Bruxelles – Dal vertice europeo dell’Eliseo, convocato da Emmanuel Macron per disegnare una risposta immediata alle trattative annunciate tra Trump e Putin, non trapela quasi nulla. Seppur in formato ristretto, sembrano esserci troppe teste, almeno sul punto più dirimente: le garanzie di sicurezza da mettere sul piatto per l’Ucraina. Se il premier britannico, Keir Starmer, si è detto pronto a dispiegare soldati inglesi per mantenere la pace, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha bollato la questione come ancora “inopportuna e speculativa”. E Donald Tusk, premier polacco, ha chiarito già in mattinata che Varsavia non manderà i propri uomini in Ucraina.
Con queste premesse, alla vigilia dell’incontro a Riad tra il segretario di Stato americano Marco Rubio e il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, il tentativo di Macron di superare la zavorra dell’unanimità a 27 rischia di essere un fallimento. E dire che i capi di Stato e di governo di Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Polonia, Spagna, Olanda e Danimarca, insieme al segretario generale della Nato e ai vertici delle istituzioni europee, si sono incontrati a Parigi per lanciare un segnale di forza. Antonio Costa, presidente del Consiglio europeo, consapevole delle critiche arrivate per l’esclusione della maggior parte dei Paesi membri – critiche fatte trapelare anche dalla premier italiana Giorgia Meloni – si è affrettato a chiarire che il vertice è “l’inizio di un processo che continuerà con il coinvolgimento di tutti i partner impegnati per la pace e la sicurezza in Europa”.
L’Ue è colpevolmente in ritardo di fronte alla già da tempo prevista accelerata di Donald Trump. E presta il fianco a chi – come l’Ungheria di Viktor Orbán – attraverso il portavoce Balázs Orbán parla di un “club dei perdenti” a Parigi e schernisce i “leader europei favorevoli alla guerra” che “dovrebbero rispondere ai colloqui di pace avviati dagli Stati Uniti, destinati ad iniziare nonostante l’opposizione dell’Ue”. La stessa Kiev chiede di sbloccare l’impasse: secondo quanto riferito da Bloomberg, il vicecapo dell’ufficio di Volodymyr Zelensky ha dichiarato che l’Ue dovrebbe nominare rapidamente un rappresentante per non rimanere fuori dai negoziati di pace: “Dovrebbe essere una decisione presa rapidamente – ha affermato -, spero subito dopo l’incontro di Parigi. Dovremmo agire, non riflettere”.
Per ora, la notizia migliore forse giunge dall’inviato Usa per l’Ucraina, Keith Kellogg, che in un colloquio al quartier generale della Nato a Bruxelles avrebbe rassicurato il segretario generale Mark Rutte affermando che “nessuno imporrà un accordo preconfezionato al leader eletto di una nazione sovrana” e che “la decisione ultima sul futuro dell’Ucraina resta all’Ucraina”. Kellogg incontrerà domani Ursula von der Leyen e giovedì sarà a Kiev. La presidente della Commissione europea ha chiesto in un messaggio su X ai leader convocati per i “colloqui cruciali” di Parigi di adottare “una mentalità di urgenza”.
Ma le dichiarazioni del primo leader che ha lasciato l’Eliseo, il cancelliere tedesco Scholz, restituiscono l’immagine di un’Europa ancora lontana dal trovare una quadra, ferma ai sacrosanti principi “non negoziabili” già ampiamente condivisi in tre anni di conflitto. “Non può essere imposto alcun diktat all’Ucraina”, ha affermato Scholz, aggiungendo che gli 8 Stati presenti sono “uniti nell’idea che l’Ucraina debba avere un esercito” e che il percorso di adesione all’Ue non vada rimesso in discussione. Alle domande sull’ipotesi di schierare una forza europea di peace-keeping in Ucraina di fronte al disimpegno statunitense, Scholz si è detto “un po’ irritato da questo dibattito” perché “inappropriato” e “del tutto prematuro in questa fase”.
Tusk invece non ha lasciato spazio nemmeno a interpretazioni, scaricando la patata bollente sugli alleati: “Non abbiamo intenzione di inviare soldati polacchi nel territorio dell’Ucraina, ma sosterremo, anche in termini di logistica e supporto politico, i paesi che in futuro vorranno fornire tali garanzie fisiche per l’Ucraina”, ha messo in chiaro prima di partire alla volta di Parigi. Il premier polacco, fervente atlantista, ha inoltre escluso di poter “costruire un’alternativa alla Nato”, precisando che “non c’è dubbio che le vere garanzie di sicurezza e di stabilità dei confini per l’Ucraina devono derivare dalla cooperazione di tutta l’Europa, degli Stati Uniti e nel quadro della Nato”.
Secondo quanto rivelato dal Washington Post, uno scheletro di piano europeo da sottoporre alla Casa Bianca ci sarebbe. Una sorta di “forza di deterrenza”, tra i 25 e i 30 mila soldati, che non sarebbero dispiegati lungo la linea del conflitto ma “pronti a intervenire” se Mosca dovesse riaprire le ostilità. I contingenti europei dovrebbero però essere supportati da capacità di intelligence, sorveglianza e ricognizione – e coperti da una potenziale copertura aerea – statunitense.
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