Gli smisurati quarantadue ettari del Theresenwiese di Monaco di Baviera ospitano, in tempi più spensierati dei nostri, l’Oktoberfest, la fiera popolare più grande del mondo. Sabato si sono riempiti di una folla di dimostranti che non si vedeva in Germania da molti anni: duecentocinquanta-trecentomila per dire no ai neonazisti e a quella parte della CDU che vorrebbe farli entrare nelle stanze del potere. Nei giorni precedenti erano stati quasi altrettanti a Berlino e molte centinaia di migliaia in tutte le grandi città della Repubblica federale.
Nelle stesse ore, in un albergo di lusso alla periferia di Madrid Santiago Abascal stava concludendo la kermesse dei “patrioti” europei davanti al gotha dell’estrema destra continentale schierato in prima fila: Marine Le Pen, Viktor Orbán, l’olandese Geert Wilders, l’austriaco Herbert Kickl fino a Matteo Salvini, cui si deve – gli va riconosciuto – il riassunto più efficace del senso politico dell’evento: “Meno Europa e più libertà”, perché – ha spiegato qualunque cosa volesse intendere – “non è l’UE che legittima gli stati, ma sono gli stati che legittimano l’Europa”.
Tra le due immagini, Monaco e Madrid, è compreso tutto il momento politico che l’Occidente, dall’America all’Europa, sta drammaticamente vivendo. Lo scontro tra destra sovranista e democrazia ha per oggetto oggi la stessa possibilità che esistano al mondo strutture sovranazionali che regolino i rapporti tra gli stati in nome della civiltà giuridica e della difesa dei diritti umani universali oppure che si stia inverando la cupa profezia di Thomas Hobbes che applicava alle relazioni tra popoli diversi l’antica massima latina homo homini lupus: alla solidarietà all’interno della stessa società corrispondono la violenza e la prevaricazione verso le società degli altri. Giustizia e carità all’interno, inganno e violenza verso l’esterno.
Non c’è bisogno, in realtà, di arrampicarsi sulle teorie filosofiche. La rozza formula recitata dal leghista italiano sull’Unione europea è un manifesto politico chiarissimo e, almeno tendenzialmente, molto concreto. Un distillato di nazionalismo che è purtroppo molto di più di un teorico manifesto politico per il futuro. Al di là dell’Atlantico il nuovo presidente americano lo sta già praticando e al di qua molti partiti ne sono entusiasti traduttori nelle lingue europee (e nell’ebraico di Netanyahu).
I partiti al governo dell’Italia, per esempio. Per limitarsi alle circostanze più recenti, che altro sono l’attacco scatenato contro la Corte penale internazionale, l’insulsa pretesa del ministro Nordio di giudicarne l’operato con i dettami cavillosi del diritto procedurale nazionale e poi il rifiuto del governo intero di associarsi alla protesta delle nazioni contro le sanzioni decretate da Trump se non il rifiuto di riconoscere l’esistenza di un diritto superiore che limiti la ferinità dei rapporti internazionali? E per venire all’Unione europea che altro senso ha la pretesa dei massimi rappresentanti del governo italiano, Giorgia Meloni in testa, di considerare il diritto nazionale sovraordinato al diritto comunitario? O la difesa strenua del paralizzante diritto di veto implicito nel rifiuto di eliminare l’obbligatorietà dei voti all’unanimità?
Si dirà che la tendenza a distruggere certi istituti di garanzia e di controllo del potere dei governi non si esercita solo sul piano internazionale. Che la destra-destra è insofferente ad ogni limitazione del suo potere per propria natura. In Italia, nei paesi in cui quella destra è arrivata al vertice dello stato e massimamente nell’America dell’amministrazione Trump. Ovunque si confonde il consenso ottenuto nelle elezioni con una delega non al governo, ma al comando. La legittimità offerta dal voto, anche se non proprio plebiscitario, viene intesa come superiore alla legalità rappresentata e garantita dalle costituzioni, dai diritti universali sanciti dalla Carta dell’ONU, dalle convenzioni e dagli obblighi liberamente assunti sulla base del riconoscimento comune di norme di diritto internazionale.
Il consenso del “popolo” prevale su tutto, in nome del “popolo” tutto è lecito: proprio come insegnava nelle sue lezioni Carl Schmitt, che non a caso fu punito alla fine della guerra come giurista teorico del nazismo. Recentemente abbiamo sentito anche la capa in testa del nostro governo esercitarsi nella assurda polemica per cui se vogliono esercitare il loro potere di difendere la legalità i giudici “dovrebbero farsi eleggere”. Si poteva pensare che tanta patetica rozzezza in materia di fondamenti dello stato di diritto fosse appannaggio delle approssimazioni pseudo-ideologiche di Salvini e dei leghisti, e invece… D’altra parte, di Meloni non solo le antiche propensioni ideali, ma anche i più recenti entusiasmi per l’amico Orbán e le sue teorie (e pratiche) di “democrazia illiberale” erano già ben noti.
Rifiuto degli istituti internazionali sul piano della politica estera e insofferenza verso ogni forma di controllo e di garanzia costituzionale in casa propria. Si potrebbe pensare che si tratti di due cose diverse, di due aspetti separati dell’autoritarismo della destra-destra al potere e invece, a ben considerarli, sono l’espressione dello stesso atteggiamento di fondo: dove c’è l’una c’è l’altro.
Rilanciare le istituzioni internazionali
Se le cose stanno così, le forze democratiche a cominciare dalla sinistra dovrebbero trarne la conseguenza: per battere la destra estrema occorre ritornare proprio ai valori della internazionalità del diritto. A cominciare dall’ONU che andrebbe difesa e rilanciata, correggendo le formidabili carenze e gli indiscutibili anacronismi a cominciare dalla composizione del Consiglio di Sicurezza, e che invece anche nel campo di chi crede alla democrazia e alla pace fa da troppo tempo la parte della cenerentola schiacciata tra le grandi potenze (o quel che ne resta), la NATO e, magari, i Brics emergenti, i cui componenti principali non brillano esattamente per il rispetto dei diritti umani e delle procedure democratiche.
E anche il rilancio delle istituzioni dell’Unione europea dovrebbe puntare molto più di quanto faccia adesso sugli aspetti di diritto e di composizione pacifica dei rapporti internazionali, a cominciare dal rifiuto del Grande Imbroglio che, imposto dalle destre e subito da molti moderati, identifica nell’immigrazione il nemico principale e quasi unico dell’ordinato sviluppo della comunità e delle nazioni, cosicché proprio su quel terreno le istituzioni di Bruxelles, a cominciare dalla Commissione di Ursula von der Leyen, scendono a compromessi indegni, che tradiscono platealmente i valori fondanti dell’Unione. L’Europa ha saputo esprimere in passato efficienti politiche e strutture di cooperazione internazionale e sarebbe importante che riuscisse a ritrovare quel suo ruolo. Lo ha in qualche modo sollecitato anche il nostro presidente della Repubblica quando, qualche tempo fa, ha evocato lo “spirito di Helsinki”.
Per quel che si è visto nelle grandi manifestazioni tedesche di questi giorni, la consapevolezza del fatto che la resistibile ascesa dei neonazisti di Alternative für Deutschland non sia solo un problema “tedesco” appariva dai cartelli e dagli slogan abbastanza chiara. Sappiamo, certo, che tanta onesta mobilitazione difficilmente si tradurrà nelle urne tedesche in un rifiuto chiaro e massiccio dell’estrema destra e che resterà il pericolo di una saldatura con i più corrivi e pavidi esponenti del mondo conservatore. Ma almeno un segnale, confortante, dal Theresienwiese è venuto.
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