si ricostruisce dopo una guerra è anche peggio che dopo un terremoto, c’è materiale bellico, chimico. In ogni caso ci vogliono molti anni e farlo con la popolazione sul posto diventa spaventoso. Se c’è un milione e mezzo di persone senza casa, limitarsi a dire che devono accamparsi per anni sopra alle macerie non è un problema di secondo piano».

Qui però sembra di assistere a una partita a Risiko che diventa Monopoli. Spostato l’esercito, si tira il dado e si costruiscono gli alberghi…
«Nei termini in cui la vicenda viene raccontata infatti siamo al grottesco. Se Trump intendesse davvero liberarsi della popolazione per fare posto a un investimento per le vacanze, saremmo davanti a una follia».

Che ci sia dunque un sottotesto, si chiede cento per avere cinquanta?
«Penso sia così. Come fu per la risoluzione 1701 del 2006 che riguardava il Sud del Libano: tacciano le armi, bisogna togliere Hamas e le sue milizie armate da lì. Bisogna rifare quella risoluzione per Gaza. Quindi il primo sottotesto è secondo me un messaggio ai paesi arabi: “Occupatevi seriamente di questa questione”. Altrimenti se ne occupa lui. E poi ricordiamoci, uno dei motivi che portò al successo del percorso di pace del 1993 è che alla metà degli anni Ottanta, mentre Beghin e Sharon volevano rimanere in Libano e Arafat era asserragliato a Beirut, si fece un accordo affinché Arafat andasse a Tunisi. Spostando con lui tutto lo stato maggiore Olp a molti chilometri di distanza. E così avvenne. Fu un fattore di distensione, perché alla fine – raffreddato il clima, sterilizzata la ferita – le parti ricominciarono a parlare e trovarono negli anni seguenti un accordo per una pace stabile. Se c’è una strategia che mira a stemperare le tensioni e disarmare Hamas, molto bene. Se la famiglia Trump vuole fare un investimento miliardario, e fare di Gaza una nuova Dubai, no di certo».

Del resto, speriamo che il cessate-il-fuoco si consolidi, in questo periodo…
«Siamo in una situazione di pace apparente, fragilissima. Molto meglio della guerra, naturalmente. Per tutti. Bisogna riuscire a mettere le basi per le successive fasi, che rispondono ai temi di cosa fare a Gaza, come ricostruirla, come governarla. Parlo di cose che succederanno nei prossimi quindici anni, ma bisogna pensarci adesso. E va rassicurato Israele, deve sapere che non tornerà un nemico lì, perché altrimenti tornerà la guerra e sarà ancora più catastrofica».

Usciamo dal perimetro di Gaza? Il problema è a monte, finché c’è l’Iran e il suo asse del male che arma, forma e finanzia Hamas, Outhi e Hezbollah, è inutile iniziare i lavori per la riviera…
«Dobbiamo allargare lo sguardo sulla scacchiera. Iran vuole dire anche Russia. E la Russia guarda all’esito della sua guerra in Ucraina, su cui Trump ha promesso dei passi avanti a breve. La Russia e l’Ucraina hanno detto per la prima volta di essere pronte a un colloquio. Trump nella trattativa con la Russia metterà anche una clausola sulla stabilità nel quadro mediorientale. Abbiamo già visto questo ruolo nella guerra civile siriana. L’Iran ha detto in queste ore che con Trump è disponibile a parlare anche sulla questione nucleare».

Scenari internazionali importantissimi, siamo a un voltapagina della storia. Ne parlerete al congresso di Sinistra per Israele?
«Sì, certamente. Partendo dallo scopo per cui questa associazione è nata, nel 1967, fondata da militanti della sinistra storica, ebrei e non ebrei del Pci e Psi. La visione della sinistra italiana deve essere rivolta al fatto che in Medio Oriente si scontrano due diritti, e non un diritto ed un torto. Chiunque insista su una visione che vede un torto e una ragione va contro la pace. Israele e Palestina sono due popoli e devono avere due Stati. Difficile da concepire adesso, ma è il punto di approdo. E siamo orgogliosi di far sì che al nostro congresso vengano a parlare il segretario dei democratici israeliani, che ha unificato laburisti e sinistra socialista e il rappresentante dell’Autorità nazionale palestinese presso il Consiglio d’Europa».

Certo va ricucito, il rapporto tra sinistra e Israele. Non è facile.
«La frattura nasce da lontano, dalla guerra del 1967. Il Pci ruppe, schierandosi con l’Egitto alleato dei sovietici. Sarà Giorgio Napolitano, responsabile esteri del Pci, fu il primo esponente comunista italiano a fare un viaggio in Israele. Poi il lavoro di Piero Fassino, che ha portato i laburisti israeliani nell’internazionale socialista. Oggi quel lavoro va ripreso con maggior vigore, viviamo in un momento particolare. Ma ricordo che anche Beppe Provenzano, attuale responsabile esteri del Pd, è andato in visita in Israele dopo il 7 ottobre».

C’è un elemento allarmante, però, l’esplosione dell’antisemitismo.
«Sì, in tutto l’Occidente, legata alla guerra che si è appena fermata. Una malapianta sempre esistente che ha sinusoidi che esplodono quando in Medio Oriente si riaccende la tensione. Un problema molto pressante, se lo chiede a me: vivo sotto scorta da quindici anni. E pensare che una donna anziana come Liliana Segre, sopravvissuta ai campi di Auschwitz come mio padre (Nedo Fiano, ndr.) debba vivere sotto scorta, deve farci riflettere. Il suo è un caso unico in Europa».

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C’è qualcosa, su questo, che vuole dire alla sinistra?
«Sì, le vogliamo dire: bisogna stare molto attenti all’uso delle parole che trascendono. Le critiche al governo Netanyahu sono legittime, salvo produrre quel fenomeno di inversione storica per cui si induce qualcuno a dire: “Eravate le vittime, ora siete voi gli aguzzini”. Questa violenza sulle parole e poi sulla verità storica dei fatti, tesa a generare odio, confondendo spaventose tragedie di guerra con la Shoah, non aiuta nessuno».

Come chi parla di genocidio…
«Parlare di genocidio a Gaza è sbagliato, storicamente e politicamente. Perché se si ripete che tutto è genocidio, niente lo è più davvero. La guerra civile in Siria ha prodotto 550.000 vittime in pochi anni, nessuno ha parlato di genocidio, nessuno ha tirato in ballo i nazisti e tutto quell’armamentario lessicale. Rivolgerlo solo contro gli ebrei ha un significato preciso. E terribile».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.

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