Casa Zero, ora a far tremare gli ex clienti è l’Agenzia delle Entrate

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Ora a fare paura agli ex clienti di Casa Zero è l’Agenzia delle Entrate. Che potrebbe chiedere indietro il corrispettivo dei crediti fiscali ceduti al consorzio di Nervesa per la realizzazione di lavori di ristrutturazione che avrebbero dovuto essere eseguiti attraverso l’oramai famigerato bonus 110%. Interventi che però non sono mai stati portati a compimenti o addirittura non sono mai iniziati.

A rilanciare l’allarme è l’avvocato Fabrizio Negrini, legale di 22 delle 40 persone che oggi 12 febbraio hanno presenziato all’udienza di opposizione all’archiviazione dell’inchiesta per truffa ai danni dei privati che sarebbe stata perpetrata da Casa Zero. L’altro troncone di indagine, che invece riguarda la truffa aggravata ai danni dello Stato e degli istituti bancari che hanno monetizzato i crediti, è invece arrivato alla fase dell’udienza preliminare, che si svolgerà il 22 aprile prossimo. Sul banco degli imputati (che non hanno ancora deciso se chiedere o meno riti alterativi) ci sono l’amministratore delegato Fabio Casarin, Alberto Botter (amministratore di fatto), i professionisti Massimiliano Mattiazzo, Andrea Pillon, Giorgio Feletto e i consulenti del lavoro Daniela Pacelli, Alessandro Pacelli. Ultimo, ma non per importanza, Roberto Brambilla, che sarebbe il regista finanziario dell’intera operazione. Gli otto, attraverso l’emissione di numerose fatture fasulle, avrebbero ottenuto indebitamente crediti fiscali per oltre 50 milioni di euro, di cui circa 36 sono stati oggetto di sequestro.

Il pubblico ministero Massimo De Bortoli ha chiesto l’archiviazione sull’assunto che mancherebbe l’elemento fondamentale per configurare la truffa ovvero la disposizione patrimoniale da parte del committente. Non ci sarebbe stato, secondo la Procura, alcun pagamento e per questo non si ritiene che si possa configurare il raggiro ai danni del privato. A non essere considerati sufficienti a provare il reato non ci sarebbero né le false fatture inserite nei cassetti fiscali poi svuotati né il fatto che alcuni si siano trovati con le impalcature lasciate in casa o i lavori a metà. Tanto più che, in una memoria a supporto e integrazione della sua richiesta, De Bortoli ritiene che in alcuni casi manchi anche l’elemento della preordinazione da parte degli indagati (che sono gli stessi del filone sulla truffa ai danni dello Stato) a realizzare il raggiro.

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Ma oltre ad una casa che per molti sarebbe risultata alla fine inagibile, come detto sugli “esodati” di Casa Zero c’è il rischio della mannaia del fisco. L’Agenzia delle Entrate, nel 2022, aveva emesso una circolare che, nella prospettiva degli investigatori, metterebbe al riparo i clienti del consorzio da eventuali azioni di rivalsa economica. “In realtà – dice ancora l’avvocato Negrini – basta leggere quel documento per capire che le cose non stanno esattamente così. L’Agenzia delle Entrate ritiene che la condizione preliminare sia il fatto che i cittadini abbiano sporto regolare denuncia per la cosiddetta truffa subito ma si riserva eventuali iniziative una volta che si saranno conclusi i procedimenti penali. La teoria secondo cui i clienti di casa Zero siano in una botte di ferro è falsa: è infatti necessario che la denuncia sfoci, e oggi eravamo qui per questo, in un procedimento che accerti tutte le responsabilità. Solo questo assicurerebbe i committenti contro eventuali azioni di rivalsa”.

E ci sarebbero casi di persone, residenti tutte fuori provincia, che sarebbe state convocato dalla Guardia di Finanza per “interlocuzioni” relative ai crediti fiscali ceduti, facendo prendere corpo allo spettro rappresentato dalla richieste di restituire centinaia di migliaia di euro. Il gup Cristian Vettoruzzo si è riservato la decisione su una eventuale imputazione coatta oppure procedere al’archiviazione.

Gli “esodati” si sono insinuati anche nel procedimento civile relativo al fallimento di Casa Zero. “E’ questo e non un processo civile – spiega Simone Guglielmin, uno dei difensori degli indagati – il luogo per ottenere eventualmente un risarcimento per comportamenti che a nostro giudizio può al più avere comportato un danno ma non sono certamente una truffa. Del resto, in sede penale, il caso si è configurato come un presunta truffa in danno dello Stato e delle società che hanno monetizzato i crediti. Non è possibile fare due processi per lo stessa fattispecie”.



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