Non è casuale l’arrivo annunciato di Gad Lerner al teatro Iris di Dronero, fissato per domenica. Il giornalista e scrittore parlerà di “Nazionalismi, guerre e migrazioni: il futuro della convivenza”, portando con sé anche il suo ultimo libro “Gaza – Odio e amore per Israele” (Feltrinelli). Non è casuale prima di tutto perché Dronero rappresenta un esempio peculiare per quanto riguarda l’integrazione dei migranti. Nel corso del 2024, infatti, in città la quota dei cittadini non italiani è salita al 17,61% contro il 9% della media nazionale, sottolineando la vocazione locale alla disponibilità per l’accoglienza. Ed è esattamente in questa prospettiva che il Festival “Ponte del dialogo”, solitamente previsto in estate, ha scelto di aprire una finestra invernale per affrontare il tema appunto dei flussi migratori e dell’integrazione, anche alla luce dell’attualità internazionale. E poi Lerner, nato a Beirut da una famiglia ebraica con genitori di origine ucraina e israeliana, può davvero portare un contributo rispetto alle tensioni che attualmente tengono sotto scacco il mondo in un’ottica di grande competenza oltre che di partecipazione emotiva. «Racconterò anche la mia esperienza vissuta di persona nata sulla sponda meridionale del Mediterraneo», ci conferma al telefono, tra un impegno e l’altro.
Quello della convivenza è un tema che lei conosce da sempre.
«Io sono nato a Beirut. I miei genitori invece in Palestina, che sarebbe poi diventata Israele dopo la loro nascita, nel 1948. In Israele vive gran parte della mia famiglia e sono arrivato in Italia da bambino come apolide, privo di nazionalità. Ho conseguito la cittadinanza italiana seguendo un percorso che anche molti nuovi residenti di Dronero so che hanno percorso. Questo sarà certamente uno spunto, un’esperienza da condividere e sulla quale dialogherò».
Sullo sfondo, c’è la guerra e tutto il dramma a cui assistiamo ogni giorno.
«In questo contesto ha certamente un peso il conflitto in corso nei miei luoghi di nascita, con la lacerazione che provo nel vedere Israele e Libano contrapposti in una guerra terribile. E vivo da vicino l’esperienza dei palestinesi con i quali, fin da quando sono ragazzo, cerco momenti di incontro, di dialogo e di comprensione reciproca».
Che cosa ne pensa?
«La carneficina che hanno subito a Gaza e in misura meno sanguinosa, ma ugualmente drammatica, in Cisgiordania, è qualcosa che ha riflessi anche sulla nostra vita. Non a caso, emotivamente ci coinvolge tanto, perché avvertiamo che quello scontro che si consuma così feroce in un fazzoletto di terra in apparenza lontano, ha assunto dimensioni mondiali e ci chiama a forme di schieramento molto spesso anche eccessivamente semplificate, non mediate».
Con quali conseguenze, tornando al tema dell’appuntamento di Dronero?
«Io credo che lo stato d’animo del migrante, oltre che la sua condizione esistenziale, sia molto influenzato da queste guerre e dalle forme di fanatismo che rischiamo di importare insieme ai linguaggi di queste guerre, agli argomenti della contrapposizione. Sarà un po’ questa la falsariga del nostro incontro di domenica».
Pagheremo le conseguenze dei conflitti in corso, sul piano dei flussi migratori, nei prossimi anni?
«Non farei questo automatismo. Anche se addirittura il presidente degli Stati Uniti parla della necessità di ricollocare altrove i palestinesi della Striscia di Gaza che sono più di due milioni di persone. Perché lì non si può più vivere, la ricostruzione richiederà tra i 10 e i 15 anni. Se con tutto l’impegno per la pace, dichiarato dal governo italiano, qualcuno ora ipotizzasse 100mila abitanti della Striscia di Gaza accolti in Italia, così come abbiamo accolto 170mila ucraini nell’estate del ‘22, sono sicuro che insorgerebbero delle forti opposizioni. Quindi non tratterei questo fenomeno delle migrazioni come una calamità».
È una questione da gestire?
«Credo che l’Italia abbia molto bisogno di forze giovani. Il “Sole 24” ore ha registrato che in vent’anni i lavoratori giovani sono diminuiti di due milioni di unità, mentre quelli con più di cinquant’anni sono raddoppiati. È evidente che tutto ciò comporti anche dei grossi problemi al nostro sistema economico e che con questo fenomeno naturale che è in atto da sempre, l’immigrazione, ci faremo i conti. Nessuno può rifugiarsi nel buon mondo antico e pensare di starci bene: ci starebbe peggio».
Con quale stato d’animo ha seguito l’evento mediatico del rilascio degli ostaggi?
«È la dimostrazione pubblica, direi plateale, che in questa guerra hanno perso tutti, che dopo quindici mesi di azione militare israeliana in risposta al crimine orrendo del 7 ottobre, si è verificata una carneficina di decine di migliaia di palestinesi, sono stati commessi crimini di guerra e crimini contro l’umanità, ma il problema di base non è stato eradicato, come veniva promesso da Hamas. L’immagine dei miliziani armati di tutto punto che prendono in consegna gli ostaggi e li fanno sfilare o li portano alla Croce Rossa, dimostra che c’è ancora quel tipo di controllo sul territorio e che Israele dopo quindici lunghi mesi non può sentirsi più al sicuro nel mentre che i palestinesi – a causa della criminale azione di Hamas –, hanno vissuto il periodo più tragico della loro storia: non avevano mai avuto tante sofferenze. E ancora ne proveranno».
E quindi?
«Hamas si conferma una serpe in seno cresciuta all’interno del popolo palestinese. Dall’altra parte però ci sono i fanatici che negano il diritto della nascita di uno Stato di palestinesi affermando che, in nome del Dio della Bibbia, quella terra deve essere interamente ebraica. A loro volta si trovano ancora oggi sull’orlo di un burrone. La tragedia ulteriore di questa guerra è che i gruppi dirigenti dei due popoli sono in mano a fanatici che purtroppo sempre di più, fra loro si assomigliano».
Dronero è casa di un altro grande giornalista, suo collega tra La Stampa e Repubblica: Ezio Mauro.
«Mi fa piacere tornarci, ero già stato a trovarlo. Avevo conosciuto la sua famiglia tanti anni fa, quando avevamo lavorato insieme. Sono stato vicedirettore di Ezio a La Stampa di Torino dal 1993 al ‘96, tre anni bellissimi e di condivisione totale. Da allora non torno a Dronero e ora mi fa molto piacere questa visita. Racconterò tutto a Ezio».
CHI È
Nato a Beirut nel 1954 da una famiglia ebraica, a soli tre anni si è dovuto trasferire a Milano. Come giornalista ha lavorato nelle principali testate da inviato o con ruoli di direzione. Ha ideato e condotto diversi programmi tra Rai e La7, dirigendo il Tg1. Ora scrive su “Il Fatto Quotidiano”
COSA HA FATTO
Con Feltrinelli ha pubblicato, tra gli altri, “Scintille” (2009), “Concetta. Una storia operaia” (2017), “L’infedele” (2020) e ha curato, insieme a Laura Gnocchi, “Noi, Partigiani. Memoriale della Resistenza italiana” (2020) e “Noi, ragazzi della libertà” (2021)
COSA FA
Domenica 16 febbraio sarà a Dronero per l’evento promosso dall’associazione “Raffaela Rinaudo – OdV” con Comune di Dronero, Agenzia di Sviluppo Afp, associazione «Voci del mondo», Gruppo di Volontariato Vincenziano e Centro Studi Cultura e Territorio, progetto “Maira, la sfida della complessità”, con il contributo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, insieme alla Regione
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