La riunione informale di Parigi di otto capi di governo europei, delle due cariche apicali dell’Unione Europea e del segretario della Nato per trattare i temi della sicurezza in Europa e della guerra in Ucraina voluta da Emmanuel Macron non è stata convocata nell’interesse dell’Europa, ma nell’interesse – del tutto velleitario – della Francia. La quale vede nelle polemiche aperte dalla nuova amministrazione presidenziale Usa con gli alleati europei l’occasione per realizzare quello che da sempre è il suo sogno: diventare la guida politico-militare di una federazione europea subalterna agli interessi egemonici di Parigi. Obiettivo che secondo Charles De Gaulle richiedeva il “no” alla costituzione di un esercito europeo, mentre per Macron la esigerebbe.
Non è questa l’unica differenza fra la grandeur del generale primo presidente della Quinta repubblica e quella dell’attuale inquilino dell’Eliseo. De Gaulle era a capo di una Francia che pedalava impetuosamente, come i suoi grandi ciclisti dell’epoca, sulla strada dei “Trente Glorieuses”, i trent’anni fra la fine della Seconda Guerra mondiale e lo shock petrolifero del 1973 che hanno visto moltiplicare per cinque l’indice di produzione industriale francese; una Francia che ancora esercitava una grande influenza sia nell’Africa sub-sahariana che in quella settentrionale, e svolgeva un ruolo di rilievo nel Vicino Oriente (Libano, Egitto, Siria, Iraq).
I fallimenti di Macron
Macron, invece, è il presidente di un paese che sotto i suoi due mandati ha perduto tutte le basi militari francesi nel Sahel e nell’Africa occidentale tranne quella in Costa D’Avorio, che ha visto passare alla cooperazione con la Russia di Putin quattro paesi che erano nella sua sfera di influenza africana (Burkina Faso, Centrafrica, Mali, Niger), che ha portato a un punto di rottura i rapporti faticosamente ricuciti nel tempo con Algeri, che non pesa più nulla nel Levante (la svolta del Libano, il paese mediorientale col quale la Francia ha il più forte rapporto preferenziale, non è stata decisa a Parigi, ma a Tel Aviv e a Washington), che nel Pacifico è schiacciata nella tenaglia fra l’Aukus (Australia, Regno Unito, Stati Uniti) e la Cina.
Sotto l’aspetto economico-finanziario, la Francia di Macron nei sette anni da quando è entrato in carica nel maggio 2017 è passata da un indebitamento dell’87,7 per cento in rapporto al Prodotto interno lordo (Pil) a uno del 113,7 per cento, il terzo maggiore dell’eurozona dopo quelli di Grecia e Italia. L’indice di produzione industriale non si è mosso, anzi è un po’ diminuito: quando Macron è diventato presidente per la prima volta era 105,18, l’anno scorso è stato 100,40 (se consideriamo 100 il valore del 2021).
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Ambizioni e risultati
Le ambizioni di potenza della Francia erano già sovradimensionate al tempo di De Gaulle, quando Usa e Urss allungavano i loro tentacoli sul globo terracqueo e il vecchio colonialismo transalpino doveva intraprendere una ritirata strategica dal Vietnam all’Algeria, dall’Africa francofona al canale di Suez. Oggi che la Francia ha fatto la figura dell’apprendista stregone in Libia (voleva tagliare la strada all’Italia di Berlusconi che aveva siglato il trattato di Bengasi e scipparle lucrosi affari aizzando la rivolta contro Gheddafi, e ha finito per importare attraverso Ventimiglia decine di migliaia di immigrati irregolari che partono dalle coste della Libia destabilizzata) e che è stata messa alla porta in una mezza dozzina di capitali africane; oggi che una discreta fetta di cittadini francesi fischiano la nazionale e tifano Algeria, Marocco, Senegal quando si gioca a pallone, proporre la Francia come guida di un’Europa politicamente unificata ha accenti fra il comico e il patetico.
La Politica di difesa e di sicurezza comune (Psdc) della Ue può servire a ottimizzare gli investimenti nelle tecnologie militari e nei nuovi sistemi d’arma dei paesi che ne fanno parte, per poi spartirsi commesse militari a livello mondiale. Ma non sarà mai la base di un esercito europeo con un Capo di Stato Maggiore francese, un vice tedesco e tanti fantaccini italiani e polacchi.
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Una diversa logica americana
Giustamente dal suo velleitario punto di vista Macron, come in Germania Scholz, si straccia le vesti perché gli accordi per un cessate il fuoco in Ucraina si fanno senza la partecipazione dell’Europa. Ma è tutta una pantomima, per due motivi.
Il primo è che, dopo la fine della Guerra fredda, sempre la conclusione dei conflitti in Europa è stata decisa dagli Stati Uniti anche per conto della Ue: Kosovo, Bosnia, conflitto serbo-croato andando a ritroso nel tempo sono stati condotti all’uno o all’altro esito secondo quello che si decideva a Washington. Le capitali europee prendevano atto e mandavano i peacekeepers. La differenza col caso ucraino non sta nella marginalità dell’Europa, ma nella diversa logica che anima stavolta la mossa americana rispetto al passato: non più accordi di pace che sigillano un processo di occidentalizzazione euro-atlantica di aree che prima si trovavano fuori dalla sua sfera di influenza, ma un patto con Mosca per la fissazione dei confini delle rispettive sfere di influenza, premessa a una vera e propria collaborazione fra superpotenze.
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Europa oasi di pace
E qui si evidenzia il secondo aspetto della pantomima di Parigi. Come ha detto Lucio Caracciolo in un’intervista al Fatto Quotidiano:
«Il problema europeo è che ci siamo costruiti una narrazione priva di basi di realtà a cominciare dalla presunzione di avere una soggettività europea che non c’è mai stata, non esiste e mai ci sarà. Da questa finzione si è costruita l’idea di un’Europa oasi di pace che ora si sta rovesciando. (…) l’Unione è una fondazione americana, conseguenza della decisione Usa di restare in Europa dopo la Seconda Guerra mondiale e di organizzarla, militarmente tramite la Nato e poi sostenendo alleanze politiche. Ma nel momento in cui gli Usa ci lasciano noi torneremo a quello che siamo sempre stati, paesi in conflitto, sperando che questo non comporti una guerra tra noi, come è sempre successo».
A evitare il realizzarsi di quest’ultima profezia di sventura dovrebbe servire l’Unione Europea, e non a fare da trampolino alle mire imperiali di questa o quella capitale, travestite da costruzione della superpotenza Europa. Fedro ci ha avvisati già duemila anni fa: la rana che si voleva fare bue finì per scoppiare.
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