Sediamo la rivolta contro le regole digitali, è in gioco la stessa democrazia

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La copertina del The Economist di inizio febbraio lo suggerisce senza tanti giri di parole: è in atto un’autentica rivolta contro la regolamentazione, in particolare, del settore digitale. Il grido dei rivoltosi è, più o meno, sempre lo stesso: le regole frenano l’innovazione tecnologica che rappresenta la più straordinaria delle leve disponibili per sollevare l’economia globale.

È una rivolta che parte dai colletti bianchi, dalle élite, dai governi delle economie più sviluppate e che ospitano i giganti della tecnologia. A scandire, di recente, lo slogan della rivolta, non a caso, è stato Donald Trump, nel suo primo giorno da presidente rieletto degli Stati Uniti d’America, nell’annunciare l’abrogazione dell’executive order con il quale il suo predecessore, Joe Biden, aveva provato a regolamentare l’impatto dell’intelligenza artificiale sulla società.

Si tratta però di una rivolta che, a prescindere dalle sue origini altolocate, ha una presa straordinaria anche sulla gente comune, sulle masse, su chi fa fatica a arrivare alla fine del mese, perché, naturalmente, se si racconta che le cose potrebbero andar meglio se si regolamentasse di meno, se si lasciasse correre di più il progresso tecnologico, se ci si sottraesse al rischio di vedersi sistematicamente sorpassare nella corsa globale verso il futuro da economie e industrie di Paesi che – almeno nella narrativa che serpeggia tra i rivoltosi – regolamentano di meno e innovano di più, è facile trovare consensi, sostenitori e manifestanti in ogni settore della società.

Proprio per questo è una rivolta pericolosa che andrebbe sedata sul nascere. Perché la causa è sbagliata, la narrativa fuorviante e ipocrita, le conseguenze drammatiche. «Il progresso tecnologico è come un’ascia nelle mani di un criminale patologico!». Non sono le parole di un luddista ma quelle di Albert Einstein, uno scienziato con pochi eguali nella storia dell’umanità. Solo le regole possono sfilare quell’ascia dalle mani di quel criminale e trasformare uno strumento di offesa in uno strumento di vero progresso. E il vero progresso, il solo che dovremmo abituarci a considerare innovazione, è quello del quale parlava Henry Ford quando diceva che «c’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti». Niente di più lontano rispetto a quello che sta accadendo, con i vantaggi delle nuove tecnologie asserviti all’interesse economico e politico di pochissimi, grazie a inedite concentrazioni di potere tecno-finanziario.

Le regole servono anche a questo: a garantire la distribuzione dei vantaggi tecnologici, a scongiurare il rischio che si rafforzino oligopoli tecno-commerciali capaci di rendere interi mercati ormai incontendibili, annientando la libertà di concorrenza, con effetti insostenibili per miliardi di utenti e consumatori in tutto il mondo.

Le commistioni tra Big Tech e potere politico

Ma le regole servono anche per evitare che si creino alleanze invincibili tra l’industria tecnologica e il potere politico. Perché quando questo avviene – e sta avvenendo tanto rapidamente che nelle fila dei rivoltosi dell’anti-regolamentazione digitale militano i più grandi oligopolisti tecnologici e i leader di alcune superpotenze – è la stessa idea di una società democratica a essere minacciata. Gli oligopoli digitali di oggi sono pressoché integralmente basati sulla conoscenza profonda di cinque miliardi di persone – la maggioranza assoluta della popolazione globale – acquisita da meno di dieci giganti tecnologici, una conoscenza che garantisce a questi dieci giganti e ai loro partner politici un potere di manipolazione di massa dell’opinione pubblica globale senza precedenti.

Chi controlla le tecnologie, oggi, controlla le persone in tutte le dimensioni della loro vita, lasciando loro, anzi lasciando a noi, solo un’illusione artificiale di libertà. Ecco, per questo, la causa della rivolta è semplicemente sbagliata, perché è una rivolta egoistica e elitaria che sacrifica l’interesse dei più sull’altare di quello di pochi.

Ma è anche una rivolta basata su una narrativa fuorviante e ipocrita: l’obiettivo dei rivoltosi, infatti, non è eliminare le regole, ma lasciare che le regole siano dettate a mezzo tecnologia. Lo spiegava in modo insuperabile Stefano Rodotà in tempi non sospetti: quando lo Stato arretra nel governare la tecnologia, la tecnologia avanza e diventa regolamentazione, plasmando la vita delle persone e della società con la sua forza irresistibile, a mezzo software, interfacce e oggi algoritmi di intelligenza artificiale. Se ci fermiamo un istante a pensarci, sta già accadendo. Decine di comportamenti, il modo in cui ci muoviamo nelle nostre città e il modo in cui viaggiamo, il modo in cui comunichiamo, quello che compriamo e, sfortunatamente, sempre di più, anche quello che pensiamo a proposito delle grandi questioni politiche.

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In realtà, quindi, quando si suggerisce che dovremmo fare a meno delle regole in nome dell’innovazione, si sta suggerendo di fare a meno delle regole democratiche per lasciare spazio a quelle tecnocratiche. La tecnocrazia al posto della democrazia, insomma. È una rivolta che va fermata il prima possibile perché sta generando una confusione pericolosa inducendo anche le masse a pensare che le regole, il loro, il nostro più prezioso alleato, lo strumento per eccellenza di difesa dei diritti e delle libertà fondamentali e l’unico scudo a disposizione dei più deboli contro i più forti siano, in realtà, delle avversarie e dei nemici da fermare, neutralizzare e sconfiggere.

È vero il contrario: dovremmo spingere le persone a innamorarsi delle regole democratiche senza le quali è la stessa umanità a essere in pericolo. Poi che sia urgente e necessario, oggi più di sempre, un ripensamento profondo sul modo di scrivere le regole, sui tempi dei processi regolamentari ormai incompatibili con quelli dell’innovazione tecnologica è una questione diversa che non andrebbe strumentalizzata, come fanno i rivoltosi, per raggiungere obiettivi politici e commerciali egemoni. (riproduzione riservata)

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