Discriminazioni nello sport: il problema che non vogliamo vedere
Gli episodi che si susseguono dai campi di Serie A a quelli giovanili e amatoriali dimostrano l’esistenza di un problema sistemico e non isolato
La discriminazione nello sport è un fenomeno ancora troppo diffuso, che si manifesta sotto molteplici forme. Il razzismo, in particolare, continua a ripetersi con inquietante regolarità, non solo negli stadi della Serie A, ma anche nei campionati giovanili e nei palazzetti di provincia. Eppure, ancora oggi, la risposta delle istituzioni sportive è troppo lenta e inefficace.
L’ultimo caso ha coinvolto Moise Kean, attaccante della Fiorentina, bersagliato di insulti razzisti sui social dopo una partita contro l’Inter. Kean ha scelto di denunciare pubblicamente i messaggi ricevuti, mentre la Fiorentina ha deciso di segnalare i responsabili alle autorità. Ma l’episodio non è isolato: il portiere del Torino Vanja Milinković-Savić ha subito insulti discriminatori dai tifosi avversari senza che seguissero provvedimenti, e in Serie B il centrocampista della Sampdoria Ebenezer Akinsanmiro è stato insultato dai tifosi del Brescia e, dopo aver reagito, è stato persino ammonito dall’arbitro.
Se questi episodi hanno avuto una certa eco mediatica, lo stesso non si può dire di quanto accade ogni settimana lontano dai riflettori. Nei campionati giovanili, la discriminazione è ancora più radicata e invisibile: i protagonisti sono quasi sempre adulti, figure che dovrebbero rappresentare un esempio per i più giovani. In provincia di Aosta, durante una partita del campionato di calcio Under 14, un ragazzino è stato chiamato “scimmia di m*a”** dai genitori della squadra avversaria. A Rimini, durante una partita di basket femminile Under 19, una giocatrice è stata insultata con epiteti razzisti da una madre sugli spalti, in una scena assurda che ha portato all’espulsione della giovane atleta per aver reagito. Solo in seguito è arrivata la condanna ufficiale del gesto, con un Daspo di due anni per la donna.
In questo caso, le società non si sono voltate dall’altra parte e hanno colto l’opportunità di un altro match che le ha viste di nuovo affrontarsi, in un’altra categoria, per dare un messaggio forte: “No to racism”, scritto su uno striscione e sulle magliette delle atlete in campo, che hanno anche rilasciato una dichiarazione pubblica, raccogliendo l’applauso dagli spalti.
Secondo l’Osservatorio Nazionale contro le Discriminazioni nello Sport, costituito da Unar, Uisp e Lunaria, tra il 2021 e il 2022 sono stati documentati oltre 200 episodi di discriminazione. Il 60% di questi è avvenuto negli stadi, mentre il resto ha avuto luogo negli spogliatoi, sui social network o in contesti amministrativi. Ancora più grave è che nel 62% dei casi non è stata adottata alcuna misura concreta, lasciando le vittime senza tutela e trasmettendo il messaggio che denunciare sia inutile. Se la denuncia non porta a un cambiamento reale, chi subisce discriminazioni sarà sempre meno propenso a parlare.
Il problema d’altronde non si risolve con singoli provvedimenti e le sanzioni, per quanto necessarie, non bastano. Troppo spesso si assiste a un atteggiamento di normalizzazione, dove le offese vengono ridotte a semplici provocazioni da campo, o addirittura si ribalta la responsabilità sulle vittime, accusandole di esagerare o di voler attirare l’attenzione. Il risultato è un ambiente che rende ancora più difficile per chi subisce razzismo trovare supporto e protezione.
E infatti il fenomeno dell’under-reporting è stato oggetto di un’indagine condotta da Uisp e Lunaria, insieme a ISCA e diversi partner europei, attraverso il progetto Monitora, che ha evidenziato la scarsità di strumenti consolidati in Europa per raccogliere e segnalare le discriminazioni nello sport. Per rispondere a questa esigenza, è stato realizzato un training online gratuito per rafforzare le competenze delle associazioni sportive nel monitorare, documentare e denunciare le discriminazioni (PARTECIPA AL TRAINING)
Se la società discrimina, lo sport non può esserne immune. Il tema va oltre la repressione di singoli episodi: serve un cambiamento culturale che spinga spettatori, compagni di squadra, allenatori e dirigenti a non restare in silenzio di fronte alla discriminazione. Per questo l’Uisp ha attivato il progetto SIC! Sport, Integrazione, Coesione, in collaborazione con UNAR e Lega Serie A, finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per lo Sport.
Fino alla fine del 2025, SIC! si svilupperà in 17 città italiane, grazie al lavoro dei Comitati territoriali Uisp assieme alle squadre di calcio della Lega Serie A. Ogni presidio territoriale sarà un punto di riferimento per la promozione di uno sport accessibile e inclusivo, offrendo attività sportive, momenti di sensibilizzazione e occasioni di dialogo per le comunità locali. Gli eventi locali saranno fondamentali per creare momenti di partecipazione collettiva, mentre corsi di formazione rivolti a dirigenti, operatori e operatrici sportive aiuteranno a sviluppare strumenti concreti per contrastare ogni forma di discriminazione.
Parallelamente, il progetto promuoverà una campagna nazionale di comunicazione, con la produzione di contenuti multimediali e materiali informativi per sensibilizzare sulle diverse forme di discriminazione, troppo spesso minimizzate o ignorate: razzismo, abilismo, pregiudizi legati al genere o all’orientamento sessuale, all’età e alle condizioni socio-economiche. A marzo, il progetto sarà al centro della Settimana d’azione UNAR contro il razzismo, mentre a settembre, durante la rassegna nazionale Uisp Matti per il Calcio, ci sarà un evento finale di restituzione del percorso con partner, comitati e attori istituzionali.
Le discriminazioni non sono casi isolati, ma segnali di un fenomeno sistemico che richiede una risposta collettiva.
Non possiamo continuare a giocare su un campo di discriminazioni. È il momento di agire. (Lorenzo Boffa)
pubblicato il: 16/02/2025 | visualizzato 132 volte
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