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Per la serie «fermiamo Elon Musk» – uno slogan che fa quasi l’unanimità in Europa – l’ultima ondata di indignazione è stata suscitata dai primi passi del suo DOGE (Department of Government Efficiency).
Ne ricordo i principali.
L’accesso al sistema di pagamenti centralizzato presso il Tesoro.
I licenziamenti incentivati nella burocrazia federale.
La chiusura, o annunciata chiusura, di alcuni enti pubblici.
Molte di queste iniziative sono ancora allo stadio di annuncio, alcune sono già bloccate dalla magistratura in seguito ai ricorsi. (Come per il Trump Uno nel 2017 è la magistratura che al momento si sta confermando il contro-potere più forte e più rapido di tutti).
Le resistenze che il DOGE incontra sono enormi. Per capire il terremoto che sta accadendo, lo scalpore e lo scompiglio, la forza delle controreazioni che si sono scatenate, è utile fare un passo indietro e situare questi avvenimenti su uno scenario più ampio.
Lascio da parte in questa analisi altri aspetti del potere di Musk su cui posso avere le mie riserve. Mi concentro sul suo assalto al bilancio federale, che è al centro dell’attenzione in questi ultimi giorni.
In sintesi: Musk sta tentando una Mission Impossible, ridurre una spesa pubblica monumentale, ipertrofica e resistente a ogni riforma; tagliare gli sprechi; snellire la burocrazia. È un compito di cui tutti parlano nel mondo intero, nessuno ci riesce (nel suo piccolo va seguito l’esperimento di Javier Milei in Argentina, abbastanza simile nella sua ispirazione ma minuscolo per dimensioni, al confronto).
Non è da oggi che le «spending review» falliscono sotto ogni latitudine. A far dimagrire la spesa pubblica americana ci provò il presidente repubblicano Ronald Reagan negli anni Ottanta, il campione del neoliberismo, ma i risultati effettivi furono molto più modesti di quanto si crede.
In Italia anche governi tecnocratici come quelli di Monti e Draghi non sono riusciti a piegare le grandi corporazioni burocratiche, le lobby e i poteri forti che presidiano le rendite parassitarie della spesa pubblica. E questo nonostante la diffusa insoddisfazione per la qualità scadente o declinante dei servizi che riceviamo in cambio delle nostre tasse: una lamentela universale, sotto ogni latitudine e sotto governi di ogni colore politico.
Musk viene descritto come il Demonio del nostro tempo, Mefistofele, Belzebù, il Male Assoluto, il Grande Satana: un pericolo per la democrazia, per la pace mondiale eccetera. Voglio sottoporre alla vostra attenzione questa ipotesi: una parte, almeno una parte dell’allarme e del panico viene proprio da quel vasto mondo di beneficiari dello statalismo, a cominciare dai tecnocrati e burocrati che comandano flussi di ricchezza immensi, i pagamenti pubblici dell’economia più ricca del pianeta. Poco più avanti troverete dei dati illuminanti, da una fonte al di sopra di ogni sospetto.
Le ultime accuse contro Musk in America vengono soprattutto dal mondo della pubblica amministrazione, tecnocrati e burocrati che difendono la logica interna del sistema e la continuità delle procedure. Musk è un «marziano» sbarcato in questo sistema: viene dalla parte più innovativa del capitalismo americano, l’industria digitale della Silicon Valley dove l’aggettivo «disruptive» – dirompente – ha un’accezione positiva. Abbattere le tradizioni, sconvolgere equilibri consolidati, rimettere in discussione le procedure ereditate, fa parte del Dna delle start-up.
La storia dell’imprenditore Musk fu segnata da scontri memorabili con la pubblica amministrazione.
La SpaceX di Musk dovette farsi strada contro le resistenze dell’agenzia spaziale Nasa: questa era abituata a strapagare un dinosauro industriale come Boeing, con contratti di lunghissimo termine che a posteriori si sono rivelati disastrosi: per le missioni spaziali americane che soffrirono gravi ritardi, per il contribuente, per la stessa Boeing la cui vitalità fu devastata dalle rendite parassitarie. Oggi Boeing è un’azienda malata (e riconosciuta colpevole di crimini da sentenze penali definitive), la Nasa ha finito per affidare a SpaceX molte delle missioni spaziali, con risultati migliori e costi inferiori. Quello fu un antefatto formativo per l’atteggiamento con cui Musk affronta la missione del DOGE di snellire la burocrazia e ridurre la spesa pubblica. Lo fa con l’atteggiamento di un nuovo azionista privato che entra in un’azienda e la «ripulisce» dagli sprechi. Senza guardare in faccia a nessuno. Persino nel privato queste operazioni sono impopolari, figurarsi nel pubblico.
Un’altra ispirazione dietro le sue polemiche contro la burocrazia viene dalla pandemia, quando si scoprì che il Tesoro versò una miriade di aiuti pubblici a soggetti poi riconosciuti colpevoli di frodi.
Anticipo le obiezioni più diffuse. Lo Stato non è un’azienda privata, non lo si può gestire con gli stessi metodi. D’accordo, ma fino a un certo punto. Troppo spesso questa obiezione – valida in astratto – nella realtà concreta diventa lo scudo e l’alibi per trasformare gli statali in una categoria privilegiata, immune dalle richieste di produttività, rendimento ed efficienza, a cui sono sottoposti i dipendenti del privato. Così, quando un «sovversivo» come Musk tenta di dare l’assalto agli sprechi, scatta l’obiezione che «non agisce nel rispetto delle leggi». Salvo che tra queste leggi ci sono stratificazioni normative che generazioni di politici hanno accumulato per legittimare la spesa e creare nuove burocrazie. Sicché «rispettare le procedure, seguire i precedenti, non toccare i diritti acquisiti», diventa la garanzia dell’immobilismo.
Per capire la gravità del problema che Musk cerca di affrontare, eccovi ora una lettura istruttiva. È un articolo apparso quando alla Casa Bianca c’era ancora Biden, e Kamala Harris sembrava destinata a succedergli. È uscito su The Economist, settimanale britannico, è un critico spietato di Trump, non ha mai avuto nessuna indulgenza verso di lui. Quest’analisi dell’Economist, uscita quindi in tempi non sospetti, denunciava la crescita mondiale del fenomeno di uno Stato-Leviatano: sempre più grosso, mostruoso e costoso, inefficiente ma indomabile. Questo Stato-Leviatano si è sempre mostrato più forte di chiunque volesse riformarlo. Oso azzardare un’ipotesi: forse solo i metodi «dirompenti» di un Musk possono riuscire laddove tutti gli altri hanno fallito? Magari invece fallirà anche lui, forse i poteri di veto (come quello della magistratura) sono ancora più forti. Ma la lettura dell’analisi qui sotto dovrebbe almeno consentire il beneficio del dubbio. Forse non tutto quel che sta facendo Musk è demoniaco. Forse chi lo denuncia e lo boicotta appartiene a categorie potenti, protette e privilegiate, abituate ad essere intoccabili, autoreferenziali. Lui è individualmente l’uomo più ricco del pianeta, ma i corpi burocratici che gestiscono la spesa pubblica americana sono collettivamente una potenza altrettanto immane, e tutt’altro che democratica. Eccovi l’articolo:
Titolo originale: «Governments are bigger than ever. They are also more useless» (Gli Stati sono più grandi che mai. Sono anche più inutili). Pubblicato su The Economist il 23 settembre 2024. Ho selezionato ampi estratti dall’originale.
«Potreste avere la sensazione che i governi non siano più competenti come un tempo. Entrando alla Casa Bianca nel 2021, il presidente Joe Biden promise di rilanciare le infrastrutture americane. In realtà, da allora la spesa per strade e ferrovie è diminuita. Un progetto di punta per espandere l’accesso alla banda larga veloce per gli americani delle zone rurali finora non ha aiutato nessuno. Il Servizio Sanitario Nazionale britannico assorbe sempre più denaro, ma offre cure sempre peggiori. La Germania ha dismesso le sue ultime tre centrali nucleari lo scorso anno, nonostante le forniture energetiche siano incerte. I treni tedeschi, un tempo motivo di orgoglio nazionale, ora sono spesso in ritardo.
Potreste anche aver notato che gli Stati sono più grossi di quanto fossero in passato. Nel 1960 la spesa pubblica nei paesi ricchi era pari al 30% del PIL, ora è superiore al 40%. In alcuni paesi la crescita del potere economico dello Stato è stata ancora più drammatica. Dalla metà degli anni ’90, la spesa pubblica del governo britannico è aumentata di sei punti percentuali del PIL, mentre quella della Corea del Sud è aumentata di dieci punti. Tutto ciò solleva un paradosso: se gli Stati sono così grandi, perché sono così inefficaci?
La risposta è che si sono trasformati in quelli che possono essere definiti “Leviatani Pesanti”. Negli ultimi decenni, i governi hanno gestito un’enorme espansione della spesa per i sussidi. … La redistribuzione sta erodendo la spesa per altre funzioni dello Stato. Questo, a sua volta, sta danneggiando la qualità dei servizi pubblici e delle burocrazie. Il fenomeno potrebbe aiutare a spiegare perché i cittadini nei paesi ricchi hanno così poca fiducia nei politici. Potrebbe anche aiutare a spiegare perché la crescita economica nei paesi ricchi è debole rispetto agli standard storici.
L’America mostra come lo Stato sia diventato un Leviatano Pesante. Nei primi anni ’50 la spesa per i servizi pubblici, inclusi stipendi per insegnanti e costruzione di ospedali, era il 25% del PIL del paese. La spesa per i sussidi, in senso ampio, era una voce di bilancio ridotta, con pensioni e altri tipi di Welfare pari a circa il 3% del PIL. Oggi la situazione è molto diversa. Le spese del governo americano per i sussidi sono aumentate enormemente mentre quelle per i servizi pubblici sono scese. Ora entrambe rappresentano circa il 15% del PIL.
Anche altri paesi hanno seguito un percorso simile. Abbiamo analizzato i dati storici del PIL, osservando quanto i governi spendono ogni anno in benefici sociali e trasferimenti. Questo include i sussidi tradizionali, come le pensioni e i crediti d’imposta, ma anche trasferimenti “in natura”, come sconti sull’assicurazione sanitaria e aiuti per l’abitazione. Entrambi i tipi di spesa sono aumentati notevolmente. In media, nei paesi sviluppati la spesa sociale è passata dal 14% del PIL nel 1980 al 21% nel 2022.
Inoltre, le statistiche convenzionali sottostimano la portata del cambiamento. Gli Stati hanno accumulato impegni finanziari fuori bilancio allarmanti: promesse di erogare denaro in futuro. Il governo federale americano ha preso impegni di compensazione verso diverse categorie sociali per un valore totale pari a sei volte il PIL degli Stati Uniti. Oltre al debito pubblico dichiarato, lo Stato garantisce i depositi bancari, i pagamenti sanitari e i mutui. Inoltre, dovrà mantenere le promesse fatte ai futuri pensionati. Nella storia dello Stato moderno, questo rappresenta un impegno finanziario di dimensioni uniche.
Parte della crescita della spesa per i sussidi è stata inevitabile. Nel 2022 c’erano 33 milioni di persone con più di 85 anni nei paesi ricchi, pari al 2,4% della popolazione totale, un enorme aumento rispetto ai 5 milioni (0,5% della popolazione) del 1970. I governi hanno peggiorato le cose evitando di adeguare l’età pensionabile: oggi l’età media di pensionamento nei paesi ricchi è di 64 anni, la stessa degli anni ’70. Tuttavia, sarebbe stato difficile (e poco saggio) impedire alla spesa pensionistica di crescere.
I trasferimenti alla popolazione in età lavorativa sono aumentati ancora più rapidamente, rendendo il sistema più redistributivo. Nel 1980 il quinto più povero dei lavoratori americani riceveva trasferimenti condizionati al reddito pari a un terzo del proprio reddito lordo. Alla fine degli anni 2010, la cifra era raddoppiata, prima che la pandemia di Covid-19 la facesse aumentare ulteriormente. La spesa segue spesso un effetto “a cricchetto” (può solo aumentare, mai tornare indietro). Ad esempio, dal 1970 la percentuale di americani che ricevono buoni alimentari è raddoppiata, arrivando a uno su otto. Durante le recessioni il numero di beneficiari aumenta rapidamente, ma poi diminuisce molto lentamente.
In generale, i governi sono diventati più generosi nei momenti di crisi. Durante la pandemia hanno elargito denaro ai lavoratori e alle aziende colpite, oltre che a molte che operavano normalmente. Durante la crisi energetica del 2022, molti governi hanno abbandonato la prudenza nella spesa. Persino il governo tedesco, storicamente più parsimonioso, ha stanziato il 4,4% del PIL per misure a sostegno di famiglie e imprese. Più recentemente, alcuni governi hanno perso il controllo. In Italia, un progetto per incentivare la ristrutturazione ecologica delle abitazioni è andato fuori controllo, con il governo che ha finora erogato oltre 200 miliardi di euro (pari al 10% del PIL).
Un altro ruolo storico dello Stato—ora in declino—era quello di fornire una burocrazia efficiente. È difficile misurarlo quantitativamente, ma alcuni ricercatori ci hanno provato. Dati del Berggruen Institute e dell’Università della California, Los Angeles, combinano misure oggettive, come il gettito fiscale, e misure soggettive, come la percezione della corruzione, per creare un indice di “capacità statale” nei paesi del G7. Questo indice è in calo. Lo stesso vale per l’indice “amministrazione pubblica rigorosa e imparziale” di V-Dem, che misura il rispetto della legge da parte dei funzionari pubblici.
Gli effetti della ridotta capacità statale si vedono ovunque. Alcuni sono minori. Negli Stati Uniti il tempo che intercorre tra l’approvazione di un progetto residenziale e l’inizio della costruzione è raddoppiato dagli anni ’90. I costruttori affrontano lunghe attese tra moduli e procedure burocratiche.
I governi sembrano anche meno capaci di realizzare grandi progetti. Oggi è impensabile costruire l’Empire State Building in un anno, eppure negli anni ’30 fu fatto. Nel XX secolo, i governi investivano denaro e intelligenza nella scienza e nella ricerca, accelerando la crescita economica. Ora, nei paesi sviluppo, lo Stato rappresenta meno del 10% della spesa totale in ricerca, un netto cambiamento rispetto al dopoguerra.
I Leviatani potrebbero non restare pesanti o goffi per sempre. Prima o poi, finanziare i sussidi con deficit elevati diventerà insostenibile. Tuttavia, gli incentivi a mantenere lo status quo sono forti, e il sistema sembra avere una vita propria».
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