Cronache ischitane: breve guida esistenziale alla scoperta dell’Isola Verde

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Premessa necessaria

Ischia è una delle dieci isole più belle al mondo, anche se assurge agli onori della cronaca, generalmente, per altro. La narrazione del quotidiano, oggi più che mai, è diventata la deformazione del peggio del reale, e un’isola già distante ed estranea, si presta ad essere raccontata soprattutto per le sue mancanze e per le sue calamità naturali e non.
Chi ci vive da sempre sull’isola poco ci bada, preso com’è dal quotidiano, quotidiano che è legato al cambiamento incessante del luogo ad opera della natura.
Se si lavora nel settore turistico, nei mesi invernali, quando il flusso un po’ cala, si cade in letargo come accade al mondo intorno, perché su un’isola ci si sincronizza con le stagioni. E se da una parte la vita continua ad essere scandita dalla provvisorietà esistenziale, restano anche i bisogni e le certezze antiche, validi sia per gli abitanti dell’isola, sia per gli abitanti della terraferma: la famiglia, la casa. Ma se il lavoro è stagionale, e l’autonomia economica è una chimera, è più facile allargare, per le famiglie d’appartenenza, le case, così da garantire un tetto alle nuove generazioni.
Vivendo tutti insieme, vecchie e nuove generazioni, non c’è bisogno di chiedere allo Stato, e anche i conflitti umani, la solitudine esistenziale, dovuti alla mancanza di affetti e alle scarse finanze vengono abbattuti, senza bisogno di welfare.
Una condizione che è anche della terra ferma, oggi, e che rende l’isola meno distante da resto del mondo.
Gli esseri umani sono pigri e preferiscono ripetere gli schemi adattativi che conoscono, piuttosto che andare oltre. E se sulla terraferma si cerca la stabilità, attraverso un lavoro, sull’isola basta chiedere spazio all’isola stessa per modificare l’andamento della propria vita, non solo costruendo ma anche curando un orto, come del resto ha fatto a “La Mortella” sir William Walton, trasformando una cava in uno splendido giardino.
Un isolano si sente parte di un mondo dove lui è Robinson Crusoe, e tutto quello che riesce a strappare alla natura è suo. E se le case appaiono e scompaiono, accade perché rappresentano anche un investimento, da sfruttare nella bella stagione, per la magra invernale, vivendo di rendita, alla maniera dei padroni del mattone sulla terraferma.
Per queste ragioni i condoni diventano un modo per lo Stato per pacificare gli animi, e ottenere voti, e quando la terra trema nessuno si scoraggia.
Il calore che la terra promana si sente sempre, e quando arriva una scossa più forte si riprende a vivere da capo, ben oltre le macerie, come fa la stessa natura.
Chi va per mare, cerca la terra ferma, ma chi in mezzo al mare ci vive, seduto, per giunta su un vulcano, inizia a vivere come un segugio alle calcagna della natura stessa, assorbendone le abitudini, gli umori, ma anche ricercando strenuamente una qualità della vita che diventi il necessario contraltare alla bizzarria del luogo.
Una cosa che nei mesi invernali diventa pressante.
Il vento con il suo suono assordante, e il mare che gli risponde in maniera repentina, mettono in discussione ogni cosa.
La ricerca di un ancoraggio che vada al di là di ciò che l’occhio vede, il mare, fa sì che chi dal mare è distante, creda di potersi muovere, e di essere parte di una comunità estesa, come se ci fosse terra a disposizione in ogni dove, e per questa ragione venga preso dallo scoramento. Chi vive sull’isola questo sentimento lo ignora, sa che niente resterà uguale, neppure le albe e i tramonti che stordiscono, per quanto sono mesmerizzanti.

Il mare
Il mare, che si viva su di un’isola o si viva altrove, viene considerato un luogo che serve per soddisfare la fame durante l’anno, e per dare refrigerio d’estate. Se questo accade è per l’abitudine di vedere il mare, dalle parabole bibliche in poi, solo come luogo da attraversare e da cui trarre sostentamento.
Che il mare sia un polmone, necessario, per garantire un equilibrio all’intero pianeta ce ne ricordiamo solo, quando, d’estate, controlliamo i dati di balneabilità delle acque, quando parliamo del buco dell’ozono, buco che provoca lo scioglimento dei ghiacciai ai Poli, e quando ci indigniamo per l’invasione della plastica nelle acque di tutto il mondo.
Sono attimi, attimi che durano il tempo di un appello sdegnato, sdegnoso e nulla più.
Neppure la Letteratura ha potuto cambiare questa predisposizione umana, per quanto Melville e Hemingway, tra gli altri, abbiano raccontato il mare e il suo rapporto con l’uomo in maniera cruda e realistica.
Con un’isola, che è mentalmente e materialmente distaccata dalla terraferma, diventa ancor più difficile ragionare in termini di inclusione.
Nel caso di Ischia, gli unici ad aver visto l’isola in maniera oggettiva sono stati gli artisti e Angelo Rizzoli, che a Lacco Ameno ha dato un’impronta differente al luogo, costruendo, anche, l’ospedale.
Un imprenditore, Rizzoli, che vedeva al di là, e che come gli artisti aveva un parametro di valutazione della realtà differente.
Potersi muovere in una zona in cui i rapporti sono improntati alla semplicità, tendendo l’occhio all’indipendenza e alla qualità della vita, è un modo utile di vivere.
Un artista ed un imprenditore illuminato non hanno interesse a deformare il luogo in cui stazionano, per ripetere schemi di vita dai quali rifuggono.
Non vedono nei luoghi di vacanza, un’isola è il luogo di vacanza per eccellenza, solo dei grandi contenitori da riempire di cemento, mentre intorno la natura fa da cornice.
Questi schemi di vita si sono imposti con la nascita delle agenzie di viaggi, e delle vacanze tutto incluso, partendo dal Sestriere, immaginato dagli Agnelli come alternativa, più economica, a Gstaad.
Nasce anche in quel momento la contrapposizione vacanze al mare/vacanze in montagna, contrapposizione che ha ulteriormente esacerbato la situazione, ed ha allargato la forbice del reale. Nel senso che si sono create delle zone artificiali, in cui apparentemente la vita è bella ed è da fiaba, facendo sì che prendesse piede quest’idea della vacanza totalmente scollegata dal contesto, una logica diffusa in tutto il mondo, basti pensare anche ai “Club Med”, nati, spesso, in mezzo a realtà sociali degradate.
Questo modo di vedere i luoghi per le vacanze, sempre e solo in maniera unidimensionale, fa sì che si lasci carta bianca a chi nei territori vacanzieri vive, senza farlo sentire, allo stesso tempo, parte del mondo degli altri, visto che chi vive nei luoghi adibiti alle vacanze per gli altri, come accade a Ischia, deve accogliere i turisti, garantendogli il più possibile una vita fotocopia, identica a quella in città, con l’aggiunta del paesaggio, del relax e di tutti gli stereotipi possibili, criminalità compresa.
Poco conta se non esiste omogeneità e nella realtà si procede per rattoppi. L’occhio troverà sempre la natura e il mare come diversivi estetici, gli unici diversivi che interessino tutti e che mettano tutti d’accordo, si è pur sempre in vacanza, in fin dei conti.
E così la bellezza fa da analgesico alla difficoltà di accettare il rapporto, sempre più irrisolto, tra l’uomo e la natura, rapporto che su un’isola è la base del vivere, l’essenza, e che vale per gli isolani e per i turisti.
Gli elettori votano senza pensare, e per questa ragione chi governa dovrebbe pensare e operare seriamente, e la messa in sicurezza del territorio, territorio su cui si è chiamati a governare dovrebbe essere la priorità, al netto delle processioni, dei fuochi d’artificio e delle feste, iniziative necessarie solo per vendere pacchetti turistici a turisti sempre più ciechi e mentalmente trasandati.
Loro non resteranno (e forse nemmeno torneranno a Ischia) il mare sì, allo stesso modo degli abitanti dell’isola.

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