Migranti in Albania: il governo rinuncia al suo piano, al posto dei richiedenti manda gli irregolari dall’Italia. Dubbi su costi ed efficacia

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In Albania i centri per migranti di Shengjin e Gjader sono vuoti? Per riempirli il governo prova una soluzione alternativa, che però sa tanto di sconfessione dell’idea originaria: trasformarli in Cpr, cioè centri per i rimpatri. Niente più migranti caricati dai pattugliatori della Marina nelle acque internazionali del Mediterraneo, niente più procedure di frontiera accelerate in Albania da utilizzare come “deterrente” contro le partenze dall’Africa. Tutto si è infranto sull’incompatibilità con la normativa europea del famoso elenco di Paesi d’origine considerati sicuri, sollevata dai tribunali e rinviata alla Corte di giustizia europea che si esprimerà solo a primavera. Tempi che il governo diceva di voler rispettare, salvo poi imbarcare altri 49 migranti a gennaio, nonostante l’esito scontato, perché a tenere i centri vuoti Meloni non ci sta.

Così, a costo di veder naufragare i suoi stessi piani, nell’hotspot di Shengjin e nel centro di Gjader il governo valuta ora di mandare i migranti irregolari già presenti in Italia e già raggiunti da un provvedimento di espulsione che attende di essere eseguito. Un’ipotesi di cui si sarebbe discusso in una riunione venerdì scorso tra la premier Giorgia Meloni il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, e il sottosegretario di Palazzo Chigi, Alfredo Mantovano. Una nuova riunione sarebbe prevista anche per lunedì e, secondo indiscrezioni, l’idea del Cpr potrebbe essere oggetto di un nuovo decreto legge. A meno di modifiche al Protocollo Italia-Albania o ai costi previsti, che secondo Costituzione imporrebbero un nuovo passaggio parlamentare, si tratterebbe di ritoccare la legge di ratifica dell’accordo, stabilendo che nei due centri possano essere condotti anche gli irregolari già in Italia. L’ipotesi di delegare tutto direttamente all’Albania sembra poco percorribile e ci vorrebbe un nuovo accordo. Peraltro, la direttiva europea 115/2008 sul rimpatrio prevede il rientro unicamente nel Paese d’origine, in un Paese indicato dal migrante che accetti la richiesta, o in Paesi dove il migrante è transitato ma sulla base di accordi bilaterali. In ogni caso, secondo la normativa è da intendersi conclusa la procedura di rimpatrio e l’Albania ha sempre escluso di voler accogliere gli irregolari espulsi dall’Italia. Se invece il controllo delle operazioni rimane in capo all’Italia, va considerato che le norme Ue non prevedono, allo stato attuale, che una persona da espellere possa essere spostata altrove in attesa del rimpatrio.

Oltre alle solite questioni giuridiche, c’è poi da interrogarsi sul senso di un’operazione che, a parte sostituire il fallito piano A, non sembra giustificabile dal punto di vista dell’efficacia. I nove Cpr attualmente operativi in Italia, infatti, non funzionano. Nel 2023 sono stati emessi 28mila ordini di allontanamento di cui 4.267 eseguiti, ma solo 2.979 riguardano chi è passato da un Cpr: un contributo che vale appena il 10%. Nello stesso anno, di tutte le persone entrate in un Cpr solo il 44% è stato rimpatriato, una percentuale mai così bassa. Ed è solo la media: il centro di Bari ha rimpatriato solo il 16% dei detenuti. Dipende dai costi, dall’organizzazione, ma soprattutto dagli accordi coi Paesi d’origine, che sono pochi e non funzionano. Secondo l’Ufficio statistico Ue (Eurostat), nei primi nove mesi del 2024 l’Italia ha emanato 20.460 ordini di allontanamento e ne ha eseguiti 3.215: 3.030 ordini e 795 rimpatri riguardano i tunisini, 1.275 ordini e 200 rimpatri gli egiziani, 675 ordini e 40 rimpatri i bangladesi. Come negli anni passati, la stragrande maggioranza dei rimpatriati è tunisina perché con la Tunisia c’è un accordo che prevede fino a due voli charter a settimana, ma solo grazie a un colloquio con personale consolare tunisino all’aeroporto di Palermo. Difficile che l’unico ingranaggio che funziona venga trasferito in Albania dove, guarda caso, nessun tunisino è stato portato nei tre viaggi organizzati dal governo.

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Al netto poi della scarsa efficacia dei Cpr, alla quale il centro in Albania non ha modo di sottrarsi, i trattenimenti amministrativi di persone da espellere devono essere convalidati e ciclicamente prorogati da un giudice di pace che, almeno in teoria, deve valutare se le possibilità di allontanamento siano effettive. In caso contrario la persona va immediatamente liberata, che per l’Albania significa rispedita in Italia. Sorvolando sulla dubbia applicabilità del diritto Ue al di fuori del territorio degli Stati membri, c’è il rischio di trattenere in Albania chi non ha alcuna possibilità di essere rimpatriato. Nel 2023, a fronte dei 2.979 stranieri rimpatriati, 1.507 persone sono uscite dai Cpr per mancate convalide o mancate proroghe. E altre 500 sono uscite per decorrenza dei termini. Persone che, inviate in Albania, dovrebbero essere immediatamente rilasciate in Italia, con tutti i problemi del caso. Quanto ai rimpatriati, è probabile che il passaggio albanese servirebbe solo a lievitare i costi, come non bastasse quanto i contribuenti italiani hanno speso, e continuano a spendere, per l’attuazione del Protocollo di collaborazione voluto da Meloni.



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