Basta allarmismo su giovani e alcol, l’emergenza non c’è

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Sebbene la questione risalga a 30 anni fa e ogni anno sia stato dipinto dai media come più drammatico del precedente, molti studi (qualitativi e quantitativi) smentiscono quasi tutte le affermazioni ricorrenti

Da oltre 30 anni studio il fenomeno del bere da un punto di vista sociologico, con particolare attenzione ai giovani. Per questa ragione faccio un salto sulla sedia ogni volta che vedo un titolo di giornale sul tema. Poi, con rassegnazione, leggo sapendo già cosa mi aspetta.

L’articolo apparso su Domani lo scorso 22 gennaio è perfettamente in linea con i toni allarmistici usati dai media negli ultimi 20 anni. Chi sui giornali scrive di giovani e alcol sembra si senta sempre in dovere di usare espressioni quali “pandemia alcolica”, “generazione alcolica”, “allarme alcol”, “teneri alcolisti” e fare gran uso di percentuali piegate a supporto della tesi di partenza: cresce l’allarme alcol tra i giovani.

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Non è difficile, basta scegliere un numero, un dato puntuale, senza neppure grattare oltre l’etichetta per interrogarsi cosa quel numero misuri realmente. Ed è così che, ad esempio, dal rapporto della Commissione europea (Oecd, 2024) si riporta che, in linea con i dati Usa, oltre il 30 per cento dei 15enni si è ubriacato più di una volta nella vita, concludendo che anche in Italia il trend sarebbe cambiato, ovviamente in peggio.

Trend in diminuzione

Tuttavia basterebbe leggere con un minimo di attenzione il rapporto per mettere in dubbio queste certezze: «Osservando le tendenze a lungo termine, si è registrata una significativa diminuzione della percentuale di adolescenti che riportano episodi ripetuti di ubriachezza negli ultimi due decenni. Nel 2002, il 39 per cento dei ragazzi di 15 anni nei paesi dell’Ue dichiarava di aver vissuto episodi ripetuti di ubriachezza, ma questa percentuale è scesa al 23 per cento nel 2022».

È dunque vero che adolescenti e giovani bevono sempre di più? Secondo i dati relativi al 2022 riportati dall’ultima relazione al parlamento sull’alcol, il trend degli ultimi 10 anni è in diminuzione in tutte le fasce di età giovanili (11-24 anni), tranne tra le ragazze di 18-24 anni. La riduzione è significativa tra gli 11-17enni, sia maschi sia femmine. Anche il dato sulla cosiddetta abbuffata alcolica (binge drinking) è in diminuzione, tranne tra le ragazze, andamento confermato dallo studio europeo Espad (2023).

Il decremento dei consumi di alcolici nelle società occidentali, in particolare tra i giovani, è una tendenza in corso sin dal primo decennio del nuovo millennio, tanto che sembra che il bere abbia perso il suo fascino nella Generazione Z. Ma quali sono le ragioni? È una domanda che ha sollecitato gli studiosi e sono già molte le pubblicazioni e i convegni sul tema. Peccato che questo tema in Italia non solo non susciti interesse ma in pochi sembrano essersene accorti.

De-normalizzazione del bere

Il fenomeno è complesso e influenzato da diversi fattori sociali, culturali ed economici. Questa tendenza può essere attribuita a una maggiore consapevolezza degli effetti nocivi dell’alcol, all’attuazione di iniziative di prevenzione associate, a cambiamenti normativi ma soprattutto sociali.

È sicuramente maggiore la diffusione di stili di vita salutari, ma sono mutate anche le norme sociali: mentre fino a poco tempo fa essere astemio implicava il rischio (o almeno il timore) di essere esclusi dal gruppo, oggi tra i giovani, soprattutto tra i giovanissimi, si assiste a una sorta di de-normalizzazione del bere. Ci si interroga inoltre sul ruolo dei social, che hanno cambiato le abitudini di svago dei giovani, oggi più propensi a restare a casa.

Sebbene la questione alcol e giovani risalga a 30 anni fa e ogni anno sia stato dipinto dai media come più drammatico del precedente, molti studi (qualitativi e quantitativi) smentiscono quasi tutte le affermazioni ricorrenti. Le denunce allarmistiche sul bere giovanile spesso incolpano i giovani di aver abbandonato la cultura tradizionale del bere, come se questa fosse esente da rischi, a favore di stili di consumo orientati all’intossicazione tipici delle culture nordiche.

In realtà le evidenze smentiscono questa ipotetica omologazione e indicano che le nuove generazioni riflettono maggiormente sugli effetti ricercati nell’alcol e sullo spazio temporale, sociale, psicologico da riservare all’uso occasionale più intenso. Rispetto al bere “tradizionale” poi in pochi ricordano che alla fine degli anni ’70 il consumo di alcol pro capite in Italia era quasi tre volte rispetto a quello di oggi: circa 20 litri di alcol puro contro gli attuali 7,8!

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Queste riflessioni vogliono essere un invito a guardare alla complessità del fenomeno, senza ridimensionare i problemi nel breve e nel lungo termine legati agli eccessi alcolici.


Franca Beccaria, sociologa, è presidente dell’Istituto di ricerca e formazione Eclectica+ e coordinatrice scientifica del master EMDAS (European Masters in Drug and Alcohol Studies)

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