Comunicare la sostenibilità nel punto vendita per essere sostenibili B2B – Le bussole

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Per la distribuzione la sostenibilità rappresenta una strategia di sviluppo imprescindibile in un contesto complesso dove funge da connessione tra le promesse sostenibili portate avanti dall’industria e la domanda crescente da parte dei clienti, in particolare delle generazioni più giovani, di un’offerta sostenibile, più vicina alla necessità di diminuire il proprio impatto negativo sull’ambiente.

A tal riguardo, una ricerca condotta dall’istituto di ricerca Capgemini nel 2020 su un campione di clienti europei ha rilevato che il 79% degli intervistati ha modificato le proprie preferenze di acquisto in base alla responsabilità sociale, all’inclusività o all’effetto ambientale dei prodotti. Questi cambiamenti prendono forma nel comportamento dei clienti all’interno del negozio, nel periodo successivo all’acquisto e a livello emotivo. Innanzitutto, lo studio ha rivelato che il 42% dei clienti quando si trova all’interno di un punto vendita valuta l’acquisto anche in funzione della presenza di materie prime naturali, privilegiando un’offerta locale o di stagione, mentre il 31% ha espresso una preferenza per gli articoli che hanno un imballaggio minimo o nullo.

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Infine, se si considera la dimensione emotiva, il 64% degli intervistati ha dichiarato che l’acquisto di articoli sostenibili suscita sentimenti di felicità, percentuale che sale al 70% nel campione italiano. Uno stato che induce i consumatori a creare un legame più forte con le aziende e i prodotti che percepiscono come sostenibili.

A conferma di ciò, RetailX dichiara che il 75% dei consumatori predilige distributori con un dichiarato orientamento verso la sostenibilità ambientale e sociale; mentre il 57% è disposto a pagare un prezzo più alto per beni il cui processo di produzione e logistico garantisca una sostenibilità ambientale e sociale. In linea con le tendenze in atto, cresce anche il mercato dei prodotti di seconda mano con un acquisto regolare dell’usato da parte del 33% dei consumatori per i capi di abbigliamento, del 24% per i libri e dell’11% per le attrezzature sportive.

Sebbene questi risultati siano la chiara evidenza della necessità delle aziende di rispondere in modo concreto a un mercato che sta velocemente cambiando, d’altro canto ancora lunga è la strada da percorrere. La crescente attenzione dei consumatori riguardo alle questioni sociali e ambientali non è, infatti, ancora sufficiente a risolvere la considerevole discrepanza tra gli atteggiamenti degli stessi, la volontà di acquistare e consumare in maniera sostenibile e le effettive azioni, ancora fortemente influenzate dall’elevata sensibilità nei confronti del prezzo.

A tal riguardo, si cita uno studio condotto in occasione del Natale con l’obiettivo di valutare quanto l’ambiente decorato per la festività possa modificare le attitudini dei clienti e in maggior misura di coloro che precedentemente avevano dichiarato di adottare comportamenti socialmente responsabili nella vita di tutti i giorni. In specie, l’analisi ha fatto emergere chiaramente come a fronte di una normale predisposizione nel porre attenzione alle scelte sostenibili, di fatto l’acquisto di regali in un contesto ambientale che enfatizza l’unicità della festa finisce per essere guidato verso prodotti che invocano più al materialismo che alla sostenibilità. A parziale consolazione, si noti come in seguito tale decisione venga bilanciata da un aumento della presa di coscienza sulla necessità di dovere adottare un comportamento socialmente responsabile come norma soggettiva. Quel che, però, qui più vale è la dimostrazione di una inconsistenza nel comportamento del cliente che modifica le abitudini di acquisto più sostenibili, a causa non solo del periodo natalizio, ma anche per il contesto ambientale.

Questo ancora elevato divario tra l’intenzione a compiere un acquisto sostenibile e il comportamento effettivo sul punto vendita rientra nel cosiddetto attitude behavioural gap, per cui esiste una discordanza tra attitudini, pensieri e volontà e quello che effettivamente si fa, l’acquisto, perché non viene correttamente o sufficientemente data loro rilevanza.

In effetti, le ragioni sono riconducibili a molteplici fattori: personali, psicologici, sociologici e di percezione del posizionamento, così come economici e, più recentemente, anche di tipo spirituale.

In particolare, nelle ricerche condotte in tale ambito vengono identificate, innanzitutto, le barriere legate ai prezzi premium dei prodotti sostenibili o all’indisponibilità di alternative green.

Per alcune categorie di prodotto può anche aggiungersi una percezione più bassa della qualità di un prodotto green. Emblematico è il caso del sistema moda, riconosciuto per essere uno dei settori più inquinanti in termini di spreco di materiali e produzione di rifiuti eccessivi (soprattutto a causa del fenomeno del fast fashion generato da alcuni produttori e dell’invasione di prodotti a bassissimo costo di alcune piattaforme internazionali): qui si è dimostrato che una variabile predittiva della differenza tra un potenziale acquirente e un non acquirente di prodotti green è proprio il valore utilitaristico del prodotto, legato alla qualità percepita del capo.

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Inoltre, la pressione sociale del proprio gruppo di appartenenza e alcune variabili demografiche, come l’educazione e lo stipendio medio, hanno permesso di profilare ulteriormente i segmenti di acquirenti di prodotti green.

Altri fattori sono più di tipo situazionale: i conflitti interiori, ma anche la mancanza di informazioni o di fiducia nei confronti delle aziende che promuovono la sostenibilità dei propri prodotti potrebbero inibire tale comportamento.

Se tutto questo è vero, vale oggi più che mai la considerazione dell’urgenza che i commercianti si concentrino non solo sulla riduzione del loro impatto negativo sull’ambiente, ma anche sulla creazione di programmi che forniscano ai clienti gli strumenti essenziali per fare scelte di acquisto sostenibili, migliorando così la consapevolezza degli effetti ecologici delle loro decisioni di consumo, secondo un approccio di green retail marketing che pianifica le strategie di sviluppo, considerando l’impatto ambientale e sociale delle proprie azioni.

L’orientamento di green retail marketing prevede un raggio d’azione molto ampio, che il commerciante può declinare nelle seguenti leve:

  • prodotto green, con il referenziamento di prodotti sostenibili all’interno del proprio assortimento, per esempio, privilegiando una produzione locale o, comunque nazionale e stagionale; così come il prevedere un’offerta aggiuntiva di prodotti di seconda mano, come sempre più spesso accade nei punti vendita che operano nella moda, nello sport, nell’arredamento e nell’editoria;
  • prezzo green, con la valutazione dell’impatto in termini di desiderio di acquisto e, quindi, dell’accessibilità a un prodotto sostenibile, in funzione dell’effettiva disponibilità dei clienti a pagare un prezzo premium;
  • promozione green, con una comunicazione volta a evidenziare la relazione esistente tra prodotto e ambiente, a incoraggiare uno stile di vita e a promuovere un’immagine aziendale sostenibile;
  • presentazione green, con la pianificazione e gestione coerente dello spazio in chiave di comunicazione green rispetto alle scelte di design e visual merchandising;
  • personale di vendita green, con il processo di selezione, formazione e crescita dei dipendenti inteso a garantire l’inclusione sociale e a creare condizioni di lavoro favorevoli e stipendi coerenti con una crescita negli standard della qualità di vita attraverso un sistema organizzativo che ne faccia crescere le capacità e conoscenze.

Foto di cestino con pomodori

In termini più generali, l’obiettivo del green marketing è massimizzare la produttività, la solidità e l’efficienza aziendale e di raggiungere benefici rispetto al mercato, quali: il miglioramento della reputazione e dell’immagine aziendale, l’aumento della motivazione del personale e la conseguente creazione di un migliore clima interno, la crescita delle opportunità di mercato e, quindi, anche di fidelizzazione della propria clientela.

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In altri termini, il green retail marketing non è più una scelta, nemmeno per le realtà più piccole, perché essere sostenibili non è una decisione morale o una tendenza alla moda da adottare: è una necessità fondamentale, una questione urgente per il mondo intero, nessuno escluso.

In effetti, un numero crescente di aziende intraprende iniziative per migliorare il proprio impatto ambientale e sociale, come l’attuazione di politiche di limitazione dei rifiuti, la riduzione della plastica contenuta negli imballaggi, l’utilizzo di energia sostenibile e la compensazione dell’anidride carbonica prodotta, ma anche la gestione responsabile della catena di fornitura, l’integrazione di criteri di selezione dei fornitori socio-ambientali per sostenere i fornitori locali e la limitazione dell’utilizzo di pratiche non conformi lungo la catena di fornitura.

Come dimostra il riconoscimento Impredigreen sviluppato da Confcommercio con la Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna di Pisa, l’Enea, l’Asvis e il Conai, sono tantissimi i piccoli/grandi comportamenti virtuosi che anche una piccola impresa può mettere in pratica.

Logo Imprendigreen con banner zero-waste

Tuttavia, il più delle volte, nel punto vendita questi sforzi vengono comunicati in modo poco evidente o non facilmente comprensibile, se non addirittura del tutto ignorati, con il risultato che la clientela non dispone delle informazioni necessarie per prendere decisioni di acquisto che tengano conto degli effetti delle loro scelte.

In altri termini, non basta proporre un’offerta di fornitori/prodotti a ridotto impatto ambientale e sociale, ma occorre anche attivare azioni di comunicazione che migliorino la consapevolezza e l’educazione dei clienti.

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A volte basta poco per stimolare la sensibilità delle persone come, per esempio, l’apporre un semplice invito all’acquisto di prodotti locali e/o stagionali in prossimità del display.

Meglio ancora se si giungesse alla creazione di una storia avvincente incentrata sulla sostenibilità da raccontare nello stesso punto vendita. Si pensi a una azione congiunta di comunicazione con alcuni produttori selezionati nel promuovere la loro responsabilità a operare con senso civico per aiutare le collettività locali, offrendo ai dipendenti e ai residenti programmi sanitari e servizi didattici, progetti di edilizia abitativa e relativa manutenzione, infrastrutture affidabili come centri sociali, scuole, nuclei sportivi, strade, ospedali e impianti di acqua potabile.

Fino a giungere a una dichiarazione di intenti con cui si può accogliere il cliente all’ingresso del punto vendita comunicando, in modo chiaro e sintetico, gli impegni concreti in termini di sostenibilità come, per esempio:

  • l’offrire una gamma di prodotti sostenibili;
  • il collaborare con associazioni sul campo per preservare l’ambiente e aiutare coloro che ne hanno bisogno;
  • il promuovere le pari opportunità;
  • il proporre un ciclo di vita circolare, sociale e solidale;
  • il trasformare le attività del punto vendita per ridurre l’impatto ambientale.

Foto di telefono che scansiona un qrcode

In altri termini, non si tratta solo di incorporare la sostenibilità nell’esperienza d’acquisto stessa, ma anche di garantire il collegamento delle strategie del punto vendita con i valori e le aspirazioni dei clienti consapevoli di oggi e soprattutto di domani.

Ora più che mai, il punto vendita deve ergersi come un potente strumento educativo: un ambiente vocato al dialogo costruttivo con cui fidelizzare la clientela secondo un orientamento di lungo periodo con una proposta di valore che si rivolga non solo al singolo consumatore, ma a tutta la collettività, non solo nei momenti dell’acquisto e del consumo, ma anche nel lungo periodo.

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