Lo Stato regionale e la  legge sull’autonomia differenziata delle Regioni « ilTamTam.it il giornale online dell’umbria

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Parte seconda

Il procedimento previsto dal vigente art. 116, comma terzo, della Costituzione per l’attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario come introdotto dalla riforma costituzionale dell’ottobre ’01 non ha ancora trovato completa attuazione per nessuna Regione italiana. La stessa definizione di autonomia differenziata nel campo della potestà legislativa di cui al nuovo art. 117 Cost. appare anche inappropriata in quanto il principio di differenziazione è invece espressamente previsto nel nuovo art. 118, comma primo, Cost. insieme a quelli di sussidiarietà (verticale) e adeguatezza ma per l’attribuzione delle funzioni amministrative ai diversi livelli istituzionali  e per poterne assicurare l’esercizio unitario.  Nella XIV legislatura (’01-’06-Governi Berlusconi II e III- Casa delle Libertà: FI-AN-LN-UDC-NPSI-PRI) il tema della riforma costituzionale è stato impostato nell’ottica del centro-destra, vincitore delle elezioni del maggio ’01, sotto la spinta della Lega Nord di U. Bossi segretario fino al ’12 e poi Presidente a vita del partito. La Lega Nord allora spingeva per allargare le competenze regionali  mediante la c.d. “devolutionovvero la competenza esclusiva delle Regioni in materia di sanità, ordinamento scolastico e polizia locale nella prospettiva di un impianto di tipo federalista. La c.d.”grande riforma“costituzionale del centro-destra che prevedeva anche il rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio dei ministri verso il c.d. “premierato forte” è stata però sonoramente bocciata nel referendum confermativo (art. 138 Cost.) del giugno ’06 con una forte prevalenza dei “no” pari ad oltre il 61%. Nel frattempo era stato nuovamente riformato il sistema elettorale con la legge n. 270 del dicembre ’05 (c.d. legge Calderoli, definita anche Porcellum”) che aveva introdotto un sistema proporzionale integrato con soglie di sbarramento e premi di maggioranza. 

Con l’elezioni politiche del maggio ’06 la XV legislatura ha visto il ritorno della maggioranza di centro-sinistra ma solo per una durata biennale (Governo Prodi II- L’Unione– DS-DL la Margherita-PD- PRC-RnP-PdCI-IdV-FdV-UDEUR-ISI-DCU-LpA-AL-SD-LD-MRE). Hanno fatto seguito l’elezioni politiche anticipate dell’aprile ’08 che hanno visto una consistente superiorità numerica del centro-destra e, con l’inizio della XVI legislatura,  anche l’affermazione della semplificazione del sistema politico verso un assetto bipolare. Tale assetto politico era incentrato da una parte sull’unificazione delle forze del centro-destra nel partito Il Popolo della Libertà (PdL) e dall’altra sull’avvenuta fusione tra i Democratici di Sinistra (DS dal ’98), la Margherita e altri minori nel Partito Democratico (PD) fondato nell’ottobre ’07 con  Segretario nazionale W. Veltroni scelto mediante elezioni primarie  e che  alla prima tornata elettorale dell’aprile ’08 ha ottenuto oltre il 33% dei voti. Ma con la crisi economica nel mondo occidentale e anche nel nostro paese per l’elevato debito pubblico nel novembre ’11 il Governo Berlusconi IV di centro-destra (PdL-LN-MpA-CN-PT-FdS-DC) entrò in crisi e fu sostituito dal Governo Monti (Governo tecnico con l’appoggio esterno di PdL-PD-UDC-PSI-PRI-PLI- FLI e altri) fortemente voluto dal Presidente della Repubblica G. Napolitano. Il Governo Monti sul piano costituzionale è riuscito a far approvare la l.c. n. 1 dell’aprile ’12 recante tra l’altro la sostituzione dell’art. 81  Cost. sull’equilibrio di bilancio in attuazione dell’accordo intergovernativo in sede europea c.d. “Fiscal Compact” per correggere i disavanzi eccessivi della finanza pubblica. Quel Governo tecnico si è anche avventurato nel campo istituzionale facendo rafforzare l’ipotesi di riforma del sistema bicamerale con la proposta di riduzione del numero dei parlamentari e  anche di una riforma dell’ordinamento delle autonomie locali che prevedeva inopinatamente la soppressione delle Province. Tali storici enti locali avevano preso avvio, nella loro accezione moderna, su tutto il territorio nazionale come la principale suddivisione del Regno d’Italia proclamato con la legge n. 4761 del marzo 1861 (Governo Cavour III) a seguito dell’avvenuto raggiungimento dell’Unità d’Italia con l’annessione al Regno di Sardegna o sabaudo degli Stati preunitari durante tutto il Risorgimento. L’ordinamento delle Province italiane era stato infatti organicamente disciplinato dalla Legge comunale e provinciale contenuta nell’Allegato A della legge n. 2248 del 20 marzo 1865 recante l’unificazione amministrativa del Regno e che all’art. 1 disponeva “Il Regno si divide in provincie, circondari, mandamenti e comuni” e al titolo terzo conteneva la disciplina dell’amministrazione provinciale.

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Con l’elezioni politiche del febbraio ’13 sono apparsi  evidenti i limiti della legge elettorale n. 270 del dicembre ’05 che, nonostante il sistema maggioritario, non ha reso possibile una maggioranza omogenea nelle due Camere. La XVII legislatura è iniziata con il rinnovo, per la prima volta nella storia della Repubblica, del mandato al Presidente G. Napolitano il quale ha favorito la nascita di un Governo di “larghe intese” tra i partiti di centro destra e quelli di centro-sinistra (Governo Letta- di grande coalizione: PD-PdL/NCD-SC-UdC-PpL-RI) e ha riaperto il tema delle riforme costituzionali affidando ad una Commissione di esperti la stesura di una prima bozza di riforma. La bozza è stata poi approfondita in sede parlamentare nel giugno ’13 con l’approvazione di una mozione che invitava il nuovo Governo ad attivare un percorso per procedere ad una revisione del sistema bicamerale, della forma di Stato, della forma di Governo e della legge elettorale con una procedura speciale. Intanto con la legge di stabilità dell’anno ’14 (la n. 147 del dicembre ’13, art. 1, comma 571) il Parlamento ha anche approvato alcune disposizioni attuative relative alla fase iniziale del procedimento per il riconoscimento di maggiore autonomia alle Regioni a statuto ordinario. In particolare la norma ha previsto un termine di 60 giorni dal ricevimento entro il quale il Governo è tenuto ad attivarsi sulle iniziative delle Regioni presentate al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali ai sensi dell’art. 116, comma terzo, Cost. e ai fini dell’intesa tra la Regione interessata e lo Stato per arrivare alla legge rinforzata da approvarsi  dalle Camere a maggioranza assoluta. Il Governo Letta ha anche presentato alle Camere un progetto di legge costituzionale per l’istituzione di un Comitato bicamerale di 42 membri che avrebbe dovuto redigere uno o più progetti da portare in Assemblea con un iter analogo a quello dell’art. 138 Cost. ma da sottoporre a referendum popolare anche se approvato in seconda lettura con la maggioranza dei due terzi. Tale proposta di l. c.  è stata poi abbandonata con le dimissioni da Capo del Governo di Letta nel febbraio ’14 a seguito di un voto di sfiducia nei suoi confronti della Direzione nazionale del PD su una mozione del nuovo Segretario nazionale del partito M. Renzi eletto nelle primarie del dicembre ’13.

Il Governo Renzi (PD-NCD-UdC-SC-PSI-DEMOS-CD di centro-sinistra) tra le altre riforme ha anche operato sul piano istituzionale con la riforma elettorale per la sola Camera dei deputati di cui alla legge n. 52 del maggio ’15 (nota come “Italicum) poi però dichiarata parzialmente illegittima in aspetti caratterizzanti, come il ricorso al ballottaggio, dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 35 del febbraio ’17 e successivamente sostituita dalla legge n. 165 del novembre ‘ 17 (c.d. legge Rosato e nota anche comeRosatellum). Il Governo Renzi ha anche costruito un vasto progetto di riforma della Parte II della Costituzione volta a superare il bicameralismo paritario con la trasformazione del Senato in un organo rappresentativo delle autonomie locali, a modificare il procedimento legislativo, a rivedere in senso più centralista l’ordinamento regionale del nuovo titolo V, nonché ad abolire le Province e il CNEL. Tale riforma, approvata in via definitiva dal Parlamento nella prima metà dell’anno ’16, è stata però seccamente bocciata a larga maggioranza (con circa il 60% dei no) nel referendum popolare del dicembre ’16 con le dichiarate e coerenti dimissioni del Governo. Il successivo Governo Gentiloni (PD-NCD/AP-CpE-Demo.S-CD-PSI di centro-sinistra e con appoggi esterni vari), con nuovo Presidente della Repubblica S. Mattarella già dal febbraio ’15, ha  sviluppato e completato le altre riforme impostate dal Governo Renzi e ha portato il Paese alla scadenza naturale della legislatura nell’anno ’18.  A fine febbraio ’18 (ancora Governo Gentiloni fino a tutto il maggio ’18) sono stati firmati tre distinti accordi preliminari, c.d. pre-intese, con le Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna che avevano avviato il percorso per il riconoscimento di forme e condizioni particolari di autonomia di cui all’art. 116, terzo comma, Cost. e che individuavano i principi generali, la metodologia e un primo elenco di materie per la definizione della prescritta intesa fra Stato e Regione interessata.

Con l’inizio nel marzo ’18 della XVIII legislatura e dopo una travagliata formazione dell’Esecutivo (Governo Conte Idi coalizione M5S-LSP-MAIE e c.d.”giallo-verde“) le tre Regioni con le quali erano state stipulate le pre-intese hanno manifestato nel luglio ’18 al nuovo Governo l’intenzione di voler ampliare le materie da trasferire. Nel frattempo anche altre Regioni a statuto ordinario che non avevano firmato pre-intese hanno espresso al Governo la volontà  di iniziare il percorso per ottenere ulteriori forme di autonomia. Si tratta delle Regioni Campania, Liguria, Marche, Piemonte, Toscana e Umbria (Presidente Giunta regionale Marini II-PD-PSI- con deliberazioni di Giunta n. 372 dell’aprile ’18 e di Assemblea legislativa n. 249 del giugno ’18) che hanno fatto pervenire al nuovo Governo le rispettive richieste di  avvio dei negoziati.  Sono anche state riprese le trattative tra le prime tre Regioni e i Ministeri interessati in base alle materie, coordinati dall’allora Ministro per gli affari regionali e le autonomie E. Stefani. Nella seduta del CdM del 14 febbraio ’19 la Ministra Stefani ha illustrato i contenuti delle intese con le tre Regioni e il Consiglio ne ha preso atto e condiviso lo spirito. Le bozze delle intese sono state anche pubblicate sul sito del Dipartimento affari regionali della Presidenza del Consiglio nel testo concordato tra il Governo e ciascuna Regione limitatamente alla parte generale comune alle tre intese.

Nel corso dell’anno ’19 si è aperto un grande dibattito sulle richieste pervenute e sul percorso per la definizione delle intese. Le questioni hanno riguardato le modalità di coinvolgimento degli enti locali, il ruolo del Parlamento e la non emendabilità in sede parlamentare del disegno di legge rinforzato che contiene le intese nonché la definizione dell’ampiezza delle materie da attribuire. Altro argomento di discussione è stato se, dal punto di vista finanziario, il trasferimento delle competenze alle Regioni dovesse avvenire previa definizione dei costi standard e, nelle materie dove siano previsti, dei Livelli essenziali di prestazioni (LEP) oppure, anche precedentemente alla loro definizione, sulla base della spesa storica come ipotizzata dagli accordi preliminari del febbraio ’18. In proposito la definizione dei LEP è stata poi inserita tra le riforme previste del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) con scadenza marzo ’26.

Durante il successivo Governo Conte II (di coalizione M5S-PD-LeU-IV-MAIE e c.d. “giallo-rosso”) è però prevalso l’orientamento a far precedere la stipula delle intese dall’emanazione di una “legge-quadro” (o meglio denominata “legge cornice”) che avesse definito le modalità d’attuazione dell’art. 116, comma terzo, Cost. anche se tale legge non risulta prevista dalla norma costituzionale. La legge-quadro, a partire dal Documento di Economia e Finanza (DEF) ’20, è stata inserita tra i provvedimenti collegati alla manovra di bilancio. In particolare tali questioni sono state richiamate dalle audizioni svolte dal Ministro Boccia per gli Affari regionali e le autonomie presso la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale nel novembre ’19 e presso quella degli Affari regionali nel settembre ’20.

Analogo orientamento sulla c.d. legge-quadro è stato poi assunto e confermato anche dal Governo Draghi (di unità nazionale LSP-M5S-AZ-FI-PD-IpF-IV-Art.1-+Eu-NcL-CD) in carica dal febbraio ’21 e con Presidente della Repubblica S. Mattarella al secondo mandato dal febbraio ’22. La Ministra Gelmini per gli affari regionali e autonomie ha poi esplicitato tale orientamento nelle medesime Commissioni competenti. La stessa Ministra ha anche reso nota l’avvenuta istituzione con d.m. del giugno ’21 di un’apposita Commissione di studio, supporto e consulenza in materia di autonomia differenziata. Nel corso di un question time svolto in una seduta della Commissione a fine giugno ’22 è emerso che la Commissione aveva già fornito agli uffici del Ministero analisi e spunti utili per una prima definizione del testo del disegno di legge-quadro ma, alla fine anticipata della  XVIII legislatura per le dimissioni reiterate nel luglio ’22 dal Presidente del Consiglio Draghi, comunque il disegno di legge-quadro non risultava essere stato presentato al Parlamento. In parallelo, per approfondire le questioni relative all’attuazione del regionalismo differenziato, la Commissione parlamentare per le questioni regionali nel triennio ’19-’21 aveva anche svolto un’indagine conoscitiva con l’audizione di  rappresentanti del Governo, degli Enti territoriali nonché di studiosi ed esperti in materia e nel luglio ’22 aveva approvato un documento conclusivo. Con riferimento agli aspetti dell’autonomia finanziaria la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale risultava aver già svolto un ciclo di audizioni.

Il Governo Meloni (di destra-centro- FdI-LSP-FI-NM-IaC-RI) in carica dall’ottobre ’22, a seguito dell’elezioni politiche del settembre ’22  e dell’inizio della XIX legislatura, già nel marzo ’23 e probabilmente anche in virtù degli avanzati lavori preparatori dei precedenti Governi già in possesso degli uffici ministeriali è stato in grado di presentare al Senato della Repubblica il disegno di legge d’iniziativa governativa S. 615, collegato alla legge di bilancio per gli anni ’23-’25 e recante disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi del vigente terzo comma dell’art. 116 Cost. . Tale d.d.l. era appunto volto a definire i principi generali per l’attribuzione alle Regioni di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia e per la modifica e la revoca delle stesse, nonché per le procedure di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione.  Nelle materie di legislazione concorrente elencate nel nuovo art. 117, comma terzo, la Costituzione attribuisce la potestà legislativa alle Regioni a statuto ordinario o cc. dd. di diritto comune nell’ambito dei principi fondamentali riservati invece alla legislazione statale. Il nuovo comma terzo dell’art. 117 Cost. rispetto all’originario comma primo dello stesso art. 117, ha il significato di una più netta distinzione fra la competenza  regionale a legiferare nelle materie indicate e la competenza statale limitata alla determinazione dei soli principi fondamentali della disciplina che sono desumibili non necessariamente da nuove leggi statali ma anche dalle leggi statali vigenti. In tal senso era stato anche disposto dalla legge n. 131 del giugno ’03 (Governo Berlusconi II- Casa delle Libertà) recante norme per l’adeguamento dell’ordinamento delle Regioni alla l. c. n. 3/’01 e  che all’art. 1, comma 3, aveva sancito che “Nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potestà legislativa nell’ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti.”.  La riforma costituzionale del 2001 si era mossa nella logica dell’art. 5 della Costituzione il quale, inserito tra i principi fondamentali della stessa, afferma che la Repubblica italiana riconosce e promuove le autonomie locali e nei servizi dipendenti dallo Stato è tenuta ad attuare il più ampio decentramento amministrativo nonché  ad adeguare i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento, fermo restando il fatto che la stessa Repubblica è una e indivisibile. 

L’iter parlamentare del d.d.l. governativo è iniziato  con l’esame in sede referente della Commissione Affari costituzionali del Senato della Repubblica e dopo la trattazione degli emendamenti presentati e l’approvazione di alcuni di essi si è passati all’esame dell’Assemblea del Senato che, a seguito dell’approvazione di ulteriori emendamenti, ha approvato in prima lettura l’intero d.d.l. nella seduta di fine gennaio ’24. L’iter parlamentare è continuato alla Camera dei Deputati con l’esame del d.d.l. in sede referente presso la Commissione Affari costituzionali che ha concluso i lavori nella seduta di fine aprile ’24 e ha conferito ai relatori il mandato a riferire favorevolmente all’Assemblea nel testo identico a quello del Senato. La Camera ha poi approvato il testo di legge in via definitiva nella seduta di metà giugno ’24. Nella Gazzetta Ufficiale n. 150 del 28 giugno ’24 è stata quindi pubblicata la legge ordinaria n. 86 del 26 giugno ’24 che, nei suoi 11 articoli, reca appunto le “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’ articolo 116, terzo comma, della Costituzione.”.  

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