Provincia, Moraschini: «Una strategia trentennale per evitare che valli e Bassa si spopolino»

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di
Pietro Gorlani

L’intervista: «Ho fatto il possibile per riproporre le larghe intese. Nel 2027 non mi ricandido»

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La sua urgenza amministrativa? «Avere fondi per asfaltare i 1500 km di strade provinciali: quelli che abbiamo bastano per 60 km l’anno». Un sogno a lungo termine per la provincia di Brescia? «Immaginare che nel 2050 le valli e la Bassa non si siano svuotate di persone, imprese, servizi». Emanuele Moraschini, 50 anni ad ottobre, padre di un bambino di due anni e mezzo, dipendente di CassaPadana, sindaco di Esine e dal 29 gennaio 2023 presidente della Provincia (incarico per il quale percepisce lo stesso stipendio della sindaca di Brescia, quindi su per giù 130 mila euro lordi l’anno) si definisce una persona «pratica». 

E non culla alcuna velleità politica. Elenca le priorità dei due anni in cui resterà ancora in carica ma non ha alcuna intenzione di ricandidarsi. Non parla volentieri dell’ingarbugliata vicenda riguardante l’assegnazione delle deleghe, che lunedì ha distribuito tra i soli 9 consiglieri di centrodestra. «E pensare che erano tutti d’accordo sulle linee programmatiche…» ragiona a voce alta.




















































Presidente, quattro mesi e mezzo per assegnare le deleghe: se non avesse voluto il governissimo non avrebbe aspettato tanto…
«Io nasco grazie alle larghe intese. Ho provato in tutti i modi a vedere se quella strada era ancora percorribile. I numeri dicevano che non lo era. La scelta presa è stata una conseguenza».

A farle cambiare idea è stato quel pezzo di sinistra che si è chiamato fuori?
«È stato dirimente».

Presidente, ha meno di venti mesi per affrontare diverse criticità. Lei si è tenuto la delega al ciclo idrico: nel 2016 la Provincia optò per il sistema misto, con apertura ai privati, poi il referendum ha congelato tutto. Come intende proseguire?
«In questi venti mesi va trovata una soluzione. Mi risulta che Brescia sia tra le province con l’iter più arretrato in tema di ciclo idrico. Serve un confronto con i territori e poi si deve decidere».

Tema depuratore del Garda: la scelta del commissario si è spostata su Lonato ma anche nella sua maggioranza non tutti sono d’accordo.
«Non è un tema della Provincia, che deve occuparsi di urgenze ben più pratiche: dopo 20 anni stiamo risolvendo il problema della ex statale 237, c’è lo spettro della Corda Molle a pagamento, non abbiamo soldi per asfaltare le strade rovinate da pioggia e ghiaccio…».
 
Salvini ha comunicato che sta sondando alternative al pedaggio della Corda Molle.
«(Alza le mani). Se lo dice il ministro».

Su un bilancio da mezzo miliardo l’anno non avete i soldi per asfaltare le strade?
«Abbiamo margini di manovra nulli. Quello che abbiamo in cassa ci permette di riasfaltare ogni anno solo il 4% di strade. L’ultima manovra di Bilancio non ci ha aiutato. Le aggiungo una cosa: rispetto al 2014 i carichi burocratici sono aumentati ma il personale si è dimezzato, da 1200 a meno di 700 dipendenti. E questo ha ricadute importanti anche sul sistema economico bresciano».

In che senso?
«Se un’impresa vuole ampliarsi e chiede una Valutazione d’impatto ambientale, le deve essere garantita in tempi ragionevoli. Ma serve personale».

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Tema trasporto pubblico: treni e bus in provincia sono gli stessi di 30 anni fa. E l’idea di estendere il tram verso il Garda o il metrò in Valtrompia non germoglia. La Provincia può avere un ruolo programmatorio?
«Possiamo favorire il confronto con i territori ma questa non è più la Provincia pre-Delrio, con una sua decisionalità politica. Di fatto le deleghe che ci ha lasciato la Regione riguardano strade e scuole».

Tema aeroporto. Siete l’unico soggetto bresciano a possedere il 2% di quote della società di gestione, che da troppi anni ne promette il rilancio.
«La concessione è in mano ai veneti e l’azionista di riferimento ha un piano industriale che promette di concretizzare. Io dico che il nostro asset infrastrutturale va valorizzato e Brescia deve fare sistema, muovendosi all’unisono, non dividendosi su chi debba rilanciare lo scalo».

Altra urgenza è la revisione del Piano territoriale di coordinamento provinciale (Ptcp): dovrete limare il consumo di suolo e regolamentare la logistica; i 205 comuni hanno ancora 4mila ettari di aree edificabili e l’Europa chiede di arrivare al consumo di suolo zero nel 2050.
«Cercheremo di capire le esigenze di tutti e 205 i comuni e nel contempo di far rispettare le regole dell’Europa e della Regione. Io sono convinto che la Provincia debba tornare ad avere un ruolo di programmazione del territorio».

È ancora convinto della necessità di costruire la sede unica della Provincia?
«Assolutamente sì. Abbiamo i 700 dipendenti spalmati in nove diverse sedi e la situazione va razionalizzata. L’operazione sarà a costo zero perché andremo a valorizzare gli immobili di proprietà».

Sognava l’ex centro commerciale Freccia Rossa ma è stato acquistato all’asta da una società privata.
«Ci sono altri 7 o 8 possibili opzioni. Si prospettano tempi lunghi, non sarò certo io a vedere la nuova sede».

Lei non si ricandiderà nel 2027?
«Solo un sindaco può fare il presidente di Provincia. Io nel 2027 non lo sarò più».

Spera che la Provincia possa tornare ente elettivo di primo livello?
«Lo auspico. A maggior ragione per una Provincia come la nostra, con quasi 1,3 milioni di abitanti e un Pil superiore a quello di quattro stati europei».

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Cosa si aspetta in questi 20 mesi scarsi dai suoi consiglieri delegati?
«Con ognuno di loro abbiamo ragionato su quattro/cinque obiettivi da raggiungere. Sono fiducioso».

E lei cosa chiede a se stesso?
«Voglio ragionare su come sarà la provincia nel 2050, quali infrastrutture, scuole, servizi saranno strategici. È una sfida che riguarda amministrazioni, imprese, politica».

Per la sindaca Castelletti Brescia non ha peso politico nel governo. Non ha torto se si pensa alla soppressione della filiale di Bankitalia e a quella in programma per la Corte di Giustizia Tributaria.
«Due settimane fa ero in riunione con delle persone che facevano parte della vecchia Dc. Le rispondo con una loro considerazione: “poco più di 30 anni fa, ai tempi di Martinazzoli e Prandini, avevamo mezzo consiglio dei ministri in città”».

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13 febbraio 2025

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