la lettera al Governo del consorzio ITALICS| Artribune

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Esprimiamo forte disappunto, per non dire sconcerto, per la mancata riduzione delle aliquote IVA sulle importazioni e le transazioni relative alle opere d’arte”. Con queste parole il Gruppo Apollo, che rappresenta l’industria dell’arte in Italia e riunisce le principali case d’asta, antiquari, gallerie di arte moderna e contemporanea e imprese della logistica, si è duramente espresso contro il mancato intervento normativo previsto dal Governo nel Dl Cultura discusso alla Camera lo scorso 3 febbraio (al Senato, il Dl arriverà entro il 25 febbraio per la conversione in legge, e non ci si aspetta alcuna aggiunta o integrazione).

Il Dl Cultura e la mancata riduzione dell’IVA per il mercato dell’arte

Un disappunto giustificato dalla necessità (disattesa) di ottenere misure correttive in grado di salvaguardare la competitività italiana nel mercato dell’arte – a fronte di uno scenario europeo più vantaggioso – proprio a partire dalla riduzione dell’IVA sulle importazioni e le transazioni del settore. Il mancato adeguamento dell’IVA agli standard europei, invece, sembra essere l’ennesima conferma dell’assenza di una pianificazione economica e di una strategia culturale di ampio respiro per valorizzare il mercato dell’arte nazionale. Un dato di fatto che penalizza e continuerà a penalizzare le gallerie italiane – fino a comprometterne la sopravvivenza – e la loro ambizione di mantenere un ruolo centrale sulla scena internazionale.

Anna Maria Maiolino, Ações Matéricas, installation view at Galleria Raffaella Cortese, Milano, 2023. Photo Lorenzo Palmieri

La lettera di ITALICS al Governo contro la mancata riduzione dell’IVA

Ecco perché, a qualche giorno di distanza dalla reazione del Gruppo Apollo, anche il consorzio ITALICS, che riunisce 74 tra le più importanti gallerie d’arte d’Italia, prende posizione inviando una lettera aperta al Governo: “ITALICS” si legge nel comunicato “esprime profondo stupore e grande apprensione per le recenti decisioni del governo in materia di IVA del mercato dell’arte. Ignorando l’opportunità offerta dalla direttiva (UE) 2022/542, il Governo italiano – in controtendenza rispetto a paesi limitrofi e nostri più prossimi competitori che hanno importanti tradizioni culturali e che l’hanno immediatamente colta, come Francia e Germania – ha deciso di voltare le spalle al mercato dell’arte italiano, dimostrando indifferenza per il suo valore economico e, cosa ancora più grave, per il suo valore culturale, di fatto decretandone la condanna a morte e causando un danno incalcolabile in termini di sostegno agli artisti e alla rilevanza culturale del nostro Paese sulla scena globale”.

L’Italia a confronto (impietoso) con l’Europa

La direttiva europea cui si fa riferimento ha permesso ai Paesi (diretti competitor dell’Italia) che hanno scelto di cogliere l’opportunità di abbassare drasticamente le aliquote IVA per il mercato dell’arte, finanche a raggiungere una percentuale del 5,5%. In Italia, invece, le aliquote di settore sono destinate ad attestarsi sull’IVA ordinaria al 22%. Una sentenza che rischia di dare il colpo di grazia al settore: “Molti attori dell’industria culturale stanno già chiudendo o, per i pochi a cui è possibile, delocalizzando”, sottolineano le gallerie di ITALICS, appellandosi al Governo “perché riveda immediatamente le sue posizioni in materia”.
Le conseguenze di questa miopia, peraltro, determinerebbero un danno economico e culturale per il sistema Paese, al pari di tutte le opportunità mancate che, non a caso, ci hanno portato recentemente a parlare di “medievalizzazione” dell’Italia. Su scuola, mobilità, turismo, nuovi mercati potenziali che necessiterebbero dei giusti investimenti, infatti, le recenti scelte del Governo non possono che far scattare l’allarme. E così dev’essere per il trattamento riservato all’industria dell’arte (non è migliore quello riservato all’industria cinematografica, per restare in tema cultura).

Perché il Governo non aiuta il mercato dell’arte?

Ma perché, mentre gli altri Paesi seguono l’incoraggiamento dell’Europa ad agevolare i propri mercati, l’Italia sembra fare orecchie da mercante? Di certo si possono distinguere una risposta politica e una tecnica. C’è, innanzitutto, quell’orientamento populista che è fonte principale di consensi per il governo in carica. Un indirizzo lampante, per esempio, nelle politiche migratorie, che però sembrerebbe calzare anche alla scelta di non prestare il fianco, tagliando le tasse, ai ricchi collezionisti che possono permettersi di acquistare opere d’arte per migliaia di euro: asserzione, questa, da leggersi col filtro populista di chi legifera. La risposta tecnica, invece, chiama in causa i margini risicati sui quali l’Italia si trova a dover far tornare i conti. Un taglio delle aliquote IVA determina per lo Stato spese da mettere a bilancio: per recuperare i soldi necessari a sostenere il provvedimento, è obbligatorio sottrarli altrove. Ma dove? Da non trascurare, poi, il fatto che la normativa ha ignorato anche la riforma della “Notifica” delle opere che hanno più di 70 anni. Una norma risalente agli Anni Trenta (sic!) che impedisce alle opere più vecchie di sette decenni di lasciare il Paese. Nata per evitare spoliazioni e razzie, la norma oggi non fa altro che massacrare il valore di quadri rilevanti di Morandi o de Chirico (giusto per fare qualche esempio) che non potendo essere venduti all’estero hanno un valore molto ridotto. Anche qui nessun interesse della politica di risolvere una anomalia solo italiana.

Livia Montagnoli

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