Amore, liti e redenzioni del centrocampista della Fiorentina che non potrà mai dimenticare quel posto che chiama casa: il centrocampo della Lazio
Danilo Cataldi non se ne sarebbe mai voluto andare via da Roma, non avrebbe mai voluto smettere di vestire la maglia della Lazio. In quella città c’è nato, con quei colori quasi, li ha scelti che era piccino picciò. Essere calciatore però a volte impone sacrifici, dover lasciare il luogo e la società che si chiamano casa.
Danilo Cataldi è romano e laziale, “terribilmente romano e laziale”, diceva di lui Alberto Bollini, l’allenatore che lo lanciò titolare, sotto età (aveva sedici anni all’epoca), nella Primavera della Lazio. È soprattutto un professionista, di quelli che non possono dare meno di tutto (e pure di più) in campo, che giocano per non avere rimorsi, qualsiasi sia l’avversario che si trovano davanti.
Anche se la squadra che hanno davanti è la squadra per la quale fanno il tifo, l’unica per la quale vorrebbero giocare.
E l’unica squadra possibile per Danilo Cataldi è la Lazio.
Il 17 aprile del 2017 Danilo Cataldi vestiva la maglia del Genoa. Era andato a Genoa per giocare un po’ di più, completare la sua crescita. Proprio quel giorno rischiò di compromettere in modo irreparabile il suo rapporto con la Lazio, o meglio con i tifosi della Lazio.
Danilo Cataldi entrò al 73esimo e iniziò a fare quello che sa fare meglio: pressare, recuperare palla, far ripartire l’azione. Proprio da una sua palla recuperata, poi passata a Lazovic arrivò il gol del 2-1 di Goran Pandev. I rossoblù non se la passavano bene in quel momento: venivano da quattro sconfitte di fila e la zona retrocessione si avvicinava paurosamente. Danilo Cataldi esultò, molto. Alla curva non piacque.
“Caro Danilo, compimenti per il tuo fantastico atteggiamento al goal di un giocatore che ci infanga e ci disprezza da anni (Goran Pandev, ndr). Riteniamo che sia un insulto alla Lazio e ai suoi tifosi, da una persona, come te, che si è sempre dichiarata laziale. Ti auguriamo una lunga permanenza a Genova perché ora, nella Lazio, per uno come te non c’è più posto. Arrivederci e grazie”.
Danilo Cataldi non chiese scusa. Si spiegò però: “La Lazio per me non è e non sarà mai un semplice club. È una famiglia, una casa nel mio cuore in cui sono entrato quando avevo 12 anni. E non dimenticherò mai ogni momento vissuto con il biancoceleste addosso e con l’aquila sul petto. Grazie alla Lazio, da bambino sono diventato uomo. E soprattutto professionista. La carriera di un calciatore è anche questo, sono orgoglioso dell’opportunità di giocare nel Genoa che ha creduto in me, di proseguire il mio percorso di crescita in una società così importante. Oggi, Cataldi dà l’anima per il Genoa come ha sempre fatto e se ci sarà la possibilità continuerà a fare per la Lazio. Senza voler mancare di rispetto a nessuno sia da parte mia che della mia futura moglie, che come giusto che sia, tifa e tiferà sempre la maglia che indosso. Questo è il mio percorso, con la testa al Genoa; come da sempre e per sempre grato e legato ai colori biancocelesti”.
Non si è mai nascosto Danilo Cataldi. Quando le cose andavano male non ha mai accampato scuse, ha cercato di riprendersi, di trascinare i compagni dietro di sé.
Alla Lazio tornò un anno e mezzo dopo. Terminato il prestito al Genoa, rimase lontano da Roma un’altra stagione per giocare, sempre in Serie A, al Benevento.
Coi tifosi le cose migliorarono con il tempo. Si resero conto che lui, Danilo Cataldi, era uno di loro, ma che era anche un calciatore serio, uno dava tutto se stesso quando scendeva in campo.
Danilo Cataldi ha lasciato Roma e la Lazio in estate. Destinazione Firenze, per vestire la maglia della Fiorentina.
Alla Lazio scrisse una lettera d’amore: “Ho coronato il sogno di ogni bambino: giocare ai massimi livelli con la propria squadra del cuore. È difficile descrivere i sentimenti di una giornata così. Amare vuol dire esserci sempre, ma a volte anche lasciar andare. Per me la Lazio è sempre venuta prima di tutto e ho sempre lottato per il suo bene. Non avrei mai immaginato un epilogo così”.
Alla Fiorentina ha continuato a fare quello che aveva sempre fatto: correre, recuperare palloni, far ripartire l’azione. Sempre con l’animo, i polmoni e la passione di chi non può giocare a calcio senza far uscire da se stesso tutte le energie in suo possesso.
Anche quest’anno c’è Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Piccoli ritratti, non denocciolati, da leggere all’aperitivo. Qui potete leggere tutti gli altri ritratti.
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