East Hampton, 1958 ca. cm.21.5×20.5 foto di Hans Namuth
Tra Orani e Cabras un itinerario, andata e ritorno, che attraverso l’arte di Costantino Nivola arriva fino al lontano passato dell’umanità, prima della scrittura, e dalla preistoria giunge fino alle ricerche dello scultore sardo tra primitivismo, modernismo, eredità, appartenenza, comunità.
Al Museo Nivola di Orani e al Museo Civico Giovanni Marongiu di Cabras si incontrano origini remote e linguaggio contemporaneo con Sulle spalle dei giganti, La Preistoria moderna di Costantino Nivola, esposizione a cura di Giuliana Altea, Antonella Camarda, Luca Cheri, Anna Depalmas, Carl Stein. La mostra, visibile nei due centri fino al 23 marzo, pone in dialogo archeologia, architettura e arte dell’età della pietra e del metallo in Sardegna con le creazioni del geniale scultore facendo emergere le fonti che hanno illuminato i suoi meravigliosi risultati. Come attesta Giuliana Altea, “il rapporto tra la Preistoria e l’arte contemporanea è uno dei temi chiave della cultura del Novecento”: fra gli artisti sardi che, nel secondo Novecento, hanno cercato di trovare il bandolo della matassa in questa relazione un posto d’eccellenza spetta a Costantino Nivola e “ad ogni momento del remoto passato dell’isola si affiancano opere fondamentali […] in un dialogo ideale che sorprende per la puntualità dei riferimenti”. Ad aprire il cammino nell’esposizione sono i graffiti, sottili disegni impressi incidendo la materia. Essi popolano le armoniche forme – ora tinti di colore e ora solo solchi sulle superfici plastiche – similmente ai rilievi che adornano le ceramiche dell’antichità e le domus de janas, le tombe preistoriche della Sardegna, scavate direttamente nella roccia. Come scrive Antonella Camarda “non solo l’artista dissemina le sue sculture di motivi incisi memori dei petroglifi, ma, dalla metà degli anni Cinquanta, il graffito su intonaco fresco diventa una delle sue tecniche favorite per le grandi decorazioni pubbliche”, restituendo a quei segni valore comunitario.
Partito da esperienze di pittura e grafica l’artista giunge a creazioni scultoree nel 1950, con le lamiere quasi taurine de Gli Antenati, con l’invenzione del sandcast e con i Totem, monoliti di cemento che richiamano nelle fisionomie un aspetto quasi umano ed insieme primordiale e oscuro, di idoli misteriosi e noctoni. La marcata verticalità di questi elementi richiama alla mente i menhir, megaliti disseminati in Europa occidentale che tornano protagonisti di una area sociale nel progetto del 1965 Monumento a Sebastiano Satta per la Piazza plebiscito di Nuoro. Di questo capolavoro – ora conosciuto semplicemente come Piazza Satta – parlano i prospetti architettonici e i bellissimi disegni esposti. Qui cielo e terra si incontrano nella linea bianca dei palazzi, percorsa da quella sottile e bleu dell’artista mentre – nello spazio cosparso di enormi blocchi di granito su cui si stagliano piccoli bronzi raffiguranti il massimo poeta sardo – la pietra intrusiva unisce la città al suo monte e a tutta l’isola. Ad unire cielo e terra è anche l’acqua, di fronte alla sete tutto ciò che uno desidera. A questo elemento è sempre diretta l’attenzione dell’artista, letta nell’esposizione in parallelo al culto delle acque, che in Sardegna durante l’età del bronzo vede il fiorire di pozzi e fonti sacri.
Si passa così dallo studio per fontana monumentale – gioco meraviglioso di negativi e positivi visibile in marmo e filo di rame in mostra e dal vivo, come realizzazione postuma, sotto lo spazio del vecchio lavatoio, nello splendido giardino del complesso museale di Orani – alle creazioni per l’Università di Yale ai blocchi dell’area ricreativa delle Stephen Wise Tower a New York, simili al modello di vasca con scultura del 1956 per l’Ambasciata USA a Baghdad, ai confronti con Su Tempiesu e di Irru, siti di trenta secoli fa. Tra le opere esposte figurano anche sospesi progetti, come quello di Gea e Urano, simbolo di incontro tra cielo e terra, tra uomo e donna. Al tema della figura femminile, presenza costante nella ricerca di Nivola, è dedicato un ampio capitolo dell’esposizione, intessendo un confronto tra queste e le raffigurazioni di dea madre della preistoria. In esso si riflettono gli idoli dello scultore con divinità di sei millenni or sono, emblemi dai tratti sessuali sintetizzati o marcati – nei fianchi, nei seni, simbolo di prosperità e fecondità – che emergono nelle planari forme plastiche delle divine madri così come nelle rotonde e sensuali ceramiche incise e antropomorfe e nei disegni in cui il candido profilo con al centro l’ombelico rivela l’ombreggiatura del ventre. All’immagine femminile lo scultore contrappone quella maschile, il costruttore, “erede dei lontani artefici dei nuraghi, e scorge nell’idea di costruzione l’essenza stessa dell’arte”. Alla civiltà nuragica è associata la serie Buildings blocks, che riprende le torri del II millennio a.C. e i blocchi che costituiscono le squadrate forme umane sono come gli incastri dei muri a secco. Così nasce il confronto tra la piccola statuaria dell’età del bronzo – le presenze studiate da Christian Zervos e definite come “del tutto barbariche” da Winckelmann – e le enigmatiche figure d’argilla dell’artista, modellate durante il suo ultimo decennio di vita creando “guerrieri, sciamani e pastori“ e ancora “il muratore, l’artista, l’architetto”. A queste si associano Gli Antenati, invenzioni degli anni Cinquanta, che già allora portano sul capo – o al posto del capo – la tegola rovesciata che hanno i costruttori di Nivola, così simili ai curvi scudi dei pugilatori e degli eroi del Sinis.
La mostra sviluppata da Fondazione Mont’e Prama e Fondazione Nivola, percorribile come un viaggio attraverso il tempo, è il risultato di una significativa ricerca e di un importante dialogo tra istituzioni e studiosi. Essa è capace di tracciare connessioni ed elementi che hanno ispirato il primitivismo felice di Nivola facendo affiorare gli intenti, consci e inconsci, dell’artista, “erede spirituale dell’antica stirpe dei costruttori”, tra riscoperta e narrazione di sé, mitopoiesi, senso d’appartenenza, di spiritualità ed orgoglio, tra confronto con il passato e ricerca del futuro attraverso “l’esigenza modernista di un’arte per la comunità”.
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