La cultura del potere della sinistra ipocrita

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La mia storia personale racconta per me che il garantismo rappresenta un costante faro di riferimento della mia azione, sociale e politica. Del resto, sono davvero pochi gli avvocati che, del principio della presunzione d’innocenza, non hanno fatto la loro stella polare. Insomma, oggi non voglio affrontare una vicenda giudiziaria in sé sia pure dai risvolti inquietanti ma aprire una riflessione, più generale, sul clima che sta accompagnando questa stagione della sinistra al governo in Campania. In verità abbiamo già assistito alla fine di una lunga gestione di potere a sinistra, quella del bassolinesimo, imperante per quasi vent’anni. Tuttavia, in quel caso la degenerazione sclerotica dell’immenso potere locale che era stato accumulato si tradusse essenzialmente in una serie di fallimenti amministrativi, sia pure gravissimi: la crisi dei rifiuti, il dissesto finanziario, il commissariamento della sanità, ecc.

Oggi, no, oggi è diverso. Infatti, accanto al disastro gestionale (con la Campania ultima per trasporti, livelli di occupazione, per welfare, per servizi nella sanità, e persino per aspettativa di vita), il crepuscolo deluchiano si sta consumando in una interminabile successione di inchieste giudiziarie che, pezzo dopo pezzo, colpiscono l’intero assetto di potere che è stato cinicamente costruito nel Nostro Posto, con una gestione familistica e clientelare senza uguali. Tuttavia, affrontare questa drammatica vicenda dal solo versante del cacicco salernitano e della sua corte di famelici valvassini sarebbe oggettivamente riduttivo e fuorviante. Quello che davvero inquieta è l’atteggiamento del Pd e delle sinistre che, in questi 10 anni, sono sempre stati saldi e silenziosi alleati di Vincenzo De Luca, pronti a raccattare sul piano territoriale gli avanzi clientelari che venivano loro lanciati dal tavolo del banchetto salernitano, mentre su quello nazionale non hanno mai esitato ad appropriarsi dei risultati elettorali campani per conquistare maggioranze di governo. Leali o complici, sodali o conniventi, comunque, alla fine poco importa.

Sta di fatto che mai e dico mai una sola azione di gestione del potere di De Luca è stata messa in discussione o anche soltanto criticata da Pd e cespugli vari. Fateci caso, le stesse critiche che oggi fanno capolino a sinistra sono tutte portate avanti esclusivamente nel nome del “rinnovamento”: ma di quale rinnovamento stanno parlando? Mi chiedo: come fanno a utilizzare questa espressione sinonimo di radicale cambio di passo, di modifica sostanziale nella condotta e nei comportamenti quando non una delle scelte deluchiane nell’amministrazione della Campania viene anche soltanto messa in discussione? Ad eccezione della sua decisione di provare a candidarsi per la terza volta, s’intende. Ma anche qui stiamo assistendo unicamente ad un indecente paradosso: la legge che Corte Costituzionale permettendo lo consentirebbe, è stata votata all’unanimità dalla sua maggioranza, dopo un patetico minuetto con la Schlein, degno di qualche svenevole operetta d’altri tempi.

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La verità è un’altra. Stiamo assistendo al logoro riproporsi di un antico vizio che, a sinistra, si ripete stancamente e cinicamente: quello del peggior gattopardismo. Di fronte all’incalzare delle inchieste si fa finta di prendere le distanze, mascherando il consueto cinismo sotto forma di pelosi distinguo. Il caso dell’arresto del tesoriere del Pd campano per la storiaccia del traffico di contratti fasulli sulla pelle di immigrati clandestini e di imprenditorucoli senza scrupoli lo fotografa plasticamente. Nicola Salvati che merita ovviamente di godere anche lui della presunzione d’innocenza è stato tempestivamente scaricato dal Pd nazionale come un sottoprodotto estraneo al proprio dna, dimenticando ad esempio che, come tesoriere, è stato confermato da ben due commissari nominati direttamente dal partito nazionale, fra cui proprio l’attuale, quel Misiani proconsole del rinnovamento “a la carte”. E invece, ancora una volta, neppure una parola è stata spesa sul modo in cui qui è stata concepita e gestita la politica, esercitata senza il benché minimo interesse per le condizioni di vita dei cittadini, ma soltanto per profondo senso di attaccamento alla poltrona.

Anzi, nel tentativo affannoso di sbarazzarsi di ciò che testimonia il “marcio”, non si è esitato come recita un antico adagio a “gettare via il bambino con l’acqua sporca”. Quell’acqua sporca di cui provano a liberarsi rappresenta però il brodo di coltura in cui il loro sistema si è generato e si è sviluppato, trasformandosi giorno dopo giorno in cultura del potere. Ed è in questo contesto che si inquadra l’operazione chirurgica che riguarda lo stesso Vincenzo De Luca: asportare l’ormai indifendibile “ducetto” senza tuttavia toccare il deluchismo e il suo ben oliato meccanismo gestionale. Ecco perché, con inarrivabile doppiezza, l’operazione viene portata avanti senza spendere parola sui risultati di quella gestione, ma anzi continuando a essere partecipi, sino all’ultimo giorno, della sua logica spartitoria. Ora sono in ballo, giusto per fare degli esempi, gli appalti dei miliardi dell’Fsc, le nomine dei direttori delle Asl, l’avvio della nuova programmazione europea, atti che spetta a De Luca porre in essere, quantomeno nella fase programmatoria. Di tutto questo il Pd è impegnato ad essere protagonista con De Luca sino all’ultimo giorno, con l’obiettivo di appropriarsi dei risultati e di gestirne i frutti: il tutto esattamente nello stesso momento in cui prova a presentarsi agli elettori con candide vesti.

L’impegno è dunque quello di smascherare questo tentativo di truffa, questo esercizio di ipocrisia affaristica, questa ennesima prova di degenerazione dei costumi e della morale delle Istituzioni locali, cui si deve buona parte anche della marginalità della Campania nello scenario della politica nazionale. Anche attraverso questa strada passa il cammino per restituire dignità alla Campania, rendendola finalmente libera da chi la vuole condannare a restare ultima. Quel cammino noi lo possiamo fare a testa alta per testimoniare ai tanti che oggi sono annichiliti da ciò a cui assistono, che la politica è altro dall’accaparramento di spazi e dall’arricchimento personale.

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