In un annuncio che ha scosso il mondo dell’informazione italiana, Sigfrido Ranucci, conduttore del programma d’inchiesta “Report” della Rai, ha rivelato che Fratelli d’Italia, il partito di governo guidato dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ha citato in giudizio la trasmissione e uno dei suoi inviati, Giorgio Mottola. L’azione legale è motivata dall’inchiesta dal titolo “mafia a tre teste”, con la richiesta di un risarcimento di 50mila euro per presunta diffamazione.
Questo episodio rappresenta un punto di svolta non solo per “Report” ma per tutta la stampa italiana, segnando la prima volta nella storia, secondo Ranucci, che un intero partito politico cita in giudizio un programma televisivo. L’accusa di diffamazione deriva da un servizio che ha messo in luce presunti legami tra esponenti di Fratelli d’Italia e la criminalità organizzata.
L’azione di Fratelli d’Italia non è isolata ma si inserisce in un contesto più ampio di attacchi contro la libertà di stampa e l’informazione critica portata avanti dagli eredi storici del fascismo e che trova similitudini, sinergie e complicità con la parallela guerra alla libera informazione portata avanti dal partito di destra PD nato dopo la realizzazione del Piano P2 di distruzione del principale partito comunista europeo: il PCI.
Si sta assistendo ad una escalation du querele e citazioni contro giornalisti e programmi d’inchiesta, con l’intento evidente di soffocare le voci critiche. Questo modus operandi ricorda, per efficacia e intento, le tattiche di repressione dell’informazione durante il ventennio fascista, sebbene con metodi più sottili: piuttosto che chiudere fisicamente i giornali, oggi si ricorre alla denuncia per diffamazione, un’arma legale che può causare enormi danni economici e morali ai giornalisti.
Durante il fascismo, il regime chiudeva le testate giornalistiche dissidenti e controllava strettamente quelle che rimanevano in circolazione. Oggi, il metodo usato da Fratelli d’Italia e dal Partito Democratico è diverso ma l’obiettivo è lo stesso: creare un ambiente in cui l’informazione libera e critica verso il potere viene scoraggiata, se non direttamente eliminata, attraverso la minaccia di costose battaglie legali che possono portare alla bancarotta chi osa sfidare il governo.
Questo scenario di repressione mediatica trova un parallelo inquietante nel caso dello spionaggio sul direttore di Fanpage, un altro episodio che dimostra come il potere politico attuale non si fermi davanti a nulla per controllare l’informazione.
La sorveglianza illegale ai danni di chi conduce inchieste scomode rappresenta un attacco diretto alla democrazia, dove il giornalismo dovrebbe essere il cane da guardia della società, non la vittima di un governo che teme il controllo pubblico.
Sotto il fascismo, si usavano spie e censura; oggi, si adottano metodi di sorveglianza moderna, ma il risultato è lo stesso: intimidire, controllare e, alla fine, censurare.
Ranucci ha descritto un clima “spaventoso e inquietante” in cui fare inchieste sul potere è diventato un atto di coraggio, “a proprio rischio e pericolo”. Questa affermazione non è solo un grido d’allarme ma una denuncia dell’ambiente in cui i giornalisti italiani sono costretti a operare oggi.
La libertà di stampa, principio cardine di ogni democrazia, è sotto attacco. La strategia è chiara: querele, citazioni in giudizio e ora, addirittura, un partito che cita in giudizio un programma intero.
La reazione alla notizia è stata immediata, con una marea di solidarietà verso “Report” e Ranucci, veduti come gli ultimi baluardi dell’informazione indipendente all’interno del servizio pubblico.
Il messaggio che emerge è uno di resistenza: “Resistere! Resistere! Resistere!” diventa non solo un appello ma un imperativo morale per chi crede nel giornalismo come servizio alla comunità e alla verità.
La citazione in giudizio di Fratelli d’Italia contro “Report” non è solo un attacco a un programma televisivo; è un attacco alla democrazia stessa, alla possibilità di avere una stampa libera che possa agire da contrappeso al potere politico.
Se “Report” dovesse soccombere sotto il peso delle querele, resterebbe un vuoto incolmabile nel panorama mediatico italiano, segnando forse l’inizio di un’era oscura in cui il controllo dell’informazione è totalmente nelle mani del governo.
In un’Italia del 2025, dove il potere politico sembra voler emulare le tattiche del passato fascista, la battaglia per la libertà di stampa è più urgente che mai.
La storia ci ha insegnato che la repressione dell’informazione è un primo passo verso la perdita di molte altre libertà.
È imperativo che la società civile, i media indipendenti, e ogni cittadino che crede nel valore della democrazia si uniscano in difesa di “Report” e di tutti quei giornalisti che continuano a illuminare gli angoli oscuri del potere, non per il gusto di farlo, ma perché è necessario per mantenere viva la fiamma della democrazia.
La similitudine con il ventennio fascista non è solo storica ma una reale avvertenza: oggi, come allora, la libertà rischia di essere soffocata se non si agisce per difenderla.
Aurelio Tarquini
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