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Il servizio

Coordinate da Ats Libra e Voandalana promuovono corsi per scongiurare il ripetersi di violenze e maltrattamenti

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Sono circa 150 quelli che dal 2020 a oggi hanno affrontato un percorso di recupero: stiamo parlando di uomini violenti nei confronti della moglie, della compagna o della ex. Sono l’altra faccia della medaglia della violenza di genere. Da tempo sono operativi centri di aiuto per le vittime ma poco si sa di cosa si fa per evitare che chi agisce la violenza di genere la ripeta. Per questi uomini esistono percorsi di recupero che hanno l’obiettivo di rendere consapevoli del male e del danno creato. Vengono definiti “uomini maltrattanti” e possono cambiare, ma per farlo serve un aiuto che viene fornito in centri specializzati che fanno capo alle aziende sanitarie.

Due centri di recupero

A offrire questo aiuto a Mantova sono due realtà del territorio: Libra, ente del terzo settore, che segue un gruppo in carcere e un altro nella propria sede a Ponte Rosso (strada Gambarara), e l’associazione di promozione sociale Voandalana di Suzzara che al Gradaro d’intesa con la questura lavora con chi riceve un ammonimento formale di allontanamento per violenza.

Entrambi questi centri sono coordinati da Ats Valpadana, in rete con l’Ufficio di esecuzione penale esterna, l’Ufficio del servizio sociale minorile e il carcere cittadino. I fondi del progetto sono regionali, ma danno supporto anche la Chiesa Valdese e Fondazione Marcegaglia.

I progetti

“Viol.A” (Violenza nelle relazioni affettive) è il salvagente di Libra, lanciato a questi uomini con lo scopo di tutelare le loro vittime. Progetto Zeus (da un protocollo tra il Centro per la promozione della mediazione e la questura) è attuato dall’associazione Voandalana. Coinvolgono imputati e giudicati per reati di maltrattamento e sex offenders e ai diversi corsi partecipano ogni anno circa venti persone che, spiegano i promotori, sono sempre tutte occupate. Per un totale, dal 2020 di circa 150 persone coinvolte in incontri settimanali di psico-educazione. Così anche a Mantova sono nati i Cuav ovvero i “Centri uomini autori di violenza”, per affrontare il problema alla radice.

Riconoscere il danno

«Il progetto non è un percorso di mediazione tra il violento e la vittima, ha invece lo scopo di aiutare chi ha agito violenza a riconoscerlo, a rivedere i comportamenti, a impegnarsi a stare in una relazione. Sono incontri di gruppo nei quali ciascuno ragiona sul perché e cerca metodi alternativi all’alzare le mani o la voce contro qualcuno. I partecipanti vengono aiutati a capire i campanelli di allarme, tra questi anche i segnali fisici come l’aumento del battito cardiaco» spiega Angelo Puccia di Libra.

Ricorre invece a un orientamento diverso, di psicodramma, il lavoro messo in campo da Voandalana: «Si lavora in gruppo con una equipe di psicologi e professionisti formati allo scopo, in un percorso multiprofessionale, incidendo sulla consapevolezza, sull’incapacità relazionale e gestionale delle proprie emozioni che è all’origine delle violenze» chiarisce Lorenzo Pedroni.

Il recupero

Funziona? «Nessuno di loro è tornato nuovamente in carcere con un una condanna per lo stesso reato, il feedback secondo noi è positivo» sostiene Puccia che aiuta a dare un volto alle persone che in questi anni hanno frequentato i percorsi di recupero: i più giovani hanno circa 30 anni, i più grandi anche fino a 75 e non c’è differenza di provenienza, sono italiani quanto stranieri. «Chi partecipa firma un patto di corresponsabilità in cui si impegna a fermare ogni tipo di violenza» spiegano gli operatori.

Ma si sa che fidarsi ciecamente non sarebbe il caso, così il percorso, che segue linee guida regionali, attiva anche una sorta di controllo incrociato, il “Contatto partner”: «Se la vittima autorizza, una operatrice donna la contatta periodicamente per capire se si sono ripetuti episodi o se sono state violate le prescrizioni».

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Obbligati e volontari

Sono davvero disposti a mettersi in gioco? «Non tutti sono supermotivati – risponde Puccia – Molti arrivano perché obbligati da un decreto del tribunale, altri caldeggiati a farlo da parte di assistenti sociali, pochi, ma qualcuno c’è, per scelta volontaria. Ma va bene anche così: li porta nel circuito e hanno modo di riflettere. Anche il gruppo aiuta chi è recalcitrante». «L’obiettivo – spiega Pedroni – è prevenire le condotte violente nei nuclei familiari e nelle relazioni strette, con interventi focalizzati a ridurre il rischio di escalation e recidiva del comportamento aggressivo».

Comportamenti controllanti (delle amicizie, delle uscite di casa, dell’economia), abusi, botte, violenze verbali sminuenti: la gamma delle violenze compiute per lo più ai danni di donne d’altronde è vasta.



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