Ryoichi Ikegami, la leggenda del manga adulto


di Ali Raffaele Matar

Ryoichi Ikegami, ottant’anni compiuti lo scorso maggio (di cui sessanta dedicati ininterrottamente al fumetto), è ancora, nonostante l’età, tra gli indiscussi protagonisti del panorama editoriale giapponese. Non capita a tutti di fare la Storia del fumetto e ritrovarsi ancora a disegnare una serie, Trillion Game (su testi di Riichiro Inagaki, autore di Dr. Stone), tuttora in corso di serializzazione in Giappone, edita in Italia da Star Comics che da decenni si occupa di tradurre gran parte delle sue opere.

Riverito dai lettori, dai critici, dagli appassionati più esigenti, e, non da ultimo, da vari colleghi e colleghe mangaka come Rumiko Takahashi, che non ha mai perso occasione per ricordare la sua fascinazione eterna per lo stile di disegno di Ikegami. Una venerazione tale da averla spinta ad ambire di diventare lei stessa una fumettista. Ed è proprio merito dello stile iperrealistico che lo contraddistingue se Ikegami è entrato di diritto nell’Olimpo delle leggende del manga. Un successo, il suo, che si deve in larga parte allo scrupolo di riportare su carta la bellezza estetica dei corpi, con una cura anatomica che non ha precedenti nel mondo del manga, grazie alla quale è stato in grado di dare vita a personaggi magnetici, pieni di vigore, fascino e virilità.

In Italia, già dai primissimi anni Novanta, il mercato editoriale, probabilmente su spinta della casa editrice americana Viz, mostrò subito un certo interesse verso le sue opere. Non a caso, sono state tradotte negli anni molte delle sue serie iconiche, da Crying Freeman e Mai la ragazza psichica a Sanctuary, fino ad arrivare, oggi, alla pubblicazione delle sue antologie di racconti Oen e Yuko.

I lavori con Kazuo Koike

Nonostante si sia fatto affiancare nel corso degli anni da una miriade di sceneggiatori diversi, è unanime, agli occhi degli appassionati (Rumiko Takahashi compresa), la convinzione che Kazuo Koike sia lo sceneggiatore che ha scritto le opere più assurde e bizzarre di Ikegami. Insieme, i due hanno realizzato prodotti iperbolici, spesso poco credibili dal punto di vista contenutistico, con scene di un’assurdità esilarante.

Come White Haired Devil (Kizuoibito – Wounded Man), seinen serializzato a partire dal 1982, che si apre con un caso di sindrome di Stoccolma tra le foreste del Brasile, abitate da insetti che attaccano esclusivamente i genitali femminili. Ma questo è solo l’inizio. I capitoli successivi (raccolti in 6 corposi volumi da Panini Comics) raggiungono picchi di inaspettata follia. Eppure, lo stile raffinato di Ikegami riesce a rendere appetibile qualunque cosa, per quanto appaia irragionevole. E forse, l’obiettivo del duo Koike-Ikegami è sempre stato questo: rendere accettabile l’inaccettabile ricordandoci che, per quanto lo stile sia iperrealistico, queste storie restano pur sempre opere di finzione.

Nelle opere del duo, l’uomo che si erge a eroe assoluto. Secondo Koike e Ikegami, non deve chiedere mai. Ai suoi piedi cascano sempre tutte le donne. Tutte lo ambiscono. E sono pronte a sacrificarsi per questa passione inspiegabile, quasi folle, malata. Per quanto adrenalinica e entusiasmante possa essere la narrazione di Koike, unita allo stile ineguagliabile di Ikegami, le loro storie sono l’emblema del maschilismo a fumetti.

D’altronde, gran parte delle opere di stampo hard boiled segue questi canoni. Esattamente come un certo tipo di fumetto della tradizione occidentale, dai bonelliani ai comics a sfondo western degli anni successivi al boom economico. Eppure, non si può dire che Koike creasse storie prive di coraggio. Scrivere storie in cui scompaiono, uno dopo l’altro, tutti i personaggi che spalleggiano il protagonista è un punto a suo favore, in un settore dove questo conta molto e in cui gli appassionati si sono ritrovati negli anni a organizzare addirittura commemorazioni in memoria di amati eroi di finzione (come Rocky Joe).

Nei primi anni Ottanta, quando Koike e Ikegami serializzavano a puntate quest’opera estremamente tamarra, spinta, misogina e violenta ma a suo modo sicuramente ambiziosa, sulle pagine della stessa rivista, Big Comic Spirits del colosso editoriale Shogakukan, uscivano anche F di Noboru Rokuda, Maison Ikkoku di Rumiko Takahashi e Io sono Shingo di Umezz. Tutte storie diametralmente opposte l’una all’altra che aumentavano la platea di lettori di una delle riviste seinen più prestigiose di sempre.

crying freeman ikegami manga

Dopo la conclusione nel 1986 di White Haired Devil, Koike e Ikegami non persero tempo e diedero immediatamente vita a quello che sarà destinato a diventare il personaggio più celebre mai creato dal duo: Crying Freeman, l’assassino a pagamento che versa lacrime ogni volta che fa fuori una vittima. I muscoli e Il tatuaggio a forma di dragone sul petto e sulla schiena, segno del legame con la malavita cinese, lo renderanno da quel momento universalmente riconoscibile, anche grazie alla trasposizione in animazione e live-action e alla traduzione del fumetto in America, Europa e Hong Kong.

Nonostante l’ingente numero di opere realizzate prima e dopo, pur non potendo essere annoverata in alcun modo tra le storie migliori, Crying Freeman ha il pregio di simboleggiare, ancora oggi, l’uomo-archetipo di Ikegami: virile, freddo, austero, ma sempre estremamente affascinante. Basti notare che, nei suoi artbook, Freeman continua a guadagnarsi tuttora il primo piano in copertina. E, così, la trama scritta da Koike passa direttamente in secondo piano, facendo parlare le splendide illustrazioni del collega.

Tra la fine del fortunato Crying Freeman nel 1988 e l’inizio di Offered, Koike sceneggiò per Ikegami un’altra serie inspiegabilmente mai tradotta né in Europa né negli Stati Uniti, intitolata Akai Hato – Apiru. Agli occhi degli editori, deve essere sembrata troppo legata al folklore nipponico per essere tradotta e, quindi, si è preferito puntare al suo posto su Offered, che invece in Italia è stata tradotta da J-Pop. La trama di quest’ultima è tra le più assurde che siano mai venute in mente a Koike: un atleta giapponese, per uno scherzo del destino, finisce nelle mani della nipote di Adolf Hitler, che gli svelerà di essere costretta a unirsi carnalmente a lui per procreare il “super uomo” tanto ambito da suo nonno. Perché proprio lui? Perché lui non è altri che un discendente diretto di – niente meno che – Gilgamesh.

Dal Giappone agli Stati Uniti fino alla Cappadocia, tra la rapina del secolo frenata dall’arrivo del Presidente degli Stati Uniti in persona, una serie di riti tradizionali dei beduini del deserto, il regno di Agharti, l’eredità di Gilgamesh, l’incarnazione di Mitra e donne costrette a sacrificarsi per l’uomo di turno: Offered è probabilmente il manga più “particolare” che abbia mai scritto Koike. Un concentrato di insensatezza che solo lo stile iperrealista di ikegami è riuscito a rendere, in qualche modo, credibile e, paradossalmente, affascinante. Il fascino dell’assurdo.

Tra il 1986 e il 1990, nello stesso periodo in cui realizzava anche Crying Freeman, Apiru e Offered su testi di Koike, Ikegami si cimentò nel ritrarre le gesta di Nobunaga Oda, figura storica chiave per comprendere il predominio del Giappone nel corso della Storia, modellandolo come un personaggio valoroso, virile, molto serio e, naturalmente, sciupafemmine. Se non fosse esplicitamente scritto in copertina che la sceneggiatura è firmata da Kazuya Kudo (l’autore di Mai la ragazza psichica), Nobunaga sembrerebbe proprio una delle solite storie in costume scritte da Koike per Goseki Kojima, il disegnatore di Lone Wolf and Cub.

Le collaborazioni con Buronson

Nel 1991, sotto lo pseudonimo di Sho Fumimura, Buronson iniziò a lavorare a quattro mani con Ikegami su quella che andrebbe considerata la storia fantapolitica migliore mai realizzata in più di un secolo di nona arte: Sanctuary. La trama verte sulla scommessa tra due amici, Asami, aspirante politico, e Hojo, carismatico capo di un clan della yakuza, che ambiscono a realizzare quello che è, a tutti gli effetti, un sogno utopico: rivoluzionare il sistema politico nipponico, gerontocentrico e tremendamente corrotto, così da cambiare il Giappone per sempre.

sanctuary 1 star comics ikegami

Legati da un sentimento assai più profondo dell’amicizia o del banale amore, man mano che andranno avanti, i due eroi, uniti come fossero le due facce opposte dello yin-yang, si renderanno conto che non è solo il sistema politico del Giappone a essere così tremendamente stantio e inamovibile. Cosa possono l’amicizia, l’amore e l’umanità contro un sistema tanto ingiusto? In un vortice di sviluppi inaspettati, Asami e Hojo percorreranno in parallelo due strade estremamente tortuose, utilizzando carte simili a quelle dei loro sporchi avversari, ma con un fine certamente più nobile.

Nella miriade di tematiche che Buronson e Ikegami sviscerano nella loro opera, spicca il rigetto categorico del potere lasciato agli anziani, incolpati di continuare ad attuare politiche opportuniste e anacronistiche che rendono stagnante la società. Il disastro non è semplicemente dovuto a una visione distorta delle necessità dei più giovani o a una miope percezione di quel che accade dal basso, ma a un vero e proprio scollamento dalla realtà.

Nella maggior parte dei casi, secondo il pensiero di Buronson, i leader anziani pensano unicamente a preservare lo status quo, anteponendo i propri interessi e quelli della loro cerchia a scapito della collettività, continuando a favorire la concentrazione del potere e delle ricchezze nelle mani di pochi megalomani.

Tutti questi mali sono incarnati dall’antagonista assoluto, Isaoka, una sorta di mefistofelico Silvio Berlusconi. A un certo punto della storia, uno dei protagonisti finisce per domandarsi perché mai, se tutti lo disprezzano, consapevoli del suo approccio distruttivo, perché mai continua questo a governare da decenni? La risposta sta nel suo potere di manipolare l’opinione pubblica grazie ai mass media e al controllo e alla distorsione dell’informazione, per aumentare i consensi, demonizzando i suoi rivali. Si tratta a tutti gli effetti di propaganda, edulcorata per apparire come un’opinione legittima.

ikegami sanctuary manga

Sanctuary non parla esclusivamente del sogno di riformare il Giappone o del rapporto dietro le quinte tra politica e mafia, ma è una storia che continua a essere molto attuale, in uno scenario, quello contemporaneo, sempre più distopico.

Alla chiusura di Sanctuary, nel 1995 Ikegami si buttò a capofitto su Kyoko – The Love Bullet, una miniserie scritta da Shoko Ieda, romanziera al suo primo tentativo come sceneggiatrice di un’opera a fumetti. Appare lampante che la scrittrice abbia provato a tirar fuori qualcosa che seguisse similmente i topos dei manga scritti da Koike e Buronson che piacevano al pubblico prevalentemente maschilista di Ikegami. C’è proprio tutto: dagli intrighi alla fantapolitica, all’immancabile violenza sessuale. In aggiunta, l’autrice calcò la mano con le frasi fatte, affannandosi a cercare l’aforisma più adatto a questa storia di “amore e vendetta”.

La protagonista è una ragazza giapponese che, subita una violenza nei pressi di una base americana, finisce per innamorarsi del suo salvatore, un afroamericano (fantasiosamente chiamato Brown). Per vendicarlo, finirà per trovare la forza non solo di riprendersi ma, addirittura, di arruolarsi nell’esercito USA, pur di scoprire le macchinazioni che si celano tra gli statunitensi e i giapponesi. La ciliegina sulla torta è la presenza di un personaggio, quello della vicepresidente USA, che ricalca Hillary Clinton nell’aspetto. D’altronde, presidenti e vicepresidenti americani erano già apparsi in altre opere di Ikegami. Poteva la sceneggiatrice esimersi?

Da Odyssey a Heat

Dato il successo di Sanctuary, Buronson decise di consegnare a Ikegami il soggetto di Odyssey, un’altra storia intessuta di utopia fantapolitica, decisamente interessante sulla carta – ma meno nell’esecuzione. Tutto gira attorno a un interrogativo: cosa accadrebbe se l’America dovesse rompere il patto di sicurezza siglato con il Giappone? È il 1995. Mancano pochissimi anni all’avvio del nuovo millennio e, con questo, i due autori si domandano: cambierà effettivamente qualcosa nei delicati rapporti tra USA e Giappone, alla luce dell’avanzamento in tutti i campi della Cina? Si potrebbe auspicare un Giappone nuovo, che nel Ventunesimo secolo possa reggersi sulle proprie gambe, anche qualora si opponesse alla superpotenza americana?

Per farlo, però, è necessario comprendere la vera natura di una democrazia come quella americana. Per stare ai vertici del Governo più influente al mondo, bisogna affrontare lotte basate su forze che di “democratico” hanno ben poco. D’altronde, da sempre, le fila della politica sono plasmate dalla sete di potere di personaggi che non conoscono correttezza e per i quali ogni espediente è lecito.

«È incredibile come la purezza possa assomigliare così tanto all’ingenuità.» Con questa frase, Buronson riassume tutto il senso di questa storia, intessuta di rivalsa e nazionalismo, destinata maggiormente a chi si interessa in qualche modo alla geopolitica. Un’opera estremamente diversa dalle altre di Buronson, molto più ideologica e didascalica. Il ritmo si spezza soltanto all’ultimo, per ravvivare l’attenzione dei lettori, trasformandosi in una sorta di violenta “reazione a catena”. A differenza di Sanctuary, Odyssey non possiede personaggi indimenticabili né la regia mozzafiato che aveva caratterizzato verticalmente la trama del suo predecessore.

Se in Sanctuary il passato dei protagonisti veniva fatto risalire alla Cambogia, e in Odyssey veniva tirata in ballo la questione di Taiwan e della Cina, in Strain, terza opera realizzata dal duo nel 1996, fu il turno di un terzo Paese asiatico: la Malesia. Mayo (il cui vero nome è Shingo), giapponese che vive a Kuala Lumpur, si ritrova nel mezzo di un complotto ordito dal fratello, magnate che controlla il potente clan dei Kusaka. L’obiettivo di questo freddo leader è quello di impossessarsi dei giacimenti petroliferi della Malesia e diventare il primo asiatico a gestire i flussi upstream dell’oro nero, controllati a quei tempi esclusivamente da società occidentali. Per farlo, deve liberarsi del fratello Shingo e della figlia nata per errore durante un rapporto con una donna anni prima. I legami di sangue, si rivelano, dunque, l’ostacolo maggiore quando ci sono in ballo interessi e ambizioni personali.

Oltre ai topos ricorrenti, alla base di Strain emerge il tema della “razza”, insieme a quello dei legami di sangue. Emblematico, in questo quadro, l’effige del cavallo che il protagonista Shingo è solito dipingere, metafora del discorso sullo “strain”. In questa spirale di parentele indesiderate, di madri che danno alla luce figli nati da violenze e abusi e altri che scoprono di essere stati adottati, Buronson tira in ballo, forse inconsapevolmente, anche il tema dell’omosessualità. Omosessuale è Angel, belloccio violentissimo, ai limiti della psicopatia, ossessionato dal protagonista che incarna, nel solito calderone maschilista tipica degli autori, una visione pessima dell’omosessualità, legata a violenza, stupefacenti e altri temi fuori dall’ordinario.

Dopo Strain, il duo si dedicò a lavorare a Heat. Sguardo penetrante e carisma fuori dal comune, a Karasawa, protagonista assoluto del manga, basta uno schiocco di dita per riuscire a dominare tutta Kabukicho, insieme alle anime che gravitano attorno a quella zona di Tokyo. Nonostante i suoi metodi poco ortodossi, l’aitante e misterioso ragazzo ci tiene a sottolineare di non essere uno yakuza. E ama sottolineare che lui pesta soltanto chi non gli va a genio, mentre gli altri, uomini o donne che siano, preferisce conquistarli o portarli dalla sua parte.

In poche parole, Karasawa è il perno su cui ruota tutto Heat. Tutti gli altri personaggi, alleati o nemici, finiscono per subirne il fascino ipnotico che ricorda, a tratti, Hojo, il protagonista di Sanctuary. Buronson e Ikegami avrebbero potuto intitolare questo loro manga proprio “Karasawa” e non sarebbe cambiato di una virgola il senso di questa epopea tra clan criminali. Si trattava della quarta opera a fumetti realizzata a quattro mani dal duo Buronson-Ikegami, serializzata nel corso di ben 5 anni, tra il 1999 e il 2004, per un totale di 17 volumi complessivi (in Italia è stata pubblicata l’edizione bunkoban lunga 10 tomi).

In dirittura di chiusura, Heat finì per trasformarsi in un’opera di denuncia contro la supremazia e il predominio statunitense nel mondo, tanto da ricordare certe atmosfere alla Tetsuwan Girl di Tsutomu Takahashi. In verità, già in Sanctuary e in Odyssey gli autori avevano tentato di affrontare la questione, seppur in modo meno diretto, nascondendo la critica alla bandiera venduta come esportazione della democrazia e degli aiuti umanitari.

Gli uomini e le donne di Ryoichi Ikegami

Quando si parla di Ikegami, è necessario tenere in considerazione un assunto: con qualunque storia finisca per cimentarsi, la sua più grande e evidente soddisfazione è quella di riuscire a disegnare uomini affascinanti, carismatici, muscolosi, particolarmente virili. Tuttavia, questi uomini devono necessariamente incarnare il ruolo dell’eroe. Un maschio bello è, in automatico, un maschio buono. Anche quando uccide, commette errori o si macchia di crimini aberranti, in fondo, avrà sempre le sue ragioni.

Di contro, quando si tratta di disegnare un antagonista, Ikegami si sbizzarrisce e lo disegna ripugnante, vecchio, grosso e inguardabile. Così come accadeva in Sanctuary, dove il caimano Isaoka assumeva le fattezze adatte al suo ruolo – basso, acido, con il volto segnato da rughe profonde – Ikegami riservò le stesse sorti all’antagonista di Strain. C’è una dicotomia quasi ingenua in questa prassi di Ikegami, dove l’eroe è sempre bello e il cattivo sempre necessariamente brutto.

Nella raccolta di racconti intitolata Yuko, la tendenza a disegnare esclusivamente uomini affascinanti si invertì a favore delle donne. Stanco di continuare a essere affiancato sin dagli esordi da uno sceneggiatore dopo l’altro, negli anni Novanta Ikegami aveva deciso di iniziare a realizzare dei racconti tutti suoi, senza avvalersi del supporto di autori esterni. I racconti della raccolta li aveva realizzati a margine delle sue opere lunghe, tra Sanctuary, Odyssey e Strain.

Il risultato non distava molto dalle altre storie da lui soltanto disegnate: c’era sempre quello stesso vortice di azione, rivalsa ed erotismo a cui ci aveva abituati insieme a Koike e Buronson. Tra tradimenti e ossessioni quotidiane, trovavano spazio nella raccolta anche alcune leggende ad ambientazione storica, ispirate ai classici della letteratura giapponese di inizio Novecento. Il titolo suggerisce il fil rouge dei vari racconti: il nome di molte delle protagoniste.

Chi conosce a fondo il mondo di Ikegami sa che Yuko è un nome che ricorre spesso nelle sue opere. Così si chiamava la prima ragazza di White Haired Devil, ma anche la defunta moglie di Tokai in Sanctuary. E anche in Heat appare una ragazza di nome Yuko.

Nell’intervista pubblicata in coda a Yuko, il maestro Ikegami sosteneva di volersi affrancare dall’idea di essere un artista che lavorava su testi di altri autori:

«Le opere disegnate su sceneggiature altrui presentano sempre personaggi costruttivi e positivi. Invece, nelle opere originali che disegno da quand’ero giovane capita spesso che i protagonisti amplifichino aspetti negativi dell’animo umano. Credo di essermi preso la libertà di scegliere storie che non avrei mai potuto disegnare usando sceneggiature di altri».

Nel 1999 Ikegami tornò a lavorare da solo, pubblicando con Kodansha Bestia – Ryugetsusho. È difficile classificare o, quantomeno, interpretare il protagonista di questo dramma storico, un uomo con sangue bestiale che va in giro a copulare per diffondere il veleno che ha in corpo. Si trattava in ogni caso per l’autore di un divertissement, realizzato per il puro piacere di disegnare un dramma storico in costume, estremo, violento, assurdo, con un pizzico di misticismo esoterico.

Dal Giappone alla Cina

Che Buronson fosse interessato ad approfondire i rapporti tra il Giappone e i Paesi limitrofi era chiaro già da Sanctuary. Che lo sceneggiatore passasse, però, subito dopo la conclusione di Heat, a realizzare un manga storico ispirato all’epopea cinese dei Tre Regni, intitolato Lord, deve essere stata una cosa sorprendente per il pubblico giapponese.

Ikegami, in fondo, aveva già realizzato vent’anni un’altra opera ad ambientazione storica sulla vita di Nobunaga Oda, ma si era trattato di un’opera minore durata una manciata di volumi. Lord, invece, resta a oggi l’opera più lunga che Ikegami abbia mai disegnato, alla quale ha fatto seguito anche un sequel intitolato Soul. Lord è uno dei titoli ancora inediti in Italia tra i vari lavori creati dal prolifico Ikegami, così come in Francia dove è stato interrotto a causa, probabilmente, dello scarso riscontro di pubblico.

Sangokushi (1971-1986) di Mitsuteru Yokoyama è il manga che più di tutti spinse il pubblico giapponese ad appassionarsi alle vicende dei Tre Regni della storia della Cina. Il suo successo fu tale da formare negli anni una fetta di otaku dedita a questa epopea fondamentale della Storia dell’Asia. Buronson decise di creare con Lord il suo personale remake dei Tre Regni, rivolto però a un pubblico adulto, lo stesso che da decenni restava fedele a tutte le opere disegnate da Ikegami.

Che parlasse di rivalsa tra yazuka o di sanguinosi conflitti per l’unificazione della Cina, la struttura narrativa ricca di colpi di scena delle sceneggiature di Buronson non si distanziava. Il solito protagonista stratega che sapeva usare il cervello tanto quanto i muscoli finiva sempre per essere attorniato da personaggi secondari irruenti, la cui spavalda ingenuità non fa che mettere in buona luce il carattere irresistibile del nostro eroe, al cui fascino non resiste nessuno, né donne né uomini.

Le origini

Prima di essere indissolubilmente associato al mondo della yakuza e della fantapolitica, Ryoichi Ikegami aveva però attraversato una fase diametralmente opposta a quella che lo avrebbe poi reso famoso in tutto il mondo. Da giovane, nel 1970, all’età di appena 26 anni, la sua prima vera e propria “hit” era stata una versione manga di Spider-Man, adattato per il pubblico locale. Un’operazione simile a quella già fatta per Batman nei primi anni Sessanta, disegnato in Giappone da Jiro Kuwata.

Un lavoro certamente acerbo e per nulla sensazionale, nient’altro che un’operazione commerciale per un artista che aveva esordito pochi anni prima realizzando storie underground per la rivista Garo da cui, per sua stessa ammissione, non aveva percepito alcun emolumento. La cosa più singolare di questo Spider-Man nipponico, una cosa che non si sarebbe poi ripetuta nelle altre opere successive di Ikegami, era l’abbondanza di gag e omaggi ai colleghi e i maestri dell’epoca. Succedeva così che, sullo sfondo, apparivano Shotaro Ishinomori e Shigeru Mizuki, mentre su uno schermo TV un giovane Go Nagai commenta le mosse degli editori dell’epoca.

Le prime preziose storie realizzate tra gli anni Sessanta e Settanta, quando lavorava ancora come assistente di Mizuki, raccolte nel volume OEN (tradotto in Italia da Star Comics), mostravano un Ikegami del tutto diverso. Erano storie in costume, in prevalenza ad ambientazione storica, in cui donne e uomini arrivisti, tutt’altro che eroi, cercavano egoisticamente di sopravvivere in un’epoca di lacerazioni, segnata da privazioni di ogni sorta.

È quanto mai interessante notare l’influenza dei grandi maestri dell’epoca, come Shinji Nagashima e Shotaro Ishinomori, non solo nella narrazione ma in particolare nel tratto, ancora lungi dall’essere quello iperrealista a cui ci avrebbe di lì a poco abituati. Se in Gli amori di OEN, Il fiore bianco sbocciato in terra e La Oni di Adachigahara si respiravano le atmosfere tipiche dei racconti storici di Sanpei Shirato (co-fondatore di Garo), racconti come I piccioni impazziti e La farfalla dal volto umano mostravano un’esplicita fascinazione per l’horror psicologico tipico di Umezz. È curioso notare che Il liquido bianco, invece, sembra un omaggio a Tsuge Yoshiharu.

OEN è un prezioso documento storico più che una mera antologia, direttamente dalle mani dell’ultimo grande maestro ancora in vita tra coloro che hanno fatto la Storia del manga. E, insieme a Yuko, resta a oggi il modo migliore per approcciarsi a un artista ineguagliabile, tra i più grandi che l’universo manga abbia mai potuto vantare.

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