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“STIAMO VIVENDO una rivoluzione della globalizzazione”. Natasha Linhart è la Ceo di Atlante, distributore esclusivo per l’Italia di una pluralità di marchi internazionali nel settore del food. A distanza di 30 anni dalla nascita l’azienda alimentare che ha sede a Casalecchio di Reno, a Bologna, continua a crescere con 160 siti produttivi, duemila prodotti e 130 clienti sparsi nei vari continenti. Il fatturato aumenta, ma di pari passo le difficoltà del commercio sono sempre dietro l’angolo. Conflitti alle porte dell’Unione europea, prezzi di molte materie prime alle stelle e costi di produzione minacciati dal costo dell’energia e dal costo dei salari sono alcune delle variabili che ogni giorno mettono in crisi il settore. “Per questo serve sempre di più una pianificazione, in tutte le parti della filiera”, prosegue Linhart.
Il vostro fatturato sta crescendo, nonostante le sfide del mercato e i conflitti internazionali. Che 2025 prevedete? “In questi anni abbiamo cercato di guadagnarci la fiducia dei nostri partner commerciali, clienti e produttori, lavorando sulla condivisione delle informazioni e delle scelte strategiche da adottare proprio in virtù delle varie sfide. Parte del nostro lavoro è quello di proporre soluzioni e negli ultimi anni, vuoi per via dei conflitti, vuoi per via delle fluttuazioni dei prezzi delle materie prime, vuoi per gli intoppi nella supply chain, abbiamo studiato e offerto soluzioni varie. Questo ci ha generato una crescita di fatturato nei confronti dei clienti e un desiderio da parte di produttori italiani ed esteri di lavorare con noi. Abbiamo chiuso il 2024 con 270 milioni di fatturato e abbiamo un obiettivo per il 2025 di 300. Il piano per il 2026 è di portare un’ulteriore crescita, pari a 330 milioni”.
Il mercato del food, negli anni, quanto è cambiato? “Parliamo di epoca pre-Covid e post-Covid. Il sistema cosiddetto ‘just-in-time’, in vigore prima del Covid, ovvero l’efficienza totale della supply chain e la stabilità dei prezzi, non esiste più. Ci siamo accorti improvvisamente che le navi potevano rimanere incastrate nel Canale di Suez e che il flusso mondiale delle merci poteva essere sconvolto. Ci siamo resi conto che il grano, l’olio di semi di girasole e tante altre commodities non erano più disponibili per via della guerra in Ucraina, così come ci siamo accorti che i cambiamenti climatici potevano azzerare la disponibilità di caffè o cacao. O come l’agricoltura ‘spinta’ dell’ulivo in Andalucia o del mandorlo in California, creano desertificazione con conseguenze sotto gli occhi di tutti. Ma anche che il sistema dei dazi, come leva protezionistica, poteva essere un boomerang, vedi lo zucchero, e che il prezzo dell’energia, che per molte industrie energivore come quella della pasta, non era un problema in passato. Oggi bisogna essere esperti di finanza, capire i concetti agronomici complessi, essere informati su quello che sta succedendo nel mondo. Ci vuole coraggio. Noi ci sentiamo alleati dei nostri clienti e dei nostri produttori. È attraverso una visione dell’insieme della supply chain, end-to-end, che si possono identificare le migliori strade”.
Volete crescere ancora di più nell’export, arrivando alla quota del 50% del fatturato. Quali sono i mercati su cui puntate maggiormente? “Siamo appassionati di cibo italiano e crediamo ci siano ancora molte persone nel mondo che possono apprezzarlo. Il Giappone e la Corea del Sud, ma anche tutto il Sud-Est asiatico e certamente la Cina. Abbiamo iniziato a servire il Sud Africa negli ultimi anni e vediamo che alcuni dei prodotti più apprezzati sono specialità di alta gamma, come cioccolata piemontese o formati di pasta molto particolari. Il Regno Unito e la Svizzera sono paesi che conosciamo bene ma che vediamo ancora molto interessanti per il nostro sviluppo. In Inghilterra, nel 2025, parteciperemo a fiere e faremo dei bellissimi eventi con il supporto della nostra ambasciata e del nostro istituto per la cultura. Momenti per combinare l’arte e la musica con il cibo italiano e dargli valore”.
Quali sono i principali paesi competitor dell’Italia in materia? “Dovunque andiamo e presentiamo le nostre proposte di pasta, prodotti a base di pomodoro, antipasti e olio, ci scontriamo con l’offerta turca. La Turchia è competitiva e fa dei buoni prodotti. Sono competitivi addirittura nel materiale d’imballo. Per l’ortofrutta, che per noi rappresenta le nostre esportazioni di mele e kiwi italiani verso l’India, troviamo che la Polonia ci batte quasi sempre sul prezzo. Noi cerchiamo di puntare sulla qualità, che il nostro Trentino certamente offre, ma di questi tempi il prezzo è molto importante”.
Porti congestionati, costi della benzina e della luce alle stelle, quanto è diventato difficile il commercio oggi, nonostante un mondo sempre più globalizzato? “La supply chain è un argomento che ci tocca da vicino tutti i giorni, non solo per le incredibili oscillazioni dei costi dei noli e delle tratte in generale, ma per l’imprevedibilità del servizio. Questo ci obbliga a rivedere i livelli di stock, a rivedere la geografia delle origini dei prodotti, a pianificare con grande anticipo e ad attenzionare i flussi finanziari”.
Sulle materie prime e sulla produzione quanto pesa il cambiamento climatico? “Questo è probabilmente il tema più importante. Noi seguiamo da vicino l’andamento delle materie prime e vediamo che in moltissimi casi i problemi sono causati da questioni climatiche. Attenzione però a non dare tutta la colpa al cambiamento climatico quando si mettono in atto pratiche agronomiche che danneggiano profondamente il nostro pianeta”.
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