Il Medio Oriente in questi sedici mesi è stato indubbiamente sconvolto da cambiamenti e conflitti senza precedenti.
Di questi cambiamenti, e di ciò che comportano per la nostra azione internazionalista e solidale in un paese come l’Italia – pienamente complice e integrato nell’area imperialista occidentale – vorremmo discutere domenica 23 febbraio in una giornata dedicata ai possibili scenari con cui faremo i conti in un’area di prossimità come il Medio Oriente e il Mediterraneo.
L’onda lunga dell’operazione palestinese “Diluvio Al Aqsa” del 7 ottobre 2023, si è riverberata e connessa con le tensioni e le tendenze già in corso nella regione, facendo saltare in primo luogo il progetto degli Accordi di Abramo voluta dagli USA per normalizzare le relazioni tra i principali paesi arabi e Israele, riuscendo a riportare la questione palestinese al centro dell’agenda politica internazionale e a liberare centinaia di prigionieri dalla carceri israeliane, anche se il prezzo in vite umane e distruzioni è risultato altissimo.
Con l’avvento al potere di Trump la politica della nuova amministrazione Usa sembrava oscillare in due direzioni:
a) la concentrazione sul proprio mercato interno e quindi lo sganciamento degli USA dall’intervento diretto in Medio Oriente con la piena delega militare a Israele a rappresentarne gli interessi e la primazia del business rispetto alla politica;
b) la continuità dell’interventismo diretto statunitense sulla regione, in particolare contro l’Iran e l’Asse della Resistenza (soprattutto nello Yemen, ritenuto strategico per via delle rotte e dei progetti infrastrutturali nel Mar Rosso).
Le recenti dichiarazioni di Trump sulla pulizia etnica dei palestinesi da Gaza e il via libera all’annessione israeliana della Cisgiordania – oltre a dare per scontato l’asservimento di Egitto, Giordania e Arabia Saudita a questo progetto – andranno “passate al setaccio” delle verifiche sul campo per separarne i fattori che somigliano al bluff da quelli che potrebbero diventare azioni concrete.
Come abbiamo cercato di indicare nei mesi scorsi, i cambiamenti nell’area hanno subito una velocizzazione con la dottrina israeliana della guerra sui “sette fronti”, l’invasione del Libano a settembre 2024, il botta e risposta diretto con l’Iran ed infine con l’imprevista e repentina caduta di Assad in Siria a dicembre.
Si è trattato di un cambiamento di fase politica che ha reso il ruolo di Israele e il progetto sionista il punto di contraddizione principale in Medio Oriente.
Israele è sembrata trarre vantaggio – oltre ad averne determinati alcuni – da questi cambiamenti. A tale scopo, dopo la caduta della Siria, ha rivendicato a se un ruolo centrale nel Medio Oriente, il che corrisponde pienamente alla funzione che l’imperialismo USA (e di conseguenza anche quello europeo) hanno affidato e continuano ad affidare a Israele come controllo e deterrenza per conto dei propri interessi nella regione mediorientale.
Nei soli ultimi tre mesi del 2024 lo scenario è mutato assai rapidamente consegnando nuovi rapporti di forza nella regione, in particolare su tre aspetti:
a) l’indebolimento dell’Asse della Resistenza che ha visto spezzarsi il corridoio e l’avamposto siriano tra Iran e Hezbollah;
b) il rafforzamento delle ambizioni e del ruolo della Turchia e della filiera dei Fratelli Musulmani (a cui fanno riferimento anche il Qatar e Hamas) in Medio Oriente;
c) la crescita dell’influenza dell’Arabia Saudita della “Saudi Vision” messa in campo negli ultimi anni dal principe ereditario Bin Salman, il quale sembra aver messo da parte i vecchi arnesi della dinastia saudita e la storica subalternità totale agli USA. L’entrata di Riad nei Brics e le ambizioni a diventare sia potenza regionale sia soggetto globale in economia da parte della nuova gerarchia di comando saudita, stanno diventando sempre più nitide.
A ben guardare si tratta di un rimescolamento che investe tutti e tre i principali network dell’islam politico: quello sciita, quello sunnita della Fratellanza Musulmana e quello wahabita/salafita referente delle petromonarchie del Golfo.
In questi sedici mesi ci sono stati molti segnali di deconflittualizzazione tra questi network in perenne conflitto e competizione tra loro in molti fronti del Medio Oriente (dalla Libia alla Siria, dallo Yemen al Libano).
I “rivali” Turchia e Arabia Saudita, dopo anni di tensioni, si sono scambiati visite ufficiali dei rispettivi leader; i “nemici” Iran e Arabia Saudita hanno ripreso le relazioni ufficiali con la supervisione della Cina.
La stessa gestione del rovesciamento di regime in Siria appare oggi molto controllata e sottotraccia da tutte le principali potenze regionali interessate: Turchia, Iran e Arabia Saudita. Nessuno, neanche la Turchia che appare quella avvantaggiata, sembra voler spingere sul controllo totale del paese e al momento tutti auspicano una transizione soft da un regime laico/socialista ad uno islamico.
Il problema è che in Medio Oriente gli equilibri appaiono sempre fragili, le alleanze a geometria variabile e pronti a saltare ad ogni imprevisto. Soprattutto perché l’imperialismo occidentale continua ad affidare a Israele il compito di dominare, sottomettere e gestire l’intera regione, insistendo nel tenere permanentemente un bastone tra le ruote ad ogni processo di convergenza tra i paesi dell’area, siano essi arabi o non arabi come Turchia e Iran.
In tale scenario lo spazio per una qualsiasi soluzione politica alla questione palestinese appare seriamente compromesso, e molto dipenderà dalla capacità di tenuta sul lungo periodo della resistenza palestinese e delle sue organizzazioni.
In secondo luogo appare sempre più evidente che nella ridefinizione mondiale delle aree di influenza e dei blocchi economici dovuta alla frammentazione dell’economia mondiale, il Medio Oriente è obiettivamente una “linea di faglia” tra i progetti strategici e gli interessi degli imperialismi occidentali e i paesi emergenti coordinatisi nei BRICS.
I secondi avrebbero bisogno di stabilità e deconflittualizzazione, i primi – al contrario – lavorano sistematicamente alla destabilizzazione, alla divisione e alla subalternità dei paesi mediorientali.
Infine, e non certo per importanza, occorre mettere mano al rapporto tra l’Italia e questi scenari in Medio Oriente. Le attuali classi dirigenti non nascondono il crescendo di interessi politici e strategici per quello che definiscono “Il Mediterraneo allargato”.
Una prima conferma è venuta dall’avvio e dal mantenimento della Missione Aspide nel Mar Rosso.
I nostri governi – di destra o centro-sinistra – hanno inoltre dimostrato di esse apertamente complici sotto tutti gli aspetti con Israele e il progetto sionista. Ciò significa che qualsiasi ipotesi di emancipazione sociale o di indipendenza politica dei popoli e dei paesi in Medio Oriente non troverà nel nostro paese un alleato o un interlocutore (come talvolta è avvenuto nel passato).
Su tali questioni vogliamo cominciare a confrontarci in un incontro pubblico che si terrà a Roma domenica 23 febbraio. Relatori e ordine dei lavori saranno resi noti nei prossimi giorni.
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