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I Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo nel corso della notte hanno eseguito i provvedimenti cautelari emessi dall’Ufficio del G.I.P. del Tribunale di Palermo e i decreti di fermo di indiziati di delitto emessi dalla Direzione Distrettuale Antimafia della locale Procura della Repubblica a carico di 163 persone, delle quali 33 già detenute per altra causa, ritenute responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsioni, consumate o tentate, aggravate dal metodo mafioso, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, favoreggiamento personale, reati in materia di armi, contro il patrimonio, la persona, esercizio abusivo del gioco d’azzardo, e altro.
I provvedimenti restrittivi sono l’esito delle indagini condotte dal Nucleo Investigativo di Palermo tra il 2023 e il 2025 in direzione dei mandamenti di “Porta Nuova”, “Pagliarelli”, “Tommaso Natale – San Lorenzo, e “Bagheria”.
Nel contesto della medesima operazione, i Carabinieri del Reparto Anticrimine del R.O.S. di Palermo hanno eseguito un’ordinanza cautelare nei confronti di 20 fra capi e gregari del mandamento di “Santa Maria del Gesù”, di cui 3 già detenuti.
Complessivamente sono stati impegnati 1.200 Carabinieri provenienti dai Comandi Provinciali della Sicilia, dal Reparto Anticrimine del ROS di Palermo, dai “baschi rossi” dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Sicilia, dal 12° Reggimento “Sicilia” (tra gli altri, personale specializzato della “Compagnia di Intervento Operativo” e delle “Squadre Operative di Supporto”) e dal 14° Battaglione “Calabria”. L’operazione, che si è svolta con la copertura dal cielo di un velivolo del 9° Nucleo Elicotteri di Palermo, ha visto anche la partecipazione di personale delle “Aliquote di Primo Intervento” del Gruppo di Palermo nonché delle unità cinofile antidroga e anti esplosivo di Palermo Villagrazia e Nicolosi (CT).
Le indagini hanno fatto emergere come “cosa nostra” sia un’associazione criminale vitale e al “passo coi tempi”: se infatti essa è fortemente legata alle regole dei “padri fondatori”, ai suoi antichi riti e al compimento delle “classiche” condotte illecite, come le estorsioni, il traffico di droga e il controllo delle scommesse clandestine online, dall’altro è emersa la capacità degli affiliati di ricorrere ai moderni mezzi di comunicazione per cercare di sfuggire alla pressione investigativa. È stato infatti documentato il sistematico utilizzo di smartphone criptati che consentono comunicazioni – anche di gruppo – sicure, limitando all’essenziale la necessità degli incontri e delle riunioni tradizionali.
I capi di “cosa nostra” tendono a risolvere pacificamente le controversie che sorgono cercando di mantenere un profilo costantemente basso nel tentativo di non attirare le attenzioni delle Forze di Polizia. Servendosi di apparati tecnologicamente avanzati quali i telefoni criptati, hanno creato delle community ristrette nelle quali i personaggi più influenti possono discutere degli affari criminali senza i rischi che comportano gli incontri “in presenza”.
Questo sistema di comunicazione ha reso possibile il dialogo, costante e riservato, non solo con i trafficanti di droga ma anche tra i vari mandamenti. Tale tecnologia ha consentito ad un esponente del Mandamento di Porta Nuova, resosi latitante, non solo di poter affrontare un lungo periodo di latitanza (circa 2 anni), ma in una fase in cui non vi erano altri esponenti influenti in libertà, di poter continuare a reggere le sorti del mandamento evitando di incontrare di persona gli altri adepti. Dopo aver posto fine alla latitanza del predetto nel marzo del 2024, con l’operazione di oggi vengono tratti in arresto i suoi presunti fiancheggiatori: si tratta di persone contigue o ritenute appartenenti al mandamento di Porta Nuova che lo avrebbero supportato logisticamente, consentendogli altresì di intrattenere comunicazioni sicure per mezzo di criptofonini.
Le indagini hanno poi riscontrato la possibilità di introdurre negli istituti penitenziari minuscoli apparecchi telefonici e migliaia di sim card al fine di neutralizzare le attività di intercettazione, circostanza che ha consentito ai detenuti, dalle loro celle, di continuare ininterrottamente la militanza mafiosa, seppure in videochiamata.
Il quadro che emerge dalle investigazioni restituisce una “cosa nostra” che, nonostante le numerose operazioni coordinate dalla Magistratura palermitana e portate avanti dai Carabinieri e dalle altre forze di polizia, continua a mantenere la sua presa: un’associazione ben ancorata al proprio territorio sul quale esercita un costante controllo, incidendo significativamente sul tessuto economico attraverso le estorsioni e l’imposizione di prodotti, non disdegnando di ricorrere all’uso della forza quando lo ritiene opportuno, grazie anche ad una buona disponibilità di armi.
“Cosa nostra” nel perseguire i grossi guadagni, quelli derivanti dal traffico di stupefacenti e dall’esercizio del gioco digitale illegale, fa “cartello” prendendo decisioni che favoriscono tutti i mandamenti e tesse alleanze anche al di fuori della propria area di competenza. Sono infatti emerse stabili e documentate interlocuzioni con esponenti della ‘ndrangheta di Reggio Calabria e di “cosa nostra” agrigentina e catanese.
“Un’importante operazione quella condotta oggi dai @_Carabinieri_ a Palermo. Oltre 180 persone arrestate, tra le quali anche diverse figure di spicco di Cosa Nostra. Un risultato che conferma l’impegno incessante delle Istituzioni nella lotta alla criminalità organizzata. Grazie… pic.twitter.com/d4FiVbH7fs
— Ministero Difesa (@MinisteroDifesa) February 11, 2025
In linea con la tendenza registrata negli ultimi anni nel corso delle molteplici operazioni condotte dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo, tra cui l’operazione Cupola 2.0 del dicembre 2018, anche oggi emerge il ruolo centrale riconquistato da parte dei mandamenti cittadini nell’ambito delle dinamiche criminali, ruolo che era stato perso durante il periodo di predominio dell’ala corleonese.
Seppure oggi non si possa parlare di una nuova Commissione provinciale, il dato acquisito è quello del coordinamento e della gestione intermandamentale degli affari più delicati e lucrosi. Nello specifico, le attività hanno documentato i fortissimi legami venutisi a creare tra alcuni dei più importanti mandamenti mafiosi palermitani, ovvero quelli di Tommaso Natale/San Lorenzo, Porta Nuova, Brancaccio, Noce-Cruillas, Pagliarelli e Santa Maria di Gesù nella gestione coordinata di affari illeciti connessi con il traffico di sostanze stupefacenti.
Più in generale, è emerso il ruolo preminente dei mandamenti cittadini su quelli della provincia. Eloquente al riguardo è lo scenario bagherese nell’ambito del quale è emerso come le famiglie mafiose palermitane rappresentino una sorta di caposaldo attraverso il quale ottenere legittimazione mafiosa piuttosto che alleanze. Nel caso di specie, infatti, l’appoggio delle famiglie palermitane avrebbe rappresentato l’ago della bilancia che avrebbe consentito ai due contendenti alla leadership, di prevalere l’uno sull’altro. Emerge un vero e proprio dualismo tra due schieramenti contrapposti, quello dei “capizziani”, a cui apparterrebbe il primo e quello dei “rotoliani” a cui si ispirerebbe il secondo, quest’ultimo – secondo l’ipotesi accusatoria – riconosciuto dalla consorteria mafiosa bagherese come reggente protempore.
Il richiamo alle regole che disciplinano l’organizzazione è emerso in maniera significativa nelle indagini condotte dai Carabinieri di Palermo nel corso degli ultimi anni, facendo emergere la consapevolezza dei consociati che solo attraverso un ortodosso rispetto delle stesse, l’organizzazione criminale può continuare ad esistere ed operare.
Così, ad esempio, nel corso dell’indagine “Roccaforte” con cui in data 24.01.2023 è stata smantellata la famiglia mafiosa di Rocca-Mezzomonreale. In particolare veniva intercettata una riunione di mafia tenutasi con l’intento di ricomporre alcune gravi fratture venutesi a creare tra lo storico capo famiglia e il nipote. La lunga discussione che ne scaturiva era l’occasione per richiamare ripetutamente l’esistenza di talune imprescindibili regole mafiose, riportate in un codice mafioso scritto, custodito gelosamente da decenni e che regola, ancora oggi, la vita di “cosa nostra”.
La struttura verticistica dell’organizzazione criminale e il rispetto delle sue rigide regole, vengono oggi emblematicamente rappresentati da alcune conversazioni captate nel mandamento di San Lorenzo – Tommaso Natale. Una delle persone sottoposte a indagini, nel parlare del presunto reggente del mandamento di San Lorenzo – Tommaso Natale, avrebbe ribadito che da “cosa nostra” si può uscire solo con la morte, spiegando il concetto stesso di reggenza mafiosa, che conferiva temporaneamente l’autorità della direzione del mandamento in capo a chi in quel momento si trovava in libertà, fino al momento in cui non fosse stato scarcerato qualcuno a lui sovraordinato.
Un altro importante richiamo al rispetto delle rigide regole di “cosa nostra” emergeva nel contesto delle investigazioni svolte in direzione dell’area di Terrasini, Cinisi e Carini: allorquando un indagato di quel contesto territoriale aveva subito un torto da parte di un soggetto residente a Siracusa e, al fine di realizzare un intervento punitivo nei confronti del contendente, si sarebbe rivolto alla persona ritenuta capo della locale famiglia mafiosa. Questi gli avrebbe però fatto notare la necessità di seguire un percorso gerarchico che passasse in primo luogo dalla città di Palermo al fine di gestire la vicenda.
Un altro elemento cardine dell’attività mafiosa è stato rappresentato durante una riunione riservata tra i presunti appartenenti alla consorteria dello Zen. Uno di loro avrebbe evidenziato la necessità di individuare un soggetto capace e affidabile, pienamente inserito nel contesto associativo mafioso, che svolgesse il ruolo di cassiere. Questi sarebbe stato il detentore e custode di tutti i proventi delle attività illecite del sodalizio, soldi necessari per il mantenimento delle famiglie dei detenuti. I proventi, confluiti in una cassa unica, garantivano quella solidità economica necessaria nonché la stabilità del potere mafioso nel corso del tempo nonostante i cambi al vertice dell’organizzazione, come quello che il suddetto prevedeva proprio allo Zen quando sarebbe stato sostituito. Il nuovo reggente infatti avrebbe fatto affidamento al cassiere, chiedendo un rendiconto del lavoro svolto e apprezzando, nel caso di una gestione oculata e precisa delle risorse economiche, il lavoro dei sodali e di chi lo aveva preceduto.
Per la famiglia di Santa Maria del Gesù sarebbe invece il capo famiglia a tenere il “libro mastro” su cui sono metodicamente indicate le attività economiche sottoposte ad estorsione ed annotate le entrate e le uscite, necessarie anche a garantire il sostentamento agli uomini d’onore detenuti.
Nonostante l’organizzazione mafiosa nel corso degli anni sia stata colpita da diverse attività investigative che hanno condotto all’arresto di molti affiliati, essa riesce ancora ad esercitare una forza di attrazione su un nutrito numero di giovani che ne sposano i principi e si mettono a disposizione per accattivarsi la stima dei rappresentanti di riferimento.
È emersa non solo la necessità da parte dell’organizzazione di trovare nuovi adepti ma anche quella di formarli secondo le regole della consorteria. Emblematica è la vicenda che riguarda il mandamento mafioso di Pagliarelli e nello specifico il reclutamento, da parte della famiglia di Corso Calatafimi di un giovane, ritenuto legato a un mafioso detenuto, al fine di avviarlo alle attività illecite tipiche del sodalizio non prima però di averlo istruito circa i principi cardine di “cosa nostra” attraverso vere e proprie “lezioni di mafia”. Il giovane sarebbe stato “preso in carico” da un indagato che gli avrebbe offerto specifiche indicazioni invitandolo a prendere esempio dal proprio modo di agire nei confronti delle persone da sottoporre ad estorsione nonché consigliandolo su come rapportarsi ai vertici mafiosi.
Tra le attività criminali più remunerative per l’organizzazione criminale vi è il traffico di stupefacenti, nel cui ambito gli interessi sono così alti che vi è una gestione coordinata da parte dei mandamenti cittadini. Sono emersi i rapporti che i mandamenti palermitani hanno intrapreso con le altre provincie dell’isola e con la ‘Ndrangheta calabrese per le forniture. Il traffico di stupefacenti a Palermo ha evidenziato infatti il consolidamento di stretti rapporti tra “cosa nostra” palermitana e “cosa nostra” agrigentina, nonché con esponenti di vertice di alcuni clan della ‘ndrangheta calabrese della piana di Gioia Tauro per l’approvvigionamento di ingenti quantità di stupefacenti.
Il coordinamento tra i mandamenti cittadini sarebbe stato salvaguardato dal presunto reggente del mandamento di Porta Nuova, la cui figura sarebbe in qualche modo sovraordinata agli altri reggenti dei mandamenti cittadini che – secondo l’ipotesi accusatoria – gli riconoscono la possibilità di imporre la sua volontà anche al difuori dei confini del suo territorio di riferimento. Difatti acquisita la reggenza del mandamento dopo l’arresto nel marzo 2024 del latitante, il predetto avrebbe imposto il suo monopolio sulle piazze di spaccio di Palermo, non limitandosi a quelle di Porta Nuova. Tale imposizione, pur creando malcontento in alcuni affiliati di altri mandamenti, in particolare di Tommaso Natale, sarebbe stata accettata perché proveniente da uno dei massimi esponenti di “cosa nostra” palermitana.
Il traffico di stupefacenti oltre a garantire importanti proventi da reinvestire o da utilizzare per il sostentamento di affiliati e famiglie dei detenuti, consente all’organizzazione, attraverso il controllo delle piazze di spaccio, di esercitare una pressante azione di controllo del territorio. I pusher possono approvvigionarsi dal canale autorizzato e controllato dal mandamento oppure utilizzarne un altro, pagando all’organizzazione mafiosa una “tassa”. La non osservanza di tali imposizioni viene punita dagli esponenti mafiosi anche con violente ritorsioni.
Nel corso dell’attività sono stati complessivamente sequestrati 43 kg di cocaina, 8,5 kg di hashish ma anche 335 gr di crack, sostanza stupefacente sempre più diffusa tra i giovanissimi di Palermo.
Il gioco digitale, al pari del traffico di stupefacenti, rappresenta una delle attività più remunerative per “cosa nostra” che in tal modo, oltre al controllo del territorio attraverso l’imposizione mafiosa dei “pannelli di gioco”, può contare su importanti introiti che consentono di rimpinguare le casse dell’organizzazione e quindi di sostenere le famiglie dei detenuti e gli affiliati. L’imprenditore del settore scommesse che intenda promuovere l’utilizzo del sito di sua proprietà, sigla accordi di cooperazione con i vertici mafiosi e quindi si avvale della forza di intimidazione mafiosa per imporre il proprio sito alle agenzie di scommesse del territorio. Uno spaccato dell’attuale scenario in materia di gioco digitale è emerso in maniera significativa dalle attività investigative condotte sui mandamenti di Tommaso Natale – San Lorenzo e di Porta Nuova, anche se la gestione, al pari degli stupefacenti, vede coinvolti i più importanti mandamenti cittadini.
Nel contesto territoriale di Carini, alcuni imprenditori, abili inventori di un software per il gioco on line, dopo aver costituito alcuni siti a Malta avrebbero iniziato a commercializzarli avvicinandosi ai mafiosi, tra cui il presunto vertice della famiglia di Carini – abbinandoli ad un sito perfettamente legale che funge da schermo. Dopo l’arresto di quest’ultimo si sarebbe creata una simbiosi tra l’imprenditore e il presunto reggente del mandamento mafioso di Tommaso Natale, che avrebbe avuto un ruolo determinante nelle dinamiche di commercializzazione del sito nonché nella risoluzione di varie controversie sorte.
Parte dei proventi provenienti dalle scommesse illegali è stata utilizzata per il mantenimento dei carcerati, anche fornendo ai referenti di zona, i c.d. “master”, il loro prodotto a condizioni agevolate così da realizzare un extra profitto da destinare ai detenuti, come sarebbe avvenuto in un caso.
L’organizzazione mafiosa ha la necessità di effettuare un costante controllo del territorio, garantito anche per mezzo delle estorsioni. Le modalità predilette continuano a essere la richiesta del cosiddetto “pizzo” e l’imposizione ai commercianti di prodotti da fornitori contigui a “cosa nostra” e a prezzi imposti. Tra i numerosi casi riscontrati, si cita a esempio quello che sarebbe avvenuto nel territorio della famiglia mafiosa di Corso Calatafimi ove uno degli indagati nel commentare le resistenze manifestate dal titolare di un esercizio commerciale alla richiesta estorsiva avanzatagli, si sarebbe mostrato adirato per la mancanza di rispetto e sarebbe stato intenzionato a risolvere la vicenda anche facendo uso della forza.
Anche l’attività di spaccio di stupefacenti, qualora le sostanze non siano approvvigionate da canali intermediati da “cosa nostra”, sono oggetto di “pizzo”. Nel mandamento di Tommaso Natale – San Lorenzo, ad aprile 2024 emergeva che l’organizzazione mafiosa aveva avuto delle difficoltà nell’approvvigionamento dello stupefacente che fino a quel momento aveva immesso nel circuito delle piazze di spaccio dello Zen. Pertanto veniva adottata una nuova strategia finalizzata a garantire comunque dei proventi da quell’attività illecita: i titolari delle piazze di spaccio venivano lasciati liberi di procurarsi lo stupefacente attraverso loro canali personali e non più costretti a rifornirsi da “cosa nostra” a patto che pagassero una “tassa” proporzionata alla tipologia dello stupefacente spacciato.
Veniva altresì deciso che le estorsioni dovevano essere estese a tappeto anche verso tutti i commercianti dello Zen e di questo se ne sarebbero occupati alcuni personaggi ai quali sarebbe stata data carta bianca su quali commercianti aggredire al fine di rimpinguare la cassa mafiosa, senza risparmiare gli ambulanti del mercato rionale del giovedì. Uno degli indagati avrebbe inoltre chiarito i termini delle richieste estorsive, ovvero che se qualcuno avesse reagito, così come in passato, avrebbero anche usato la violenza nei suoi confronti, accettando il rischio di poter essere arrestati.
Sempre nell’ambito dello stesso mandamento è emersa l’imposizione del pesce ai ristoranti delle borgate marinare di Sferracavallo e Mondello. In particolare nel febbraio 2023, la compagine mafiosa guidata di Tommaso Natale – San Lorenzo avrebbe deciso di riprendere la distribuzione dei mitili e degli altri frutti di mare a tutti i ristoratori delle citate aree, imponendone l’acquisto con la forza derivante dall’appartenenza a “cosa nostra” ed estromettendo la concorrenza, previa individuazione di un noto imprenditore del settore, deputato a fornire la materia prima.
Nel complesso sono stati accertati circa 50 episodi di estorsione tra consumate e tentate. In pochissimi casi le vittime hanno denunciato la richiesta di “pizzo”, un dato certamente minimo rispetto al totale che trova spiegazione in un contesto di forte presenza mafiosa.
È emerso a più riprese che l’organizzazione mafiosa può contare su una buona disponibilità di armi da fuoco. La presenza di armi viene registrata su ogni mandamento anche se “cosa nostra” negli ultimi anni ha cercato di non rendersi protagonista di eventi delittuosi eclatanti, preferendo mantenere un profilo basso in modo da evitare di attirare le attenzioni delle forze di polizia.
In alcuni casi è stato possibile sequestrare delle armi: nel mandamento di Tommaso Natale – San Lorenzo, ed in particolare a Carini, è emerso che uno degli indagati aveva la disponibilità di alcune armi da fuoco. Infatti, un suo familiare, resosi protagonista di una lite, avrebbe prelevato da un terreno una pistola. A seguito di un mirato servizio di osservazione svolto dai Carabinieri il 15 ottobre 2023 sono stati quindi tratti in arresto i predetti assieme ad altri due parenti, perché trovati in possesso di una pistola cal. 7,65 mm e di 17 proiettili, 1 fucile e materiale per la pulizia delle armi.
“Cosa nostra” non disdegna di risolvere le problematiche attraverso l’uso della forza, come sarebbe successo con un presunto esponente del mandamento di Tommaso Natale – San Lorenzo: questi, dopo aver subito il furto del quad del figlio, avrebbe incaricato uno degli indagati di identificare il responsabile e punirlo, mediante un pestaggio.
Analogamente a Ficarazzi, uno degli indagati, al fine di risolvere un suo problema con un artigiano a cui aveva commissionato una fornitura, ne avrebbe ordinato il pestaggio: ne scaturiva una lesione grave all’occhio della vittima con una riduzione della vista.
Complessivamente le indagini hanno consentito di ricostruire una decina di episodi di pestaggio alcuni dei quali con l’aggravante mafiosa. Tra gli episodi spicca un caso di “tortura”, reato previsto dall’art. 613 bis del Codice Penale, commesso in danno di una persona ritenuta responsabile di alcuni furti e, pertanto, picchiata più volte violentemente.
Anche i contrasti per la gestione di una piazza di spaccio hanno avuto esito in un grave atto violenza: il 5 settembre 2024 a causa di alcuni dissidi sorti per lo spaccio di stupefacenti allo Zen, uno degli indagati sparava alcuni colpi di arma da fuoco all’indirizzo dell’antagonista, che riusciva miracolosamente a salvarsi. Seguiva pertanto l’intervento della consorteria mafiosa al fine di ristabilire l’ordine nel quartiere e non ostacolare gli affari illeciti.
L’associazione gode anche di una fitta rete di informatori. Il 7 novembre 2023 viene arrestato un commesso giudiziario della Procura di Palermo, per il delitto di favoreggiamento poiché, essendo addetto al materiale traporto dei fascicoli, era solito consultare, fotografare e poi diffondere il contenuto dei procedimenti coperti dal segreto, compresi i decreti di intercettazione ancora attivi. Dalle indagini è emerso che il predetto impiegato non era l’unica fonte informativa di “cosa nostra”: lo stesso giorno del predetto arresto, un indagato della compagine bagherese sarebbe stato informato che un esponente di Corso dei Mille aveva appreso di tre imminenti operazioni di polizia previste per “fine anno”. A seguito di tale notizia, gli affiliati si adoperavano per fare “sparire” alcune cose, mentre taluni sodali di Brancaccio (quelli più pesanti) si “buttavano latitanti”.
L’esistenza di altre fonti di informazione è emersa inoltre nel contesto della famiglia di Partanna Mondello, con riguardo a un avvocato il quale avrebbe “messo in guardia” un esponente dell’organizzazione mafiosa avvisandolo di essere indagato e di avere una microspia in macchina.
È obbligo rilevare che gli odierni indagati sono, allo stato, solamente indiziati di delitto, seppur gravemente, e che la loro posizione verrà vagliata dall’Autorità Giudiziaria nel corso dell’intero iter processuale e definita solo a seguito dell’eventuale emissione di una sentenza di condanna passata in giudicato, in ossequio ai principi costituzionali di presunzione di innocenza.
Fonte: Carabinieri, Comando Provinciale di Palermo
Cosa Nostra colpita al cuore: maxi operazione antimafia a Palermo. Oltre 180 ordinanze cautelari
Cosa nostra si stava ricompattando senza troppo clamore. I capimafia in carcere e quelli ancora liberi utilizzavano telefonini di ultima generazione con particolari software criptati per i summit fra mandamenti.
Maxi retata a Palermo con 183 ordinanze eseguite dai carabinieri del Nucleo operativo del comando provinciale. Il blitz ha colpito al cuore la mafia che cerca di ricompattarsi senza troppo clamore, mantenendo il controllo ferreo della città. In manette vecchi e nuovi boss.
Torna in carcere il boss di Porta Nuova, Tommaso Lo Presti, scarcerato per fine pena. Aveva celebrato le nozze d’argento a San Domenico, dove c’è la tomba di Falcone (nella foto sotto). In carcere anche Francolino Spadaro.
L’operazione è stata coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia. In mattinata è prevista una conferenza stampa.
Colpiti in particolare i mandamenti mafiosi di Tommaso Natale, Porta Nuova, Noce, Pagliarelli, Carini e Bagheria.
In una delle cinque indagini confluite nella maxi operazione antimafia di questa notte a Palermo, gli investigatori dei carabinieri del comando provinciale hanno scoperto il nuovo sistema con il quale i boss si riunivano per riorganizzare la nuova commissione provinciale, azzerata già una volta con gli arresti di dicembre 2018. I capimafia in carcere e quelli ancora liberi utilizzavano telefonini di ultima generazione con particolari software criptati per i summit fra mandamenti. Applicazioni di comunicazione con sistemi di crittografia avanzatissimi e difficilmente intercettabili.
Alcuni boss erano talmente sicuri di non poter essere intercettati da non prendere alcuna precauzione nelle riunioni online per decidere le strategie di riorganizzazione della commissione provinciale. A tal punto da svelare i nomi dei capi dei diversi mandamenti e i nuovi organigrammi. Non sospettavano che dall’altra parte i carabinieri del reparto operativo e del nucleo investigativo guidati dal colonello Ivan Boracchia e dal tenente colonnello Domenico La Padula stessero ascoltando ogni parola dopo essere riusciti a bucare la crittografia dei loro telefoni.
Gli arrestati di oggi sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso, tentato omicidio, estorsioni (consumate o tentate) aggravate dal metodo mafioso, associazione finalizzata al traffico di droga, favoreggiamento personale, reati in materia di armi ma anche contro il patrimonio e la persona, esercizio abusivo del gioco d’azzardo.
Oltre 180 le persone arrestate al termine del maxi blitz antimafia condotto dalla Dda di Palermo. L’inchiesta, condotta dai carabinieri, svela l’ennesimo tentativo di Cosa nostra di ricostituire la Cupola provinciale https://t.co/QjoBxU4wZU
— RaiNews (@RaiNews) February 11, 2025
Da canto suo Cosa nostra era riuscita ad avere una serie di informazioni riservate su indagini in corso. Il capomafia Antonino Gagliardo, tramite fra il mandamento di Bagheria e quello di Brancaccio, il 7 novembre 2023 informò un altro mafioso di aver appreso di tre imminenti operazioni di polizia (“tre zampate, tre camurrie”) previste per “fine anno”, circostanza per cui si era già provveduto a fare “sparire” alcune cose, mentre taluni affiliati di Brancaccio (“quelli più pesanti”) si erano già “buttati latitanti”.
Anche il 12 gennaio 2024 si è assistito all’ennesima rivelazione di informazioni riservate sugli arresti da compiere, come comunicato, a un capomafia messo al corrente di imminenti operazioni di polizia. “Giochi di fuoco dal ventuno al ventitré”, dicono i mafiosi intercettati. “Poi un’altra cosa dice che dal ventuno al ventitré c’è…ci sono i giochi di fuoco, però questa, ‘sta notizia arriva dal Villaggio di Santa Rosalia”, spiegano.
L’ultima rivelazione è del 4 settembre scorso quando Paolo Lo Iacono racconta al suo interlocutore dell’imminente esecuzione di un imponente provvedimento cautelare (una “bomba”) che avrebbe riguardato sia lui che numerosi altri affiliati “Per adesso c’è una bomba che sta scoppiando! Può essere oggi, può essere domani, può essere dopodomani..si portano a tutti, hai capito? Per adesso ci sono cose molto più importanti, hai capito?… perché qua si discute di carcere! Andare a prendere vent’anni, capito?! (..) Chi siamo, chi sono? Boh. non lo sappiamo, capito? Già siamo tutti pronti, capito? Hanno duecentottanta fotografie”.
Erano pronti a darsi alla latitanza alcuni dei mafiosi arrestati oggi dai carabinieri. Il cognato del boss Nunzio Serio, ad esempio, dopo avere ritrovato le microspie sulla Smart della moglie e temendo di essere presto raggiunto da un provvedimento giudiziale, si è allontanato da Palermo per scappare al Nord. “Siamo tutti bombardati”, diceva.
Anche un altro capomafia, dopo essere sfuggito all’inseguimento di una pattuglia della Finanza, aveva programmato, con la propria famiglia, di rifugiarsi all’estero e di mettere al riparo il patrimonio, accumulato con i giochi online. “Me ne devo andare da qua – diceva – devo cambiare la residenza me ne vado, a me quello che mi potrebbe colpire sono la mia famiglia, ma se io ce li ho accanto posso essere sperduto in un pizzo di montagna, sono a posto. Io me ne vado..! L’Italia per noi è diventata scomoda, io me ne devo andare perché non intendo assolutamente perdere quello che ho creato fino ad oggi. Cominciate a farvi i passaporti”.
I parenti degli arrestati davanti alla caserma
Una folla di familiari di alcuni degli arrestati nell’operazione antimafia di Palermo si è radunata davanti alla caserma ‘Giacinto Carini’ di piazza Verdi, sede del Comando provinciale dei carabinieri, dove sono stati condotti gli indagati.
Melillo, regime alta sicurezza in mano a criminalità
“Da questa straordinaria indagine della Procura di Palermo viene fuori un dato allarmante: l’estrema debolezza del circuito penitenziario di alta sicurezza che dovrebbe contenere la pericolosità dei mafiosi che non sono al 41 bis. L’inchiesta di Palermo mostra chiaramente, confermando quanto emerso in altri contesti investigativi, che il sistema di alta sicurezza è assoggettato al dominio della criminalità”.Lo ha detto il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo durante la conferenza stampa sul blitz antimafia che ha portato in cella 181 persone. “E’ un tema delicato che deve aprire una riflessione profonda”, ha aggiunto.
Boss nostalgici: “Non c’è più la Cosa nostra di un tempo”
“Il livello è basso oggi arrestano a uno e si fa pentito; arrestano un altro…livello misero, basso, ma di che cosa stiamo parlando? Io spero sempre nel futuro, in tutta Palermo, da noi, spero nel futuro di chi sarà il più giovane”. Sono le parole del capomafia di Brancaccio Giancarlo Romano non sapendo di essere intercettato.
Quello che emerge dalla maxi-inchiesta della Dda di Palermo e dei carabinieri che ha portato in cella 181 persone è una forma di “nostalgia” tra le file mafiose della vecchia Cosa nostra e dei boss d’un tempo.
Dopo i falliti tentativi di ricostituire la commissione provinciale e di restituire a Cosa nostra un organismo centrale, ai mafiosi resta, dunque, il rimpianto degli storici capimafia dei quali ricordano “prestigio” e spessore criminale.
“A scuola – proseguiva il boss Romano- te ne devi andare. Conoscerai dottori, avvocati, quelli che hanno comandato l’Italia, l’Europa. Per dire quando si parla dei massoni, i massoni sono gente con certi ideali ma messi nei posti più importanti. Se tu guardi ‘Il Padrino’, il legame che aveva…non era il capo assoluto..lui è molto influente per il potere che si è costruito a livello politico nei grossi ambienti. Noi che cosa possiamo fare?”.
Poi la critica alle nuove leve
“Ma tu devi campare con la panetta di fumo, cioè così siamo ridotti? Le persone di una volta, quelli che disgraziatamente sono andati a finire in carcere per tutta la vita, ma che parlavano della panetta di fumo? Cioè se ti dovevano fare un discorso di fumo, te lo facevano perché doveva arrivare una nave piena di fumo. Se tu parli con quelli che fanno business, ti ridono in faccia. Ma questo business è? Siamo troppo bassi, siamo a terra ragazzi. Noi pensiamo che facciamo il business, oggi sono altri. Dico, eravamo prima noi, oggi lo fanno altri noi siamo gli zingari”.
Sempre dall’inchiesta emerge un altro tratto: Cosa nostra non rinuncia alle vecchie regole come l’indissolubilità del vincolo associativo, che un boss paragona, non sapendo di essere intercettato, al sacramento del matrimonio. “Cosa nostra? Ta maritasti sta mugghieri e ta puorti finu a vita”, diceva. Alcuni poi esprimono orgoglio per l’appartenenza alle cosche propinata come scelta di natura ideologica e non utilitaristica.
“Non c’è più la Cosa nostra di un tempo”, sono nostalgici della vecchia mafia i boss intercettati nella maxi-operazione antimafia condotta dalla Dda di Palermo. L’inchiesta dei carabinieri https://t.co/8T6jNNlDdr
— RaiNews (@RaiNews) February 11, 2025
“Non ho mai creduto io nella cosa nostra ai fini di scopo di lucro – dice Gioacchino Badagliacca – io ho sempre pensato che a me per nobili principi per me questo è quello che è cosa nostra ci ho sempre creduto dal profondo del mio cuore, dico, e mi sono fatto dieci anni di carcere”.
O ancora: “Abbiamo degli ideali nostri dentro che non li facciamo morire mai perché ci muremu, – spiega un altro – perché in futuro noialtri preghiamo il Signore che certe cose non finiranno mai perché sappiamo noialtri i nostri ideali, sappiamo perché siamo noi contro lo Stato, perché siamo contro la polizia”.
Fonte: Rainews
Mafia: maxioperazione dei carabinieri a palermo, 183 provvedimenti restrittivi
Palermo, 11 feb. (Adnkronos) – Dalle prime luci dell’alba i Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo stanno conducendo una vasta operazione antimafia in esecuzione di 183 provvedimenti restrittivi disposti dal GIP del Tribunale di Palermo e dalla Direzione Distrettuale Antimafia della locale Procura della Repubblica.
Complessivamente sono impegnati – con la copertura aerea di un elicottero del 9° Elinucleo di Palermo – 1.200 Carabinieri circa dei Comandi Provinciali della Sicilia, del Reparto Anticrimine del ROS di Palermo, con il supporto dei ”baschi rossi” dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Sicilia, del 12° Reggimento ”Sicilia”, del 14° Battaglione ”Calabria” nonché di altre componenti specializzate dell’Arma.
L’operazione, che ha interessato anche altre città italiane, ha l’obiettivo di “disarticolare i mandamenti mafiosi della città di Palermo e provincia, in particolare quelli di ”Porta Nuova”, ”Pagliarelli”, ”Tommaso Natale – San Lorenzo, ”Santa Maria del Gesù” e ”Bagheria””, come si legge in una nota.
Gli arrestati sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsioni, consumate o tentate, aggravate dal metodo mafioso, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, favoreggiamento personale, reati in materia di armi, contro il patrimonio, la persona, esercizio abusivo del gioco d’azzardo, e altro.
I particolari dell’operazione saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa prevista per le ore 10 presso il Comando Provinciale di Palermo alla presenza del Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e del Procuratore Capo della Repubblica di Palermo.
Fonte: Adnkronos
Maxiblitz antimafia a Palermo, centinaia di arresti
Summit tra boss detenuti grazie a cellulari criptati. Coinvolti diversi mandamenti nell’ennesimo tentativo di Cosa Nostra di ricostruire la Cupola provinciale.
Nel corso di una maxi-operazione della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo sono stati disposti i fermi e gli arresti di 181 persone, tra boss, “colonnelli”, uomini d’onore, ed estortori di diversi “mandamenti” del capoluogo siciliano e della provincia.
L’inchiesta, condotta dai carabinieri e coordinata dal procuratore Maurizio de Lucia e dalla procuratrice aggiunta Marzia Sabella, ha svelato l’organigramma delle principali famiglie, gli affari dei clan e l’ennesimo tentativo di Cosa nostra di ricostituire la Cupola provinciale e di reagire alla dura repressione che negli ultimi anni ha portato in cella migliaia di persone.
È allarme sicurezza nelle carceri.
I mafiosi detenuti avrebbero a disposizione microsim e cellulari criptati introdotti illegalmente nelle celle con i quali parlerebbero indisturbati e darebbero ordini all’esterno. Gli apparecchi verrebbero usati per chiamare telefonini destinati esclusivamente a ricevere, una sorta di telefoni-citofoni: circostanza che rende difficilissimo incrociare i dati. Secondo gli inquirenti, grazie a questo escamotage, i boss riuscirebbero a gestire traffici di droga e organizzare summit.
I principali mandamenti coinvolti nell’indagine sono quelli di Santa Maria di Gesù, Porta Nuova, San Lorenzo, Bagheria, Terrasini , Pagliarelli e Carini.
Oltre ai 181 arresti sono state notificate due misure di presentazione alla polizia giudiziaria. Nell’operazione sono complessivamente impegnati – con la copertura aerea di un elicottero del 9° Elinucleo di Palermo – 1.200 Carabinieri dei comandi provinciali della Sicilia, del Reparto Anticrimine del ROS di Palermo, con il supporto dei “baschi rossi” dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Sicilia, del 12° Reggimento “Sicilia”, del 14° Battaglione “Calabria” e altre componenti specializzate dell’Arma.
Gli arrestati sono accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsioni, consumate o tentate, aggravate dal metodo mafioso, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, favoreggiamento personale, reati in materia di armi, contro il patrimonio, la persona, esercizio abusivo del gioco d’azzardo.
Fonte: Ansa
Maxi blitz a Palermo, boss sicuri di non essere intercettati
Palermo, 11 feb. (LaPresse) – Alcuni boss finiti in carcere nella maxi operazione antimafia di questa notte a Palermo, che ha portato all’esecuzione di 183 misure cautelari, erano talmente sicuri di non poter essere intercettati da non prendere alcuna precauzione nelle riunioni online per decidere le strategie di riorganizzazione della commissione provinciale.
A tal punto da svelare i nomi dei capi dei diversi mandamenti e i nuovi organigrammi. Non sospettavano che dall’altra parte i carabinieri del reparto operativo e del nucleo investigativo guidati dal colonello Ivan Boracchia e dal tenente colonnello Domenico La Padula stessero ascoltando ogni parola dopo essere riusciti a bucare la crittografia dei loro telefoni.
Fonte: LaPresse
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