Trump l’imperialista crea le regole e svuota il diritto internazionale

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Parlando seriamente di quel signore che risponde al nome di Donald Trump, potrei senz’altro dire che sin dai primi vagiti del suo mandato presidenziale si intravedessero già i segnali di quella che sarebbe stata la sua dottrina. Panama, Groenlandia, Canada, la guerra commerciale dei dazi e via dicendo, mettono in evidenza non tanto i tratti di un pazzo alla guida di un impero, una sorta di Caligola dei giorni nostri, quanto piuttosto quelli di un attento costruttore di nuove strategie di potenza. E Trump lo fa a tamburo battente.

Il potere degli Stati Uniti è imperiale anzitutto in senso strategico: grazie alla sua assoluta superiorità militare, Washington può fare ciò che le pare e piace in buona parte del mondo, Groenlandia compresa. Il termine “impero”, però, è insidioso, perché presupporrebbe una visione del mondo globalizzata. Trump, invece, intende mettere in soffitta la globalizzazione come l’abbiamo conosciuta e interpretata fino a oggi.

Si potrebbe anche dire che la sua sia una dottrina Monroe con una proiezione universalistica ma non globalizzata. Il presidente Monroe affermò che qualsiasi ingerenza di potenze straniere negli affari politici del continente americano sarebbe stata considerata ostile agli Stati Uniti. Trump, tuttavia, è anti-cosmopolita, e la sua ragion politica prevede un mondo diviso in precise sfere di influenza, in cui le grandi potenze agiscono a proprio piacimento senza interferire negli affari altrui.

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È chiaro che, laddove una superpotenza governa, gode anche di una completa supremazia militare e fa della propria (gradassa) invincibilità il fondamento della sua justa causa belli, trattando il nemico, tanto sul piano morale quanto su quello giudiziario, come un bandito e un criminale. Come, per esempio, fa Putin con Zelensky o, per altri versi, la Cina con Taiwan.

Contro il principio kelseniano del primato del diritto internazionale, il Trump no-global (e con lui Putin e Xi) ripropone con forza idee come l’equilibrio tra le grandi potenze, la diplomazia preventiva, la tutela dei propri interessi attraverso la negoziazione in forma bilaterale o multilaterale tra Stati (Canada, Messico) e i sistemi di cooperazione rafforzata, il diritto delle genti (una sorta di diritto pubblico “spazializzato” all’interno di ogni singola sfera di influenza) come strumento regolatore dei conflitti e delle relazioni, lo svuotamento delle organizzazioni sovranazionali (ONU) e dei meccanismi di giustizia internazionale (Cpi).

Se tutto questo fosse vero, l’Europa, che vive di globalizzazione, dovrà reinventarsi un futuro. Non militare, però: non glielo permetterebbero. L’Europa è solo una provincia dell’impero. La domanda, in conclusione, è: certo, ma di quale?

Per tutto quanto detto, è evidente che il viaggio ufficiale del premier israeliano negli USA rappresenta, tra evocazioni e provocazioni, anche uno sgarbo alla Corte penale internazionale. Tutto fa brodo nell’immaginario giuridico trumpiano, e quale occasione migliore per inaugurare il suo mandato se non la visita di un imputato per crimini internazionali? Da qui alla riviera di Gaza il passo è breve – e militare. E criminale (in senso tecnico, crimini contro l’umanità). Trump ha anche firmato un ordine esecutivo che impone sanzioni alla Corte penale internazionale, accusandola di “aver intrapreso azioni illegali e infondate contro l’America e il nostro stretto alleato Israele”. 

La Striscia di Gaza fa parte, come sappiamo, di uno Stato in via di riconoscimento: la Palestina. Questo Stato è membro della Corte penale internazionale dopo un lungo e acceso dibattito al suo interno. È anche osservatore delle Nazioni Unite, ha una travagliata storia interna e dovrebbe esercitare sovranità sui territori palestinesi (Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, e Striscia di Gaza) confinanti con Giordania, Israele ed Egitto.

Trump ha dichiarato che Gaza sarà consegnata (Sic!) agli Stati Uniti da Israele al termine dei combattimenti. Netanyahu ha risposto che è una straordinaria idea. E ha continuato: “Si può lasciare Gaza su base volontaria”. E chi se ne importa, poi, se il progetto di trasferire 1,7 milioni di civili che vivono a Gaza viola la Convenzione di Ginevra sui diritti umani, che gli Stati Uniti hanno sottoscritto? Israele, del resto, ha anche annunciato che seguirà la decisione statunitense e si ritirerà dal Consiglio per i diritti umani dell’ONU per “discriminazione” nei suoi confronti.

A questo punto, le ipotesi sono due. O è una gigantesca presa in giro in stile Scherzi a parte oppure è iniziato – con un ritmo tutt’altro che lento – il riassestamento delle sfere di influenza, in cui una superpotenza, forte della sua supremazia militare e imperiale, fa ciò che le pare senza rendere conto a nessuno: nella sua parte di mondo crea le regole, le applica e giudica i conflitti. Il conseguente svuotamento delle organizzazioni sovranazionali, come l’ONU, e della giustizia internazionale ne è la logica conseguenza.

No, non siamo su Scherzi a parte!

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Nella foto la Corte penale internazionale





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