Dazi Trump, prodotti colpiti negli Stati Uniti ed effetti sui prezzi in Italia: ecco quali

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Ci sono decine di miliardi di motivi per preoccuparsi dei dazi che Donald Trump vuole imporre sui prodotti che Unione Europea e Italia esportano negli Stati Uniti. Non è solo una questione di politiche commerciali: in concreto, i posti di lavoro a rischio sarebbero migliaia e le conseguenze sui prezzi potrebbero causare una nuova stagione di aumenti. Trump ha già formalizzato l’aumento dei dazi su acciaio e alluminio, oltre ad averne imposti di nuovi sui prodotti cinesi. Ora potrebbe toccare all’Italia. I prossimi passi annunciati sono tasse più alte su auto e altri beni che arrivano dal continente europeo. L’Ue risponderà e nel mezzo ci finiscono i consumatori: saranno loro a scontare gli effetti della guerra commerciale. E il nostro Paese, conferma Banca d’Italia, sarebbe tra quelli più esposti, con alcune regioni più colpite di altre. 

Perché i dazi degli Stati Uniti contano per l’Italia: quali prodotti nel mirino

Gli Stati Uniti sono il primo partner commerciale dell’Italia. Gli ultimi dati Istat sul commercio estero lo confermano: nell’ultimo anno abbiamo esportato negli Stati Uniti 64,7 miliardi di beni e servizi. In generale, negli ultimi cinque anni gli Usa sono stati il Paese che ha più contribuito alla crescita delle esportazioni italiane.

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L’Italia è in saldo positivo con gli Stati Uniti di 38,8 miliardi di euro: vuol dire che esportiamo più di quello che importiamo. Di quali beni parliamo? Il “Made in Italy” va forte con macchinari e mezzi di trasporto ma anche con alimentari, bevande, beni del settore moda e articoli farmaceutici. Sono questi i prodotti che Trump prenderebbe di mira con nuovi dazi per riequilibrare la bilancia commerciale statunitense con l’Italia. Allargando lo sguardo a livello europeo, si aggiungono anche le automobili.

Quanto costano i dazi all’Italia: gli scenari

Lo scenario non è ancora chiaro né sono note le percentuali a cui potrebbero arrivare i dazi. Ma si possono fare dei ragionamenti: secondo le simulazioni realizzate da Prometeia, i costi aggiuntivi per l’Italia andrebbero da oltre 4 miliardi, ipotizzando un aumento di 10 punti percentuali solo sui prodotti che già sono sottoposti a dazi, fino a più di 7 miliardi di dollari in caso di un aumento tariffario generalizzato di 10 punti.

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Secondo Svimez, la ricaduta sul Pil va dai 3,8 ai 5,8 miliardi di euro dell’export verso gli Usa, con circa 53.000 posti di lavoro a rischio. Alle imprese non resterebbe che o assorbire il colpo o scaricare il peso dei dazi sui consumatori. Il settore moda è un buon esempio: già provato da un calo del fatturato, il presidente della Camera nazionale della moda italiana, Carlo Capasa, ha definito eventuali dazi su abiti e calzature un “atto ostile verso il Paese”.

“I dazi non fanno bene a nessun Paese, nemmeno agli Stati Uniti, dato che non restano mai senza una controrisposta – ha commentato Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori -. Insomma, non ci sono mai vincitori. Innescano solo una guerra commerciale dalle quale a uscire sempre perdenti sono i consumatori che finiscono per pagare prezzi maggiorati, che innescano l’inflazione, determinano una riduzione del loro potere d’acquisto, con danni sui consumi e conseguentemente sul Pil e sull’occupazione”.

L’impatto dei dazi sulle regioni italiane

In uno scenario di aumento delle tariffe doganali intermedie, secondo le simulazioni di Prometeia, Liguria, Molise, Basilicata e Sardegna sarebbero le regioni più esposte ai dazi. Questo accadrebbe perché determinati prodotti di settori chiave del territorio sono molto esportati negli Stati Uniti, come cantieristica navale e prodotti petroliferi raffinati nel caso della Liguria o l’automotive per il Molise. 

Ci sono poi Campania, Umbria, Basilicata e Sardegna, regioni che negli ultimi anni hanno puntato molto sul mercato americano o l’Emilia-Romagna, le cui esportazioni verso gli Stati Uniti sono trainate dalla meccanica e dall’automotive, ma coinvolgono anche altri settori, tra cui piastrelle, chimico-farmaceutico e agroalimentare.

Lo Svimez sottolinea poi l’impatto nelle regioni meridionali in larga parte riconducibile al peso rilevante degli Stati Uniti sull’export dell’area per il settore dell’automotive, nell’agrifood e in parte nella farmaceutica.

La risposta “brutale” ai dazi di Trump: i prodotti a rischio aumento prezzo in Italia

Trump ha parlato di un’Unione Europea “brutale”, dal punto di vista commerciale. In caso di dazi sui propri prodotti, la Commissione Ue risponderà e, a sua volta, andrà a colpire i prodotti americani più importati nel continente europeo. Da queste azioni di risposta arriverebbero le conseguenze peggiori: tasse più alte provocherebbero infatti un aumento dei prezzi al dettaglio per beni di largo consumo come rossetti, cipria e numerosi cosmetici prodotti negli Stati Uniti e largamente utilizzati in Italia. Ma non solo.

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Sarà poi più costoso bere succo d’arancia, mangiare riso e fumare prodotti da tabacco, e ad aumentare saranno anche snack e dolciumi vari, onnipresenti sugli scaffali dei supermercati italiani. A rischio anche il settore dell’abbigliamento, con aumenti per jeans, magliette, scarpe e intimo. Anche numerosi alcolici subiranno incrementi dei listini e proibitivo risulterà l’acquisto di automobili e moto prodotte negli Usa.

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Tra i prodotti che l’Italia importa dagli Stati Uniti, ricorda il Codacons, figurano infatti ketchup, formaggio cheddar, noccioline, cotone, patate americane, salmone, noci, pompelmi, vaniglia, frumento, tabacco, cacao, cioccolato, succhi di agrumi, vodka, rum, whisky, bourbon, ma anche trattori, consolle, videogiochi, borse, portafogli, ricambi per biciclette, giochi per bambini, Suv e moto Harley Davidson.

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