Pfas in Veneto: in aula il processo (senza telecamere), fuori la manifestazione. “Chiediamo una giustizia non annacquata”

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“Chi tace davanti a un crimine è complice, ma noi non vogliamo diventare complici e chiediamo una giustizia che non sia annacquata”. Suor Vittoria, della diocesi di Padova, responsabile della pastorale del lavoro del Triveneto, interpreta così l’orientamento della chiesa di fronte all’inquinamento da Pfas che ha avvelenato le acque in tre province del Veneto, coinvolgendo 350mila persone. Le sue parole sono già una sentenza, almeno morale, visto che vengono pronunciate davanti al Tribunale il giorno dopo l’inizio della requisitoria nel processo per disastro ambientale, entrato ormai nella fase decisiva. Dopo quattro anni e l’interrogatorio di trecento testimoni, il pubblico ministero Paolo Fietta ha sostenuto la responsabilità dolosa dei dirigenti delle aziende che si sono succedute a capo della Miteni di Trissino, considerata la fonte della colossale adulterazione di una delle falde più grandi d’Europa, che scorre nel sottosuolo del Veneto. Il 13 febbraio sarà il suo collega Hans Roderich Blattner a concludere l’atto d’accusa, formulando le richieste di condanna.

L’intervento di suor Francesca si è tenuto davanti ad alcune centinaia di esponenti della società civile che si sono dati appuntamento per una due giorni di discussione e presidio, volutamente ritardata rispetto all’udienza di giovedì, così da non turbare lo svolgimento del rito penale. Già l’avvio dell’udienza è stato segnato dalla decisione della presidente della corte d’Assise che ha limitato soltanto a mezz’ora la possibilità di riprese televisive in aula. Quello che è un appuntamento memorabile sul fronte dei reati ambientali è stato in buona parte oscurato, almeno rispetto alle registrazioni video. A rimanere con la bocca asciutta sono state, oltre alla Rai, anche Al Jazeera, che sta realizzando un’inchiesta sull’inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche, e France Presse. Una segnalazione è stata inviata all’Ordine dei giornalisti del Veneto, perché l’esercizio del diritto di cronaca è garantito non solo dalla presenza dei cronisti, ma anche dall’utilizzo delle telecamere.

Per il momento Fietta ha sostenuto l’esistenza dei reati di avvelenamento delle acque e di disastro innominato. I dirigenti della Miteni (gli imputati sono una quindicina) sarebbero stati consapevoli dei danni che venivano provocati dalle fuoriuscite di liquido contenente Pfas e Pfoa, che dal sottosuolo si trasferiva alla falda. L’esito di verifiche tecniche sarebbe stato nascosto, anche per consentire la vendita della società, che nel 2009 fu ceduta da Mitsubishi (fino al 1996 socia con Enichem) alla lussemburghese Icig. “Miteni voleva avere il primato mondiale della produzione di queste sostanze, per questo il rischio non venne reso noto” ha sostenuto il sostituto Fietta. Tra una settimana sapremo per quali imputati verranno ritenute esistenti le prove di colpevolezza individuale, mentre la responsabilità dell’azienda sembra ormai fuori di discussione.

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La mobilitazione davanti al palazzo di giustizia è stata promossa dalle Mamme No Pfas. “Chiediamo il rispetto di diritti incontestabili e negati: alla vita e a un futuro in salute per noi e per i nostri figli, all’acqua pulita, al cibo sano, al lavoro in un ambiente che permetta di guadagnarci da vivere senza doverci ammalare e morire. Il processo deve tenere conto che la nostra falda è stata irrimediabilmente avvelenata e ci attendiamo una sentenza che riconosca quanto ci è stato tolto in tutti questi anni di tragica contaminazione”. Hanno aderito alcuni sindaci della zona interessata, rappresentanti di movimenti ambientalisti (Greenpeace, Legambiente, Italia Nostra, Pfas.Land), sindacali (Cgil), politici (Verdi, Cinquestelle, Pd) o dediti alla salute (Isde). Ampio spazio è stato dato agli interventi degli allievi dell’istituto tecnico industriale “De Pretto” di Schio che hanno condotto una ricerca (“Pfas fuori dalle scatole”) che punta ad individuare gli inquinanti presenti negli imballaggi da alimenti. Dai ragazzi è partito l’appello alla messa al bando delle sostanze perfluoroalchiliche che causano tumori, infertilità e varie patologie, a chi le assume attraverso l’acqua. Chiedono un monitoraggio costante della salute e la bonifica delle aree compromesse. “Purtroppo vediamo attorno a noi tanta indifferenza, mentre ci riguarda tutti il diritto all’acqua, che è essenziale per il nostro benessere e per quello del nostro pianeta”.

“Quello che si è consumato in Veneto è uno dei casi più gravi di adulterazione da Pfas, che una nostra ricerca ha individuato in tante altre località italiane” ha denunciato Giuseppe Ungherese, responsabile delle campagne di Greenpeace Italia. “Serve una mobilitazione generale perché la salute è un bene di tutti: dove sono tanti amministratori regionali e locali che pure si sono costituiti parte civile?” ha aggiunto Laura Facciolo delle mamme No Pfas. “Siamo ad un passo dalla verità giudiziaria per il più grande disastro ambientale che il nostro Paese abbia conosciuto” hanno detto Renzo Masolo e Andrea Zanoni, consiglieri regionali di Europa Verde. “La sentenza deve stabilire le responsabilità, ma purtroppo non lo può fare in modo esauriente, visti i danni causati a tante persone. La bonifica del sito Miteni non è ancora iniziata e l’inquinamento si è esteso. L’Europa si è mossa, ma l’Italia ancora non s’è desta”.

Da Bruxelles, l’eurodeputata Verde Cristina Guarda ha mandato un messaggio: “Dall’Europa arriva una buona notizia. La petizione presentata da un cittadino tedesco, che chiede il divieto universale dei Pfas, ha ottenuto l’appoggio della Commissione Petizioni. Ciò dimostra che in Europa può esistere una maggioranza a favore del divieto totale, tuttavia la proposta di restrizione universale, avanzata da Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia, sta subendo un rallentamento inaccettabile a causa delle lobby del settore chimico, che stanno investendo milioni per bloccare il divieto”.



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