Un asteroide è in rotta di collisione con la Terra. Ma possiamo stare abbastanza tranquilli

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Il 27 dicembre scorso, il telescopio di ricognizione ATLAS in Cile ha individuato un asteroide, battezzato 2024 YR4, in rotta di collisione con la Terra. La potenziale data dell’impatto? Il 22 dicembre 2032.

La notizia ha subito fatto il giro del mondo, scatenando timori e speculazioni. Ma gli esperti invitano alla calma, sottolineando come la Terra sia costantemente “bersagliata” da detriti spaziali, e come impatti catastrofici siano eventi rari. Il più celebre, quello di 66 milioni di anni fa, causò l’estinzione di massa che spazzò via il 75 per cento delle specie viventi, dinosauri inclusi. Secondo le stime eventi di tale portata si registrano una volta ogni 50 milioni di anni.

Più frequenti, invece, sono impatti minori, come quello di Tunguska nel 1908, che rase al suolo un’area di oltre 2.000 chilometri quadrati in Siberia, o l’esplosione di Chelyabinsk nel 2013, che ha ferito circa 1.500 persone.

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2024 YR4 è sotto osservazione da poco più di un mese. La sua orbita, calcolata dagli astronomi, lo porterà a sfiorare la Terra con una probabilità di impatto stimata, attualmente, in 1 su 77. Entro pochi mesi gli scienziati avranno un quadro più preciso della sua traiettoria.

Tuttavia, la “prova del nove” arriverà nel 2028, quando 2024 YR4 compirà un nuovo passaggio ravvicinato. A quel punto, sarà possibile stabilire con certezza se l’impatto nel 2032 è inevitabile e, in caso affermativo, prevederne con precisione il luogo.

Le dimensioni di 2024 YR4 sono ancora incerte, stimate tra i 40 e i 100 metri di diametro. Come avverrà l’impatto, in caso di collisione, dipenderà dalla composizione dell’asteroide. Lo scenario più probabile è quello di un’esplosione in atmosfera, simile all’evento di Tunguska, con un’onda d’urto che devasterebbe un’area urbana. Meno probabile, ma non impossibile, l’impatto diretto sulla superficie, con la formazione di un cratere di oltre un chilometro di larghezza.

La minaccia di impatti asteroidali è una realtà con cui l’umanità deve convivere. Tuttavia, per la prima volta nella storia, abbiamo gli strumenti per monitorare questi pericoli e, potenzialmente, deviarli. La missione Dart della Nasa, con il suo successo nel modificare la traiettoria di un asteroide, è una pietra miliare in questa direzione. Niente panico, dunque. Ma nemmeno fatalismo. La scienza ci offre gli strumenti per comprendere e affrontare questa sfida. Ora tocca a noi scegliere come utilizzarli.

La nuova corsa alla Luna

Il ritorno alla Luna è tornata a essere un obiettivo primario per le potenze spaziali, con Stati Uniti e Cina in testa a una nuova corsa che vede anche la Russia, seppur con difficoltà crescenti, giocare un ruolo.

Mentre la Nasa punta a un ritorno con equipaggio entro il 2027 con il programma Artemis, a meno che Donald Trump non voglia cancellarlo per puntare direttamente a Marte, la Cina avanza con il suo progetto di Stazione di ricerca lunare internazionale (Ilrs), mirando a sbarcare i suoi primi taikonauti sulla Luna entro il 2030.

Il programma Artemis, nato dal Nasa authorization act del 2005 e concretizzatosi nel 2017, ha subito numerosi ritardi a causa di restrizioni di bilancio, problemi tecnici e complessità logistiche. L’obiettivo di stabilire una presenza umana sostenuta sulla Luna, con una base permanente al Polo Sud, è stato più volte rimandato.

Artemis II, la missione circumlunare con equipaggio di quattro persone, prevista inizialmente per il 2023, è stata posticipata ad aprile 2026. Questa missione preparerà il terreno per Artemis III, il ritorno vero sulla Luna, ora previsto per la metà del 2027.

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L’implementazione del Lunar Gateway, la stazione orbitale lunare, è anch’essa programmata per il 2027 e rappresenta un elemento chiave per le future missioni regolari (una all’anno) e per la costruzione di una base lunare e delle relative infrastrutture.

Tuttavia, lo sviluppo di elementi cruciali come lo Space launch system (Sls) e la navicella Orion, iniziati nel 2011, hanno accumulato ritardi significativi. Ulteriori ritardi sono stati causati da controversie legali sul contratto Human landing system (Hls) e da problemi ingegneristici al sistema di supporto vitale e allo scudo termico. Anche SpaceX, partner cruciale per il programma Artemis con il suo Starship Hls, ha subito ritardi. 

Mentre la Nasa affronta queste sfide, la Cina, in collaborazione con la Russia (seppur con un ruolo sempre più marginale), continua a perseguire il suo ambizioso programma Ilrs. L’obiettivo è creare una base permanente nel Bacino del Polo Sud-Aitken. Nel 2023, la Cina ha annunciato che utilizzerà due razzi Long March 10 per lanciare la navicella Mengzhou (che porterà l’equipaggio attorno alla Luna) e il lander Lanyue (che porterà i taikonauti sul suolo lunare).

Il programma prevede tre fasi: ricognizione (2021-2025), costruzione (2025-2030) e utilizzazione (2030-2035). Cinque strutture principali comporranno l’Ilrs: il Cislunar Transportation Facility (Clf) ossia stazione orbitale che sarà l’antagonista del Gateway; la Support Facility sulla superficie lunare (simile alla base Artemis) che includerà un centro di comando, una rete globale Telemetry, Tracking, and Command (TT&C), un sistema di approvvigionamento energetico, un sistema di gestione termica e vari moduli di supporto; il Lunar Transportation and Operation Facility (LTOF), dove i veicoli lunari verranno stivati e mantenuti quando non in uso; il Lunar Scientific Facility, che supporterà le operazioni di scienze lunari sulla superficie, in orbita o nello spazio profondo e il Ground Support and Application Facility (GSAF), che avrà lo scopo di offrire supporto operativo alle comunicazioni e alle missioni. Tuttavia, anche il programma cinese non è immune da difficoltà. La missione Luna-25 russa, parte fondamentale della Fase I dell’Ilrs, è fallita con uno schianto sulla superficie lunare nell’agosto 2023, causando il rinvio delle successive missioni. Inoltre, il programma dipende anche dal razzo russo Angara 5M, il cui sviluppo ha subito notevoli ritardi.

Nonostante le battute d’arresto per entrambi i programmi, la competizione per il ritorno sulla Luna rimane intensa. La domanda cruciale rimane: chi arriverà primo? Al momento, la possibilità che la Cina invii i suoi taikonauti sulla Luna prima del ritorno della Nasa sembra “dubbia”, secondo gli esperti. Tuttavia, è innegabile che la Cina sia destinata a diventare una forza dominante nell’esplorazione spaziale nei prossimi decenni, sia in orbita, sulla Luna e, probabilmente, su Marte. 

La mega alluvione

Circa 5 milioni di anni fa, il mar Mediterraneo è stato protagonista di un evento catastrofico: una gigantesca alluvione, la “mega alluvione Zancleana”, considerata il più grande “tsunami” di tutti i tempi.

A questa conclusione è giunto uno studio internazionale, pubblicato sulla rivista Communications Earth & Environment di Nature, con la partecipazione dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) e dell’Università di Catania.

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Tra 5,97 e 5,33 milioni di anni fa, il Mediterraneo visse un periodo di profonda trasformazione, la “crisi di salinità del Messiniano”. A causa di movimenti geologici nello Stretto di Gibilterra, il mare si isolò dall’Oceano Atlantico, prosciugandosi quasi completamente in circa 600mila anni e trasformandosi in una vasta distesa desertica salata, con bacini ipersalini dove si accumularono enormi quantità di sale e gesso.

Per decenni, gli scienziati si sono chiesti come il Mediterraneo sia tornato alle condizioni attuali: un riempimento lento in circa 10mila anni o un evento rapido e catastrofico? Studi precedenti avevano ipotizzato un riempimento in pochi anni (2-16) a causa del crollo della barriera di Gibilterra. Tuttavia, mancavano prove concrete. Un evento del genere, con un flusso d’acqua dall’Atlantico al Mediterraneo di 65-100 milioni di metri cubi al secondo (molto superiore a qualsiasi altra alluvione nota), avrebbe dovuto lasciare tracce evidenti.

La nuova ricerca si è concentrata in Sicilia, tra Siracusa e Ragusa, studiando oltre 300 colline allungate e solchi paralleli. Analisi e modelli hanno rivelato che queste formazioni sono state create dall’impetuoso flusso d’acqua della Mega-Alluvione Zancleana, circa 5,33 milioni di anni fa. Prima dell’alluvione, l’area era una bassa baia marina con sedimenti calcarei, gessi e sali.

L’arrivo dell’enorme massa d’acqua dal Mediterraneo occidentale ha rimodellato il paesaggio, scavando profondi solchi e un gigantesco canyon, il “canyon di Noto”, con detriti rocciosi provenienti dall’altopiano ibleo. Questa ricostruzione geologica, supportata da modelli numerici, fornisce la prova più convincente della più grande mega-inondazione ipotizzata sulla Terra. L’area studiata potrebbe diventare un sito di interesse mondiale per lo studio delle alluvioni catastrofiche, un tema sempre più rilevante a causa dei cambiamenti climatici e della fusione dei ghiacci, che aumentano il rischio di inondazioni in diverse regioni del mondo, mettendo a rischio circa 15 milioni di persone.

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