Il fine vita e i “maledetti toscani”. A destra è partita una nuova rissa

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In Lombardia, dopo la notizia di un suicidio assistito, Fratelli d’Italia attacca il presidente leghista Fontana. Il governo annuncia ricorso contro la legge toscana. Il Partito democratico la difende, ma i cattolici si smarcano 

Per gli italiani e le italiane decidere sul proprio fine vita dovrebbe essere un diritto, con percentuali di consenso in aumento costante da vent’anni (come da ultimo dimostra il sondaggio pubblicato qui accanto). Per la destra invece non se ne parla. Letteralmente: il dibattito resta impantanato in commissione. E non sarà un argomento da crisi di governo, ma da crisi di nervi di sicuro.

La pubblicazione delle vecchie chat di FdI contro Matteo Salvini ha surriscaldato il clima già teso nella maggioranza. Il leghista è scatenato contro la premier e gli alleati. E questo è rischioso, visti i tanti dossier aperti fra governo e camere: dall’elezione della presidente Rai all’autonomia differenziata, dalle sfiducie ai ministri Daniela Santanché e Carlo Nordio al ddl Sicurezza (su cui la Lega minaccia sfracelli in caso di modifiche, che però sono anche “chieste” dal Colle).

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Fino al fisco: la Lega chiede una nuova rottamazione delle cartelle, la Ragioneria di stato spiega che servono almeno 5 miliardi, Forza Italia e FdI sono contrarie.

Mancava dunque solo l’insubordinazione a cui sono stati costretti dalla legge i due presidenti leghisti Luca Zaia e Attilio Fontana sul fine vita a irritare ulteriormente il partito di Meloni. Tutto è esploso con la legge approvata mercoledì scorso dal Consiglio regionale toscano, nata dall’iniziativa popolare “Liberi Subito” dell’Associazione Coscioni, che ha raccolto le firme per chiedere di dare applicazione al diritto che la Corte costituzionale ha sancito da ben cinque anni, con la sentenza 242/2019 sul caso del dj Fabo.

In Toscana la legge è passata. Ma in parlamento la legge nazionale è «in una palude», riferiscono le opposizioni: inchiodata in commissione al Senato, con zero possibilità di procedere per volontà della maggioranza. Dopo un lungo ciclo di audizioni – da maggio a novembre 2024 – i relatori Ignazio Zullo (FdI) e Pierantonio Zanettin (FI), non hanno ancora presentato il testo della maggioranza. Anzi, i due sostengono che legiferare, nonostante la sentenza, non sia obbligatorio: «Quando la Corte dichiara l’illegittimità di una norma, non c’è una necessità estrema di una legge».

Maledetti toscani

Il sì toscano ha scatenato la reazione di palazzo Chigi, che fa sapere che impugnerà la legge. Antonio Tajani spiega che se fosse per lui la impugnerebbe. FdI e FI sono sul piede di guerra. In Veneto, il presidente Zaia è da tempo pro choice . Ieri da Repubblica ha sollecitato «una legge nazionale» perché «non si può più nascondere la testa sotto la sabbia». Quanto alla sua regione, sfumata la possibilità di fare una legge, varerà una circolare che «fissi delle regole» per un diritto «che c’è già». Salvini sul tema lascia libertà di coscienza. E ieri, per annusare l’aria, ha lanciato un sondaggio sui suoi social: prevalgono i sì.

In mattinata, poi, dalla Lombardia è filtrata la notizia di un suicidio assistito, il sesto in Italia: si tratta di una donna cinquantenne affetta da sclerosi multipla progressiva da oltre 30 anni, morta nelle scorse settimane a casa sua, grazie all’auto-somministrazione di un farmaco fornito dal Servizio sanitario tramite la regione, dopo nove mesi di via crucis e carte bollate.

Il presidente Fontana si è quasi dovuto scusare con i suoi per aver rispettato la legge: non è stato lui ad autorizzare il suicidio, ha spiegato, «l’autorizzazione l’ha data la Corte con le sue sentenze. Noi non abbiamo fatto altro che trovare delle linee di condotta che verranno estese a tutta la regione».

Ma FdI ha annunciato un’interrogazione all’assessore al Welfare, Guido Bertolaso. Che prova a difendersi: «Rispettiamo le divergenze politiche e non vogliamo entrare nel merito della discussione. Abbiamo dimostrato che anche senza una legge regionale il rispetto del dettame costituzionale può essere eseguito». Qualche mese fa il Consiglio lombardo aveva rigettato la possibilità di discutere di un provvedimento sul fine vita votando che la competenza era dello stato.

A sinistra non va tutto bene

Le opposizioni sono oggi schierate a difesa della Toscana. E provano a farsi sentire in altre regioni. Nel Lazio, per esempio, due giorni fa hanno bloccato l’aula per protesta. La consigliera Emanuela Droghei (Pd) spiega che lì «tutto tace, la proposta presentata a novembre 2023 dai consiglieri Tidei e Marotta non è mai stata nemmeno incardinata».

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Quanto alla mancata legge nazionale, però, non possono scaricare tutta la colpa sulla destra: quando erano al governo non hanno ugualmente combinato niente. Ora l’associazione Coscioni si concentra sull’Umbria, dove governa il centrosinistra.

Ieri Marco Cappato e Filomena Gallo, tesoriere e segretaria dell’associazione, hanno annunciato la raccolta di firme e chiesto che la regione «diventi la seconda ad approvare le norme di civiltà legate al fine vita». Va detto però che la presidente umbra, la cattolica Stefania Proietti, in piena campagna elettorale ha espresso i suoi dubbi sul tema: anzi la sua contrarietà. Il Pd, partito di maggioranza lì come in Toscana, sarebbe favorevole.

Eppure in Veneto, nel gennaio 2024, la legge è saltata per il voto di una consigliera cattolica dem, che è uscita dall’aula. E va detto che se in queste ore è arrivato il no delle Acli sulla legge toscana («una bandierina elettorale»), si sono fatti sentire due cattolici ex parlamentari dell’area di Graziano Delrio, Silvia Costa e Stefano Lepri, contestando alla regione di aver fatto una fuga in avanti «discutibile».

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