Focus on Iran: notte di protesta in tutto l’Iran


Nella notte del 46° anniversario della Rivoluzione del 1979, in varie città dell’Iran, i cittadini hanno scandito slogan di protesta contro la Repubblica islamica dalle finestre e dai tetti delle abitazioni, al grido di “Morte al dittatore”, “Morte a Khamenei”, e “Morte alla repubblica esecutrice”, per protestare contro il crescente numero di condanne a morte emesse ed eseguite in Iran, contemporaneamente allo spettacolo di fuochi d’artificio e luci del governo. In molti quartieri di Teheran, tra cui TehranPars, Jannat Abad, Ekbatan, Ekhtariyeh e nei pressi di piazza Enghelab, e anche in altre città iraniane, tra cui Dehdasht Zahedan, Semnan, Sanandaj, Shiraz, Karaj, Kerman, Yasuj e Yazd, a Kermanshah, si potevano udire slogan di protesta. “Più di 45 anni di furti, appropriazioni indebite, disperazione, inflazione, corruzione, stupri e omicidi”. “Queste sono le ultime canzoni autunnali che stai suonando” gridavano, facendo riferimento agli inni governativi riprodotti dagli altoparlanti in tutta la città per commemorare la Rivoluzione del 1979. E ancora “Donna, vita, libertà”. Le proteste si sono protratte anche il giorno dopo, con manifestazioni di piazza in diverse città. Iran International riporta di scontri a Dehdasht tra i manifestanti e le forze di sicurezza che, oltre ad arrestare almeno due persone, hanno sparato proiettili di vernice.

Ormai le manifestazioni antiregime si susseguono sia all’interno del Paese che fuori. Diverse migliaia di oppositori iraniani provenienti da tutta Europa hanno manifestato sabato 8 febbraio a Parigi per commemorare il 46° anniversario della rivoluzione che nel 1979 rovesciò lo Scià Reza Pahlavi e per chiedere alla comunità internazionale di prendere una posizione ferma contro il regime di Teheran, incoraggiati dalla caduta dell’ alleato storico Bashar al-Assad in Siria. I sostenitori del Consiglio nazionale della resistenza iraniana (CNRI), si sono dati appuntamento a Parigi per chiedere il cambio di regime in Iran, la fine della teocrazia al potere e l’instaurazione di una repubblica democratica. I manifestanti, che portavano striscioni con slogan come “Abbasso l’oppressore, che sia lo Scià o la Guida Suprema” e “Lunga vita alla rivoluzione democratica del popolo iraniano” hanno gridato il loro rifiuto sia nei confronti del governo religioso, che del possibile ritorno alla monarchia, invocando un’alternativa democratica e un’intervento deciso contro il regime iraniano, in primo luogo per fermare le esecuzioni, in particolare quella dei prigionieri politici.

Hanno inoltre condannato il regime per aver preso in ostaggio cittadini stranieri e ne hanno chiesto il rilascio immediato. Maryam Rajavi, presidente eletta del Consiglio nazionale della resistenza iraniana (CNRI), intervenendo alla manifestazione tramite video, è stata l’oratrice principale, insieme a personalità tra cui Guy Verhofstadt, ex primo ministro del Belgio, e Ingrid Betancourt, nonché membri dell’Assemblea nazionale e del Senato francese, insieme ad un gran numero di persone che hanno collaborato con il Consiglio Nazionale della Resistenza, rappresentanti di 320 associazioni iraniane in Europa, Nord America e Australia, nonché rappresentanti di varie nazionalità, tra cui le comunità curda, beluci e araba. Si è registrata una notevole presenza di donne e giovani, molti dei quali non sono mai stati in Iran, ma sostengono l’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo Iran (PMOI/MEK) e il CNRI, sperando in un futuro più libero

Se la politica interna non va bene per il regime, ancora peggio va la politica estera. La crisi economica ed energetica in Iran è sempre più pesante. I commercianti del bazar di Teheran hanno protestato in maniera veemente contro la politica economica sempre meno efficace. L’inflazione è alle stelle, continua l’aumento dei prezzi della valuta e dell’oro: il prezzo di un dollaro statunitense sul libero mercato iraniano ha superato i 94.000 toman il 10 febbraio. L’aumento ha subito un’accelerazione dopo la risposta di Alì Khamenei a Trump, intenzionato a impedire all’Iran di dotarsi di armi nucleari.

Mercoledì 7 febbraio, il presidente degli Stati Uniti si era espresso in un post sul suo social network, Truth Social, dicendo di voler firmare un “accordo di pace nucleare credibile” con Teheran, che consentirebbe all’Iran di crescere e prosperare “pacificamente” senza acquisire armi nucleari. In un’intervista al New York Post di domenica scorsa, Trump ha sottolineato che preferirebbe un accordo con la Repubblica islamica che un eventuale bombardamento “atroce” dell’Iran. Ma secondo la Guida Suprema “I negoziati con l’America non sono onorevoli “…”non hanno alcun effetto sulla risoluzione dei problemi del Paese”. E si affretta a mostrare il lato magnanimo del regime, graziando finalmente le giornaliste Elaheh Mohammadi e Niloufar Hamedi, condannate rispettivamente a 12 e 13 anni di carcere per aver diffuso la notizia e le foto della morte di Mahsa Amini.

Intanto Iran International ha pubblicato una foto della manifestazione governativa del 9 febbraio a Teheran, che mostra due persone dietro un’auto che indossano maschere di Trump e Netanyahu vestiti di prigionieri, in una gabbia da galera.
Il regime scricchiola, ma non smette di provocare.





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