Senegal – fa discutere la nuova lista dei media conformi al Codice della Stampa
Sono 258 su 639, i giornali e gruppi editoriali giudicati in linea con le disposizioni statali. Il governo dichiara di lavorare solo per assicurare informazioni affidabili. Per le organizzazioni sindacali dei giornalisti è una stretta alla libertà di stampa
14 Febbraio 2025
Articolo di Antonella Sinopoli
Tempo di lettura 4 minuti
È battaglia in Senegal tra il ministero della Comunicazione, gli organi di informazione e i sindacati che li rappresentano.
Il 6 febbraio scorso, ill dicastero ha pubblicato l’elenco dei media che rispettano il Codice della stampa e di quelli che invece non lo rispettano. Tra le 638 testate giornalistiche regolarmente registrate, solo 258 soddisfano i requisiti e possono quindi continuare le loro attività. Le altre 380, non ritenute conformi, hanno due strade: interrompere le attività o mettersi in regola entro un determinato periodo, pena una sanzione e magari la chiusura forzata.
I sindacati della stampa sono insorti dichiarando la decisione del ministero una violazione della legge e un’intromissione irregolare. Tra i media esclusi anche alcuni molto seguiti nel paese, come Dakar Actu. Oltretutto alcuni sindacati lamentano che alla preparazione della lista abbiano anche partecipato alcuni esponenti della stampa.
L’intento governativo, nelle dichiarazioni di Habibou Dia, direttore della comunicazione, «è accertare che le informazioni diffuse siano vere e verificate. Perché se nell’ecosistema dei meai, ci sono più non-giornalisti che giornalisti a diffondere l’informazione, allora c’è un problema» .
Una posizione che non convince Ahmadou Bamba Kassé, segretario generale di Synpics, l’Unione nazionale dei professionisti dell’informazione e della comunicazione. Per Kassé «non è una prerogativa dello Stato del Senegal attraverso il suo ministero riconoscere o non riconoscere un media». Nonostante le critiche, il ministero ha approvato la lista, mentre editori e sindacati si sono rivolti alla Corte suprema per chiedere l’annullamento della procedura.
Il giornalismo in Senegal è ancora al bivio?
Solo a novembre dello scorso anno, alla vigilia delle elezioni parlamentari, Reporter Senza Frontiere (RSF) aveva rivolto un appello ai futuri deputati affinché si impegnassero a ripristinare la piena libertà di stampa e promuovere il diritto all’informazione. Inoltre aveva invitato i politici ad adottare una serie di riforme per proteggere i giornalisti – in primo luogo l’abolizione delle pene detentive per reati di stampa e quello della legge sull’accesso alle informazioni di interesse pubblico.
L’appello arrivava al termine di tre anni di instabilità politica e scontri di piazza, frutto del tentativo – poi rivelatosi fallimentare – dell’ex-presidente Macky Sall di estromettere dalla corsa politica il suo principale oppositore Ousmane Sonko.
Qualche mese prima, a giugno, l’ONG aveva pubblicato il rapporto Senegal: giornalismo al bivio, in cui tra l’altro si sottolineava che dal 2021 al 2024 – il triennio in cui Sall cercava di sbarazzarsi di Sonko – più di 60 giornalisti erano stati arrestati, aggrediti o detenuti e lamentava ”polarizzazione, ingerenza politica e disinformazione”.
”Di fronte a questo quadro preoccupante – scriveva RSF – l’avvento al potere di nuove autorità in Senegal è un’opportunità per guarire il volto sfregiato dei media e per il Paese di diventare ancora una volta una forza trainante nella difesa del diritto all’informazione in tutta la regione e in Africa.” In quei tre anni analizzati da RSF, la posizione del Senegal nella classifica della libertà di stampa era passata dal 49esimo al 94esimo posto.
”Professionalizzare” il giornalismo o controllarlo
Nelle raccomandazioni rivolte ai nuovi rappresentanti che di lì a poco sarebbero saliti al potere, RSF chiedeva appunto di eliminare le pene detentive per i reati di stampa previste proprio dal nuovo Codice della Stampa approvato nel 2017 e la cui gestazione risale al 2009 e all’ex presidente Abdoulaye Wade. Un testo, lungo 233 articoli, rimasto in lavorazione più di sette anni e finalizzato a “professionalizzare il giornalismo” come ebbero a dire i responsabili della comunicazione e dei ministeri designati. Nonostante gli intensi negoziati tra il governo e i professionisti dei media, molte delle misure adottate hanno suscitato risentimento e critiche, poiché ritenute una minaccia per la libertà di stampa.
Fece discutere soprattutto il mantenimento delle pene detentive nel testo finale, nonostante l’iniziale opposizione dello stesso ex presidente. Testo che, come ebbe a dire Mamadou Ibra Kane, presidente del Consiglio delle emittenti e degli editori di stampa del Senegal (CDEPS) non era all’altezza della Costituzione del 2001, mentre si faceva anche notare che il rischio del carcere avrebbe rischiato di indebolire la figura del giornalista e di incoraggiare l’autocensura.
Altra norma introdotta nel Codice della Stampa è la possibilità di chiudere testate e sequestrare mezzi di trasmissione di organi di stampa in casi eccezionali. Citiamo, infine, un’altra norma, quella che stabilisce che per accedere alla professione giornalistica bisogna conseguire una tessera rilasciata a chi ha seguito un percorso di studi specifico.
Insomma, secondo il ministero della Comunicazione non si sta facendo altro che mettere in atto la normativa, mentre per una buona parte degli organi di informazione e dei suoi rappresentanti si tratta di un’intrusione e una stretta sulla libertà di informazione.
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