Proteste dei sindacati contro il governo dopo l’approvazione della nuova legge sul diritto del lavoro. Legge contestata per la mancanza di dialogo e le conseguenze sulla precarietà e occupazione. Preoccupa l’aumento del costo della vita
12 Febbraio 2025
Articolo di Luciano Ardesi
Tempo di lettura 4 minuti
Mentre il nord del Marocco è stato colpito, il 10 febbraio scorso, da un terremoto di magnitudine 5.2 percepito in diverse grandi città – da Rabat a Casablanca ma senza danni contrariamente a quello disastroso del settembre del 2023 – il paese è ancora scosso dalla protesta e dall’inquietudine sociale.
Uno sciopero generale di due giorni era stato proclamato alla fine della settimana scorsa dai cinque principali sindacati nazionali per denunciare la disoccupazione, la precarietà del lavoro, l’inflazione e soprattutto la legge che regola il diritto di sciopero, definitivamente approvata dal parlamento il 5 febbraio, primo giorno dello sciopero.
Primo sciopero generale da 10 anni
Va sottolineato che si tratta del primo sciopero generale a 10 anni di distanza dall’ultimo sciopero generale, del 24 febbraio 2016, anche allora per protestare contro una legge che modificava il sistema pensionistico, sullo sfondo, come oggi, di preoccupazioni sociali, in primo luogo la disoccupazione.
Un’adesione ampia
Lo sciopero generale ha dato origine a una forte mobilitazione e ha trovato pieno successo soprattutto in alcuni settori, come l’insegnamento, il settore pubblico ma anche in alcune zone industriali. L’Union Marocaine du Travail (UMT) ha stimato all’85% l’adesione allo sciopero, e il suo Consiglio nazionale ha denunciato il tentativo del ministro del Lavoro Younes Sekkouri di minimizzare l’ampiezza della mobilitazione diffondendo cifre false.
Il ministro, infatti, ha fornito dati molto inferiori soprattutto per il settore privato (poco più dell’1%) e limitando a meno di 1/3 l’adesione nel settore pubblico. Per questo motivo l’UMT ha annunciato la rottura dei rapporti e della concertazione col ministro, e si è riservato di intraprendere nuove azioni.
Legge fortemente contestata
Il diritto di sciopero è riconosciuto in Marocco dalla Costituzione del 2011, come dalle precedenti, ma è sempre mancata una legge che lo regolamentasse.
Di fatto, è sempre stato regolato dai rapporti di forza con il regime monarchico, che ha di volta in volta usato bastone o carota a seconda delle convenienze del momento. Quella appena approvata è dunque la prima legge organica sul diritto di sciopero. Legge che ha avuto un iter lungo e travagliato, poiché il progetto è in gestazione da dieci anni.
La difesa del governo
Arrivato alla stretta finale, il governo si è difeso di aver fatto alcune concessioni: in caso di contrasto nell’interpretazione delle norme prevale quella a favore dei lavoratori e dei loro sindacati, lo sciopero per motivi politici e di solidarietà, per difendere gli interessi indiretti, morali e non solo economici, degli scioperanti è legittimo, inoltre il diritto viene riconosciuto in tutti i settori lavorativi.
Infine, il datore del lavoro non può in alcun caso ostacolare lo sciopero, ad esempio sostituendo chi si astiene dal lavoro.
Il governo sostiene così di aver rispettato i parametri dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil).
Malgrado alcune concessioni dell’ultimo minuto, il giudizio dei sindacati è rimasto fortemente negativo e la legge nel suo complesso viene definita “liberticida”. Accusano il governo di non aver condotto una vera consultazione con le parti sociali e di non averle coinvolte nella preparazione del testo di legge, approvato peraltro da una Camera dei rappresentanti nella seduta in cui erano assenti i 2/3 dei deputati (291 su 365), dimostrando così la scarsa considerazione per un tema di grande interesse sociale e politico.
La protesta sindacale si misura anche e soprattutto con la situazione sociale ed economica del paese. Le cifre ufficiali raccontano solo un aspetto della situazione.
Crisi economica e incertezza sul futuro
Il Fondo monetario internazionale (Fmi), nel suo comunicato a conclusione della missione nel paese, prevede un lieve aumento del Pil dal 3,2% nel 2024 al 3,9% nel 2025. Mentre l’inflazione dovrebbe attestarsi attorno al 2% annuo (era del 6,1% nel 2023).
Il Fondo ha inoltre incitato il governo a un maggior impegno sulla disoccupazione che lo scorso anno ha raggiunto il 13,3% (13% nel 2023). Per domani è convocato il Consiglio dei ministri in vista dell’adozione di misure a favore dell’occupazione, tenuto conto che i margini di manovra sono ridotti, stante l’imperativo di contenere il deficit di bilancio che lo scorso anno ha raggiunto il 4,3% del Pil.
Al di là delle cifre e delle esortazioni del Fmi, la percezione sociale della situazione è molto differente, come attesta la partecipazione allo sciopero generale. Il costo della vita è la preoccupazione maggiore ed è con una certa apprensione che a fine mese si aspetta l’inizio del Ramadan, tanto da indurre il governo ad affrettarsi a garantire l’approvvigionamento dei beni alimentari a prezzi ragionevoli e che invece solitamente subiscono un forte rialzo proprio durante il mese del digiuno.
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