La solitudine dell’argine giudiziario | il manifesto

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Il presente che viviamo è un’epoca di transizione della democrazia. Inevitabilmente, i conflitti tra politica ed esercizio della giurisdizione assumono caratteristiche di inedita gravità. Neoliberismo e sovranismo sono in perfetta continuità e marciano di pari passo.

Lo raccontano le parole del profetico romanzo di Stephen Markley Diluvio: «Una bestia che esigeva il profitto da un lato e una bestia che esigeva legge, ordine e letalità dall’altro». La torsione nazionalista e poliziesca delle democrazie si salda con le esigenze del liberismo de-territorializzato di disporre di recinti statuali nei quali il conflitto sia ingabbiato da leggi repressive, la vitalità delle forze sociali sacrificata in nome del «popolo sovrano» e dell’ «io sovrano».

È questa alleanza minacciosa che oggi offre la soluzione alla crisi dell’organizzazione politica e spaziale del mondo. Il dispositivo spaziale del potere statuale è costretto a ripensarsi a fronte dello spostamento istantaneo e simultaneo di informazioni, merci e persone. È il problema capitale delle democrazie, ma mentre le forze progressiste balbettano, omogeneità e continuità vengono recuperate dalle destre attraverso categorie distorte – la patria, la nazione, la religione, la sicurezza, la rimozione delle differenze di genere – e l’espulsione di chi con quelle identità fittizie non collima.

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Che l’ottica sovranista sia nostalgica e illusoria non deve indurci a sottovalutarne la capacità di manipolazione della realtà, favorita dall’appiattimento su logiche puramente economiche delle grandi costruzioni sovranazionali, a partire dall’Unione europea.

Su un unico punto, tuttavia, quelle costruzioni e le relative convenzioni hanno mantenuto la promessa: la propensione a proteggere i diritti in ogni parte del globo, ancorandone la tutela alla mera umanità più che allo schermo di una qualsiasi cittadinanza. L’unica speranza per la democrazia è che questa promessa si dilati, che il costituzionalismo si faccia mondiale, nella prospettiva indicata da Luigi Ferrajoli. La ragione dei diritti contro quella di Stato e di mercato.

Evidente che questa traiettoria amplifichi il conflitto tra sfera della politica e sfera del giudiziario. Non è casuale che, nel nostro Paese, le maggiori polemiche sono scaturite dalle decisioni giudiziarie che, a partire dalla cogenza di principi sovranazionali, hanno contenuto il potere (neocoloniale) di trasferire migranti in territorio albanese. Ancora, dalla violazione del mandato di arresto della Cpi. La protezione della persona è entrata in inevitabile collisione con l’ideologia dei sovranismi contemporanei di disporre esclusioni e non avere argine alla spendita indiscriminata dei loro capitali simbolici: patria, sicurezza, identità. Sono i miti sui quali investe anche la destra italiana per attirare elettori e capitali. A essere nel mirino della politica, pertanto, è la forza stessa dei diritti, non un particolare sistema processuale più o meno garantista. Coerentemente con tale impostazione, la riforma della giustizia introduce un meccanismo di pervicace controllo dei giudici (dal sorteggio dei futuri Consigli superiori all’Alta Corte di disciplina).

Si può azzardare che l’ostilità nei confronti dei giudici sia più drastica in ragione del fatto che la tutela dei diritti impone di lavorare in avamposti di un futuro possibile: il costituzionalismo globale. Questa condizione scolpisce allo stesso tempo la responsabilità e la debolezza della magistratura. Responsabilità di non abbandonare la traiettoria di espansione dei diritti, di coltivarla con la dovuta deontologia professionale e cultura del mondo; debolezza connaturata al fatto che il futuro del costituzionalismo non si può reggere sulla via giudiziaria.

Quando, negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, i magistrati si cimentarono nell’immane sforzo di scongelare la Costituzione, dovettero sostenere aspri conflitti, ma si trovarono immersi nella stessa corrente emancipatrice delle lotte delle classi subalterne per far vivere i diritti costituzionali, trasferire brandelli di potere dall’alto al basso. La costituzionalizzazione della società nazionale era favorita dall’omogeneità culturale e sociale delle parti in lotta.

Oggi urge una soluzione globale ai problemi locali, ma costituzionalizzare il mondo è assai più difficile e le lotte per tale obiettivo hanno bisogno di trovare passioni positive che facciano da collante e presa popolare. Fin quando il mosaico non si comporrà, il giudiziario sarà destinato di volta in volta a incarnare i mali di quel mondo fittizio costruito dall’immaginario sovranista: la minaccia internazionalista, il pericolo per la sicurezza delle persone, l’attentatore delle identità.
Il futuro è conteso, ma il nuovo costituzionalismo, prima di essere scritto nelle carte, dovrà diventare prassi politica.



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