Nell’ultima settimana del mese di gennaio i rapporti e i dati presentati da Confindustria, Federmacchine, Anitec-Assinform, Apre (Agenzia per la Promozione della Ricerca Europea), Infocamere e Il Sole 24 Ore offrono un quadro complessivo per comprendere la portata e l’importanza dell’innovazione in Italia come motore per la crescita economica e sociale.
Per verificare il peso dato da attori pubblici o privati all’innovazione si ricorre solitamente a diversi indicatori: la spesa dedicata alla R&S, il grado di penetrazione del fenomeno innovativo, l’investimento sulla formazione del capitale umano; il grado di penetrazione del digitale ed in particolare dell’ICT, il numero di brevetti registrati, il numero di pubblicazioni scientifiche etc.; questi rapporti ci permettono di approfondire alcuni di questi aspetti.
Innovazione e PIL
L’innovazione e il PIL hanno un legame strategico e molto stretto. L’innovazione è un motore chiave per l’economia e contribuisce in modo diretto e indiretto alla formazione del PIL. L’Italia investe l’1,33% del PIL (27,3 miliardi di euro nel 2022 con un incremento del 5% rispetto all’anno precedente) in ricerca e sviluppo (R&S) contro una media UE del 2,3% – l’UE si è data come obiettivo il 3% entro il 2030 – e molto meno rispetto a Paesi come Germania (3,13%) e Francia (2,18%).
Il nostro Paese sta compiendo progressi significativi in alcuni ambiti (digitale, aerospazio, etc.) ma è necessario aumentare gli investimenti in ricerca e sviluppo e raggiungere una migliore integrazione delle tecnologie nei settori produttivi per poter consolidare il contributo dell’innovazione all’economia e al mercato del lavoro. Restano inoltre le significative disparità regionali che frenano l’espansione dell’innovazione: solo il 15% degli investimenti totali in R&S è destinato al Sud nonostante una presenza significativa di start-up e aziende emergenti in regioni come la Campania e la Sicilia (e nonostante un tasso di crescita a livello territoriale di +11,2% nelle Isole e +6,1% nel Sud).
L’innovazione inoltre non è solo un elemento che alimenta direttamente l’economia ma ha un effetto moltiplicativo generativo: ogni euro investito in R&S genera infatti fino a 4 euro di valore aggiunto nel medio termine, grazie alla creazione di nuove tecnologie, brevetti e prodotti competitivi sui mercati internazionali.
Innovazione ed export
L’export italiano, ovvero il valore delle nostre esportazioni, nel 2024 è salito a 305 miliardi di euro (dai 302 miliardi dello scorso anno) con un incremento mai realizzato da oltre 10 anni.
L’export italiano di macchinari ad alta intensità di automazione, creatività, tecnologia (ACT) vale 32,1 miliardi di euro con un potenziale di crescita stimato di 8 miliardi: i mercati avanzati ne assorbono 21,6 miliardi di euro – Stati Uniti, Germania, Francia in testa – mentre quelli emergenti – Cina, India, Turchia in testa – 10,5 miliardi di euro.
La piena realizzazione del potenziale del nostro export è possibile solo grazie all’aumento degli investimenti e all’aumento in termini di innovazione. E queste due cose vengono rese possibili solo dallo sforzo coordinato di imprese ed istituzioni per favorire un irrobustimento generalizzato del sistema produttivo e della sua competitività. Se da un lato, infatti, le imprese devono impegnarsi nel destinare risorse a investimenti produttivi, dall’altro le istituzioni devono spronare questo processo mitigando gli elementi di incertezza e predisponendo incentivi per tutte le imprese che decidono di reinvestire i propri utili in innovazione.
I settori dell’Innovazione
La spesa in R&S delle imprese aumenta del 4,0% rispetto al 2021, sostenuta dalle medie e grandi imprese, rispettivamente +1,2% e +6,4% (-5,3% la spesa delle piccole imprese).
In aumento anche la spesa degli altri settori: università (+7,5%), istituzioni pubbliche (+5,2%) e istituzioni private non profit (+2,7%).
L’innovazione è inoltre distribuita in modo eterogeneo tra i settori produttivi: alcuni settori eccellono per investimenti e progetti innovativi, mentre altri mostrano ritardi significativi. I settori soggetti a maggiore innovazione sono l’industria manifatturiera, le banche e la finanza, la sanità. I settori con una minore innovazione sono costruzioni, agricoltura, commercio tradizionale.
La transizione digitale motore di crescita
L’innovazione è motore di crescita per l’industria italiana e il settore digitale si conferma come l’ambito con il maggiore potenziale di crescita ed in grado di trainare non solo l’innovazione tecnologica ma anche la competitività delle imprese italiane sul piano internazionale.
L’industria sta infatti continuando ad investire nella transizione digitale: i dati del 2023 confermano che le imprese italiane investono in questa transizione con un tasso di crescita del 6-7% l’anno, molto di più di quanto cresca l’economia italiana, anche se nonostante questi sforzi la digitalizzazione nelle imprese italiane è ancora inferiore rispetto agli altri principali Paesi europei e l’adozione delle tecnologie digitali non è ancora adeguata in particolar modo nelle PMI.
L’adozione di tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale, il cloud computing, la blockchain sta accelerando la trasformazione dell’industria italiana: in questo contesto l’Italia deve cercare di diminuire il gap in termini di infrastrutture digitali e rendere accessibili le tecnologie soprattutto alle PMI.
Le imprese italiane, inoltre, integrano le tecnologie digitali facendo leva su di loro anche per affrontare la transizione della sostenibilità nell’ottica dell’Agenda 2030: tecnologie come l’intelligenza artificiale, i big data, l’Internet of Things giocano infatti un ruolo importante nel miglioramento dell’efficienza energetica e nella riduzione delle emissioni delle imprese.
Il settore digitale è il primo in Italia per volume di investimenti in R&S (intra-muros): 2,5 miliardi di euro nel 2022, con un incremento dell’1,5% rispetto al 2021. Quasi la metà di questa somma si è concentrata nel settore del software e dei servizi digitali. L’84% degli investimenti in R&S è arrivato da fondi privati. 52.000 addetti e 19.600 ricercatori a tempo pieno rappresentano la forza lavoro del settore privato impegnata in R&S: un motore fondamentale per lo sviluppo delle tecnologie digitali avanzate nel nostro Paese.
Nei confronti dell’Europa però i numeri cambiano. L’Italia ha infatti ricevuto dalla UE 724,1 milioni di euro per progetti di R&S digitale attraverso il programma Horizon 2020 e, a far data fine 2024, 293,2 milioni di euro attraverso Horizon Europe. Nonostante i progressi fatti l’Italia continua a soffrire di un sottodimensionamento in R&S per il settore digitale rispetto alle maggiori economie europee: la quota di spesa in R&S per il settore in Italia è infatti scesa dal 9,5% al 6,7% della spesa complessiva della UE tra il 2010 e il 2022; il che evidenzia la necessità di incrementare e anche rapidamente i nostri investimenti.
Anche sull’intelligenza artificiale i numeri sono fonte di riflessione. L’Europa, con solo il 5% degli investimenti rispetto a USA e Cina in IA è in netto ritardo. In Italia, nel 2023, il mercato italiano dell’IA è cresciuto del 52% raggiungendo 760 milioni di euro ma il nostro Paese fatica soprattutto nelle PMI: solo il 18% delle nostre PMI ha infatto avviato progetti di IA contro il 61% delle grandi imprese.
Grandi aziende vs PMI
Le grandi imprese, indipendentemente dal settore, tendono a investire di più rispetto alle PMI e alle microimprese, che affrontano maggiori barriere all’accesso a fondi e competenze necessarie per innovare. E’ quella che viene chiamata “innovazione disomogenea”. Le grandi aziende, con capacità di investimenti più elevate, abbracciano l’innovazione con progetti di digital transformation a tutto tondo mentre le PMI spesso sono ancora alle prese con l’adozione delle tecnologie digitali di base. La transizione digitale richiede infatti non solo investimenti in tecnologia ma un cambiamento culturale che coinvolga le aziende nella loro totalità.
Il gap tra grandi imprese e PMI in termini di innovazione è un tema centrale per l’economia italiana, dato il ruolo cruciale delle piccole e medie imprese (PMI) nel tessuto produttivo nazionale: oltre il 95% delle aziende italiane sono PMI, ma il loro contributo all’innovazione è nettamente inferiore rispetto alle grandi imprese.
Proviamo ad analizzare questo gap nel dettaglio.
Spesa in Ricerca e Sviluppo (R&S)
Le grandi imprese rappresentano circa il 70% della spesa totale in R&S in Italia con investimenti medi per addetto di oltre 10.000 euro: settori come aerospaziale, ICT (tecnologie dell’informazione e della comunicazione), farmaceutico dominano la spesa, spesso supportati da fondi europei e agevolazioni fiscali mirate. Le PMI contribuiscono a meno del 30% della spesa totale in R&S; l’investimento medio per addetto è di circa 3.000 euro, un valore nettamente inferiore; molte PMI investono solo in innovazioni incrementali (es. miglioramento dei processi) piuttosto che in innovazioni radicali, a causa di risorse limitate e scarsa capacità di gestione del rischio.
Accesso ai finanziamenti
Le grandi imprese beneficiano di migliori condizioni di accesso ai finanziamenti pubblici e privati, incluse linee di credito agevolato per l’innovazione e programmi come Horizon Europe: possono accedere facilmente a fondi di venture capital e partnership strategiche, sfruttando economie di scala e reti internazionali. Le PMI spesso incontrano difficoltà ad accedere ai finanziamenti per progetti innovativi, con solo il 14% delle PMI che ottiene fondi pubblici o venture capital rispetto al 50% delle grandi imprese: la mancanza di competenze specifiche per redigere proposte competitive e la limitata capacità di co-finanziamento rappresentano ostacoli chiave.
Brevetti e proprietà intellettuale
Le grandi imprese producono oltre il 75% dei brevetti registrati in Italia, con un focus sulle tecnologie avanzate (es. microstrutture, nanotecnologie, IA): possono sostenere i costi elevati associati alla protezione dei diritti di proprietà intellettuale. Le PMI hanno una quota molto inferiore nella registrazione di brevetti, principalmente a causa dei costi elevati e della percezione di ritorni incerti sull’investimento: la registrazione di brevetti è spesso sostituita da innovazioni non formalizzate (es. miglioramenti di processo o prodotti adattivi).
Digitalizzazione e competenze
Più dell’80% delle grandi aziende ha implementato soluzioni di Industria 4.0 e seguenti (robotica, big data, IoT) per migliorare la produttività: dispongono di team interni dedicati alla gestione dei processi digitali e di innovazione. Solo il 26% delle PMI utilizza tecnologie avanzate, con una particolare debolezza nella digitalizzazione delle attività quotidiane: la carenza di competenze digitali è ancora diffusa, con il 60% delle PMI che dichiara di non avere personale adeguatamente formato per gestire le innovazioni tecnologiche.
Collaborazioni e ecosistemi innovativi
Le grandi imprese sono più frequentemente coinvolte in partnership con università e centri di ricerca, accedendo così a conoscenze avanzate e talenti: hanno una presenza stabile in ecosistemi innovativi come cluster tecnologici e distretti industriali. Sebbene esistano incentivi per coinvolgere le PMI in progetti collaborativi, molte non partecipano a causa di mancanza di risorse o difficoltà burocratiche: solo il 12% delle PMI collabora continuativamente con istituzioni accademiche o altre imprese innovative.
Startup innovative
L’Italia è il 28° Paese al mondo per startup innovative nel 2024 ed il 4° Paese nella UE per numero di startup innovative: dopo aver sfiorato le 15.000 unità nel corso del 2022, a partire dal 2023 il trend di crescita si è interrotto sino a cambiare direzione in senso discendente per stabilizzarsi intorno alle 13.000 unità.
Sono startup catalizzatrici di innovazione laddove dominano i servizi ad alta intensità di conoscenza, più giovanili, straniere, femminili (le startup giovanili rappresentano il 16,9% del totale). Sono in calo perché solo il 62,2% risponde al requisito di ricerca e sviluppo mentre diminuisce decisamente anche la quota di startup che soddisfa più di un requisito necessario (dal 12,8% al 3,9%).
Aumentano le startup ad alta capitalizzazione e le startup innovative hanno performance economiche migliori di quelle non innovative sia in termini di maggiore crescita dei ricavi (+137,0%) sia in termini produttività del lavoro (+64,1%). Le startup con brevetti in tecnologie strategiche crescono maggiormente (+146,3%) rispetto a quelle che non li hanno. Il 6,6% delle startup ha fatto scale-up tra il 2019 e il 2023 ma le startup con brevetti in tecnologie strategiche registrano tassi di scale-up superiori (+12,6%) rispetto a quelle che non li hanno.
Formazione e Competenze
La carenza di competenze digitali tra la forza lavoro italiana resta un ostacolo all’innovazione. Solo una parte del capitale umano italiano ha infatti accesso alle competenze necessarie per sostenere l’evoluzione in particolare del settore digitale. Le imprese devono quindi fare i conti con la difficoltà di reperire profili ad alta specializzazione ed il sistema educativo italiano si adatta con fatica a queste nuove esigenze.
Mancano in particolare competenze specifiche per gestire tecnologie avanzate e processi innovativi nelle PMI.
Tra le politiche per lo sviluppo delle competenze sono necessari l’introduzione di incentivi fiscali per le aziende che investono nella riqualificazione dei propri dipendenti, la creazione di programmi dedicati di formazione continua per lavoratori e imprenditori per sviluppare competenze digitali e manageriali necessarie in un mercato globale in evoluzione, la riforma del sistema educativo e della formazione mediante la modifica dei programmi scolastici e universitari con l’incentivazione dell’istruzione STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) per enfatizzare le competenze tecnologiche e scientifiche, preparando una forza lavoro altamente qualificata per affrontare le sfide dell’innovazione, con particolare attenzione ai percorsi di istruzione tecnica e professionale in aree chiave come l’IA e la robotica.
Questi numeri certificano come l’ecosistema dell’innovazione sia imprescindibile per il rafforzamento della competitività delle imprese italiane e come essa debba essere accompagnata da interventi mirati a garantire che tutti gli attori coinvolti, dalle grandi imprese alle PMI, possano beneficiarne perché essa possa essere veramente cruciale per il futuro del Paese. Per accelerare l’innovazione e incrementare il PIL, l’Italia dovrebbe implementare una serie di politiche economiche in grado di colmare i gap esistenti e sfruttare appieno il potenziale delle sue imprese e delle sue risorse umane: qui entra in gioco il ruolo delle istituzioni, che devono garantire il giusto ambiente normativo e favorire l’accesso ai finanziamenti, soprattutto per le imprese di piccole dimensioni. Gli elementi delle politiche economiche necessarie per l’innovazione risultanti dai rapporti sono ben conosciuti poiché se il dinamismo dell’innovazione in Italia è sempre più significativo e però necessario un intervento strategico per superare le criticità presenti: ecco alcune delle principali misure che, tra le altre, possono essere adottate supportate dalle analisi e dai dati recenti.
Aumento degli investimenti pubblici e privati in R&S con l’obiettivo di portare la spesa in R&S al 2% del PIL entro il 2030, aumentando i fondi pubblici per progetti di ricerca e incentivando la collaborazione tra università e imprese: in particolare espansione di strumenti come il Credito d’imposta per R&S con maggiore accessibilità per le PMI e fondi dedicati per settori emergenti come intelligenza artificiale, energie rinnovabili, biotecnologie.
Rafforzamento dell’ecosistema dell’innovazione con l’obiettivo di creare un ambiente favorevole alla collaborazione sulla base di modelli di successo europei superando la frammentazione dei distretti tecnologici e aumentando l’integrazione tra ricerca avanzata ed esigenze industriali: in particolare investimento nei centri di ricerca avanzata e nei cluster tecnologici per favorire il trasferimento delle conoscenze tra università, imprese, istituzioni pubbliche e promozione dei poli tecnologici specializzati in settori di eccellenza italiani (es. automotive, agroalimentare, moda sostenibile).
Incremento della Partnership Pubblico-Privata: creazione di partnership strategiche tra il settore pubblico e quello privato per finanziare grandi progetti di innovazione, in particolare nelle infrastrutture, nella ricerca e nello sviluppo di nuove tecnologie.
Incentivi per l’Innovazione nelle PMI: incremento degli incentivi fiscali per le piccole e medie imprese che investono in innovazione tecnologica e ricerca; essi potrebbero includere crediti d’imposta o contributi a fondo perduto per progetti di innovazione così come finanziamenti mirati a supporto della digitalizzazione.
Formazione continua e riqualificazione professionale: politiche per colmare il gap di competenze tecnologiche dei dipendenti delle PMI e promuovere e rafforzare lo sviluppo delle competenze avanzate del capitale umano.
Gli obiettivi che le politiche economiche mirate per l’innovazione si pongono per il nostro Paese sono rappresentati principalmente da:
· incremento del PIL dato dallo stimolo alla crescita economica attraverso l’innovazione, incremento della produttività, creazione di nuovi settori industriali;
· creazione di nuove opportunità di lavoro mediante l’espansione in particolare dei settori tecnologici legati al digitale e alla sostenibilità, aumentando le opportunità occupazionali per i cittadini, riducendo al contempo il gap tra nord e sud;
· miglioramento della competitività del Paese posizionando l’Italia come un leader globale in settori chiave come la robotica, le energie rinnovabili, l’economia circolare.
Adottando alcune di queste politiche, l’Italia potrebbe ridurre il gap con altri Paesi UE in termini di innovazione, aumentare significativamente il contributo di questa alla crescita del PIL, creare occupazione ed essere in grado di affrontare al meglio le sfide del futuro. La chiave sta però in una strategia integrata con un approccio sistemico, che coniughi incentivi fiscali, investimenti pubblici mirati, il coinvolgimento diretto nella collaborazione da parte di istituzioni, università e centri di ricerca, imprese. Rinunciare all’innovazione significherebbe un forte arretramento economico e sociale, riducendo opportunità per le future generazioni e compromettendo la capacità del Paese di competere a livello globale. Innovare non è solo un’opportunità, ma una necessità per mantenere il passo con un mondo in rapida evoluzione.
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