Il buio oltre lo schermo, la crisi dei cinema romani

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Abbandonati e dismessi, i cinema di Roma rischiano di trasformarsi nei teatri di un business senza regole. Negli ultimi anni oltre cento sale della Capitale hanno chiuso definitivamente. Senza una strategia di rilancio tra pubblico e privato, la riapertura sembra un miraggio.

Fast food al posto dei cinema, lo spettro dietro la proposta di legge regionale

Una questione tornata centrale dopo una proposta di legge pronta a essere discussa dal Consiglio regionale del Lazio. Tra le varie misure previste, la possibilità di fare interventi di ristrutturazione, demolizione e ricostruzione nei cinema che risultano chiusi o dismessi al 31 dicembre 2023. 

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L’obiettivo del provvedimento – che rientra nel piano di semplificazione urbanistica varato dalla Regione – è recuperare le sale in preda al degrado. Per il momento si tratta ancora di una bozza, ma se la norma sarà approvata i proprietari degli immobili potranno decidere di sostituire vecchie poltroncine e proiettori analogici impolverati con fast food e palestre. Alla luce delle ultime modifiche, la condizione è che il cinema sia chiuso da almeno 30 anni, come rivelato da Repubblica. In questo caso, la Regione concederà un cambio di destinazione d’uso senza vincoli. 

Per tutte le altre sale, invece, entreranno in gioco percentuali crescenti di mantenimento dell’attività cinematografica, in base al numero di anni passati da quando è scattata la chiusura. L’idea è di fissare la ripartizione delle quote di destinazione d’uso su un rapporto 70/30. Le sale chiuse da oltre 15 anni per riaprire dovranno destinare una superficie del 30 per cento ad attività culturali e cinematografiche. 

L’allarme delle associazioni: “Le sale trasformate in templi del business”

Critiche al provvedimento arrivano da Anna Maria Bianchi Missaglia, regista e documentarista televisiva, dal 2012 membro dell’Associazione CarteinRegola, attiva nella tutela del patrimonio culturale romano. 

“Invece di rilanciare i cinema, il solo fatto di poter destinare metà della superficie ad attività commerciali – sottolinea – è comunque un investimento più redditizio per i proprietari”.  

Per Bianchi, dietro alla promessa della semplificazione urbanistica, si nasconde il pericolo concreto di trasformare pezzi del patrimonio culturale capitolino in templi per il business.  “La logica è convertire le sale in modo da poterle sfruttare dal punto di vista commerciale”, spiega a Lumsanews. “Se il proprietario può trasformare per il 50 per cento le aree in palestre e bar, allora non è più uno spazio culturale”, conclude. 

Corrotti (Fdi): “Tempi stretti, entro febbraio la norma deve andare in aula

Non certo lo scenario immaginato dai firmatari della proposta. Alla base dell’emendamento c’è l’idea “di attivare la filiera del cinema” non solo nella Capitale ma in tutto il Lazio. Lo ribadisce Laura Corrotti, consigliera regionale di Fratelli d’Italia e presidente della Commissione Urbanistica. Corrotti, tra i promotori del provvedimento, è tornata sulla questione dopo le polemiche delle ultime settimane e gli appelli di attori, registi e lavoratori dal mondo del grande schermo. 

La norma che dovrebbe essere “approvata a breve” – spiega la consigliera – permetterebbe di “riaprire i cinema abbandonati, nel cuore della città o in periferia, che sono ora una fonte di degrado”. 

Dopo un iniziale braccio di ferro, lo scorso 3 febbraio il presidente della Regione Lazio Francesco Rocca, ha deciso di ascoltare le richieste dei rappresentanti dell’industria cinematografica. 

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Nell’incontro alla Pisana – al quale ha preso parte anche Corrotti insieme al presidente della commissione Cultura, Mario Crea – il presidente ha detto di “condividere la preoccupazione di non lasciare le sale in mano alla speculazione”. Come spiega Corrotti, nel corso del tavolo tecnico è stata presa in considerazione anche la possibilità di stabilire delle premialità per incentivare la rinascita del settore cinematografico, lasciando fuori dall’emendamento le sale ancora in attività. 

Nel concreto, è allo studio l’ipotesi di “disporre una premialità di cubatura extra dello stabile” agli esercenti che nel cambio di destinazione d’uso della struttura s’impegneranno a “lasciare una piccola percentuale destinata a centri culturali che siano cinema e teatri”.

Lo scetticismo delle opposizioni tra critiche e caute aperture

Il passo indietro di Rocca è arrivato dopo settimane di accuse e reciproci attacchi tra Pd e Fratelli d’Italia. Nonostante l’apertura da parte della Regione, tra le opposizioni prevale lo scetticismo. Per rilanciare il circuito dei cinema nel Lazio “ci vorrebbe un’amministrazione regionale attenta a tutelare e valorizzare sia la cultura sia la città, ma purtroppo non è così”, attacca Massimiliano Valeriani, consigliere regionale del Partito Democratico. In sintesi, “a questa amministrazione non interessa né la cultura né la città, a meno che non ci sia da accontentare qualcuno”. Critica anche Antonella Melito, consigliera del partito democratico nell’Assemblea capitolina, che vede nella decisione della giunta Rocca la solita “proposta che taglia di netto i rami secchi”.

Dall’Adriano all’Empire: i piani del fondo olandese per i cinema della Capitale

A scuotere il mondo dei cinema romani, poche settimane prima, era stato il fondo olandese Hadrian’s Wall, con l’acquisizione all’asta per 42 milioni di euro di nove sale, tutte provenienti dal fallimento di una delle società dell’imprenditore Massimo Ferrero. 

Inizialmente passata in sordina, la vicenda ha acquisito rilievo dopo le polemiche  sull’emendamento alla legge regionale che cambia i criteri per la destinazione d’uso dei multisala romani. 

Per Anna Maria Bianchi l’acquisizione è la prova che “l’interesse dei grandi investitori stranieri per la città di Roma” non risparmia nemmeno i luoghi della cultura.

Grazie alla nuova legge c’è la possibilità che i proprietari che hanno rilevato, tra le altre sale, anche il cinema Adriano di Piazza Cavour “non devono aspettare più 15 anni per farne un supermercato”. La  cosa paradossale – sottolinea Bianchi – è che questa volta il via libera arriva “da chi deve porre un limite”. Siamo di fronte alla “legge del più forte”, dove vince chi “ha più soldi e può modificare la città seguendo il metro del profitto invece che quello dell’interesse collettivo”. 

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