Crisi “senza precedenti” in RD Congo, il cardinale Ambongo: la nazione è in pericolo

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L’appello dei leader regionali per un cessate-il-fuoco immediato e l’esortazione alla pace dell’arcivescovo di Kinshasa nella Messa celebrata ieri nella capitale congolese

Giada Aquilino – Città del Vaticano

Sono ore di attesa cariche di tensione quelle che si stanno vivendo nell’est della Repubblica Democratica del Congo, scosso dalle violenze degli scontri che oppongono i ribelli dell’M23, sostenuti dal Rwanda, alle forze congolesi. Un «cessate-il-fuoco immediato e incondizionato» da attuare entro cinque giorni è stato chiesto sabato dai leader dell’Africa meridionale e orientale che, temendo una conflagrazione regionale, hanno organizzato un vertice congiunto in Tanzania, con la partecipazione del presidente congolese Félix Tshishekedi — collegato in videoconferenza — e di quello  rwandese, Paul Kagame. Il risultato del summit, accolto con favore dall’Unione europea, ha riaffermato al contempo l’impegno a sostenere il Paese africano nella «ricerca di preservare la propria indipendenza, sovranità e integrità territoriale», non dimenticando una terra già devastata negli ultimi trent’anni dai ricorrenti combattimenti nelle province del Nord e del Sud Kivu. Proprio a tale prolungata sofferenza delle popolazioni locali ha fatto riferimento ieri il cardinale Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa, nella messa per la pace e in ricordo delle vittime nei territori del Kivu, celebrata nella capitale congolese: «La nazione è in pericolo», ha subito avvertito.

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Morti e sfollati: unrge una pace «vera e duratura»

La città di Goma, il capoluogo del Nord Kivu, è stata conquistata dall’M23 e dalle truppe di Kigali all’inizio di febbraio dopo combattimenti che secondo l’Onu hanno causato almeno 2.900 morti, con oltre 658.000 sfollati negli ultimi tre mesi — di cui più di 282.000 sono bambini, riferisce l’Unicef — mentre il conflitto si sta estendendo nel Sud Kivu. Secondo fonti locali e di sicurezza, sabato si sono registrati scontri a circa sessanta chilometri dal capoluogo Bukavu, i cui residenti hanno già iniziato ad abbandonare la città, mentre nella giornata di ieri la linea del fronte è stata più quieta. Nella sua omelia, il cardinale Ambongo Besungu ha parlato di crisi umanitaria e di sicurezza «senza precedenti», esprimendo dolore e «indignazione» per l’«orribile spettacolo macabro» a cui si sta assistendo. L’invito ai fedeli è stato a pregare per le vittime, per i feriti, per quanti interessati dal conflitto e «per il ritorno della pace», implorando «il Signore di toccare il cuore di tutti i protagonisti, perché diventino tutti artigiani di una pace vera e duratura» nella nazione e nella regione dei Grandi Laghi. Proprio l’esortazione affinché «tutti accolgano l’appello di Dio» alla pace è stata più volte rimarcata dal porporato, che ha spinto ad «andare in profondità» riguardo ai motivi e ai mali che «ci dividono e ci mettono gli uni contro gli altri».

Il coraggio di andare oltre

Riferendosi al fallimento delle precedenti iniziative di riconciliazione, l’arcivescovo di Kinshasa non ha taciuto le complessità delle cause di questi conflitti: «rivendicazioni identitarie», «appetiti economici», «ambizioni espansionistiche di alcuni dei nostri vicini» che, ha aggiunto, «sostenuti dalle multinazionali, stanno subappaltando complicità interne e tutto questo sotto lo sguardo impotente della comunità internazionale». Da anni, ha evidenziato, «denunciamo» tale realtà, ricordando che la Repubblica Democratica del Congo «rimarrà una e indivisibile». Di qui una esortazione ad «abbandonare ogni interesse egoistico per costruire la pace», uscendo da disperazione e miseria. Dal cardinale è arrivata anche la sollecitazione ad «accogliere» l’appello lanciato dalle Chiese cattolica e protestante alle parti in guerra per abbandonare le armi e cercare «soluzioni alle loro rivendicazioni attraverso il dialogo». L’auspicio, nel quadro del «patto sociale per la pace e la buona convivenza» proposto, è stato che le parti accettino di «sedersi attorno allo stesso tavolo» e che si segua «la strada della cooperazione transfrontaliera con tutti i Paesi limitrofi per interessi vantaggiosi per tutti, senza danneggiare nessuno». Invocato quindi uno sforzo ulteriore dalla comunità internazionale per «avere il coraggio di andare oltre le semplici dichiarazioni e usare tutta la propria influenza» in modo da fermare le violenze. La pace, quindi, va vista come quell’«ideale comune» che punta a ricostruire l’unità e la coesione, perché «se vogliamo salvare il Congo» non si può perdere «altro tempo».



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