Guai ai vinti! Ucraina e Ue costrette a pagare le “riparazioni di guerra”. Agli Stati Uniti – Analisi Difesa

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Poche ore prima che a Riad russi e americani definissero i destini dell’Ucraina e riallacciassero le relazioni bilaterali, a Parigi come a Monaco ha trionfato l’aria fritta in salsa europea, cioè la dura espressione di ferree volontà basate però sul nulla, a partire dall’inconsistenza politica e militare. Nei contenuti infatti al summit europeo informale  Parigi sembra essere andata in scena la replica della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, raccontata ai nostri lettori dall’articolo di Maurizio Boni apparso ieri sulle nostre pagine.

I leader europei riunitisi su invito del presidente francese Emmanuel Macron per provare a reagire alla soluzione trumpiana al conflitto in Ucraina, avrebbero concordato con il presidente americano su un approccio di “pace attraverso la forza”.

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Non è ben chiaro cosa significhi ma questo riferiscono fonti Ue non meglio precisate, citate dalle agenzie di stampa, aggiungendo che “i leader ritengono che sia pericoloso concludere un cessate il fuoco senza un accordo di pace allo stesso tempo”. Affermazione paradossale perché esattamente aderente a quanto chiede Mosca che ha precisato da tempo che non accetterà tregue o cessate il fuoco ma solo un accordo complessivo che risolva il conflitto.

Sempre secondo fonti UE i leader europei “sono pronti a fornire garanzie di sicurezza, con modalità da esaminare con ciascuna parte, a seconda del livello di supporto americano”. E qui il paradosso rischia di scivolare nella comica perché l’Europa dichiara di essere pronta a mostrare muscoli che non ha e a correre rischi che nessun governo europeo è in grado di correre se vuole restare in sella.

 

Nel Paese delle Meraviglie

Per comprenderlo è sufficiente rilevare le ultime bellicose dichiarazioni rilasciate da alcuni leader riunitisi a Parigi e confrontarle con la realtà.

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz, a pochi giorni dal voto che appare certo ricaccerà all’opposizione i partiti del suo governo, ha dichiarato che “l’Ucraina non può accettare tutto ciò che le viene presentato, a nessuna condizione. L’Ucraina può fidarsi di noi” e ha promesso che gli europei “continueranno a sostenere” Kiev. Promesse che il dimissionario Scholz che non può mantenere a nome della Germania, figuriamoci di tutta Europa.

A cinque giorni dalle elezioni Scholz ha varato un ennesimo pacchetto di aiuti all’Ucraina che include 56 veicoli protetti MRAP, missili da difesa aerea IRIS-T SLM e IRIS-T SLS, 300 droni d’attacco HF-1, munizioni per i cannoni dei carri armati Leopard 1 e dei veicoli da combattimento Marder, 41.000 munizioni per i cannoni antiaerei semoventi Gepard, 4 obici semoventi Zuzana 2 di produzione ceca, 50.000 proiettili di artiglieria da 155 mm e 2.000 proiettili di artiglieria da 122 mm.

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Chiudono la lista 51 droni da ricognizione Vector con pezzi di ricambio, 245 droni da ricognizione RQ-35 Heidrun, 29 droni da ricognizione Songbird, 14 droni da ricognizione Hornet XR, due veicoli per lo sminamento Wisent con pezzi di ricambio, nonché coperte di lana e materiale sanitario.

Una fornitura massiccia che ricorda l’ultima autorizzata dall’Amministrazione Biden negli Stati Uniti prima di lasciare la Casa Bianca, ma che oggi, con i negoziati di pace di fatto avviati a Riad dall’incontro tra il ministro degli esteri Sergei Lavrov e il segretario di Stato Marco Rubio, appare come il colpo di coda di uno Scholz ormai politicamente scaduto  leader e sembra sottolineare la volontà della Germania e dell’Europa di continuare una guerra rivelatasi per noi europei insostenibile.

Certo, si tratta di una “guerra fino all’ultimo ucraino” che non macina vite di militari europei ma non per questo l’Europa esce meno sconfitta come testimoniano crisi economica ed energetica e totale assenza di sovranità, ceduta fin dal febbraio 2022 agli Stati Uniti.

Occorrerebbe un bagno di realismo, invece la premier danese Mette Frederiksen dopo l’incontro di Parigi ha detto che “la Russia sta minacciando tutta l’Europa ora”, aggiungendo che non ci sono segnali che Mosca voglia la pace. La premier danese ha inoltre sottolineato che non si può raggiungere un accordo di pace duraturo senza il diretto coinvolgimento dell’Ucraina nei negoziati. “La cosa più importante qui e ora è che gli ucraini ricevano più di ciò di cui hanno bisogno, in modo che non perdano questa guerra e siano nella posizione migliore possibile“, ha aggiunto.

Frederiksen non ha chiarito nell’intervista al Guardian se fare in modo che gli ucraini “non perdano” significa aiutarli a vincere o almeno a pareggiare: obiettivi del tutto irrealistici come hanno già fatto sapere gli uomini di Trump.

Resta però paradossale la posizione della Danimarca che ha ceduto a Kiev molti suoi caccia F-16, tutta la sua artiglieria e munizioni e ora viene minacciata dall’Amministrazione Trump che la definisce un “pessimo alleato” perché vuole prenderle la Groenlandia.

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Ciò nonostante per Frederiksen “dobbiamo aumentare il sostegno militare all’Ucraina, produrre di più e farlo più velocemente. Dobbiamo anche rimuovere le restrizioni sull’uso delle armi da parte degli ucraini, in modo che possano effettivamente difendersi dai russi senza avere un braccio legato dietro la schiena. Un cessate il fuoco non deve portare a un riarmo russo seguito da nuovi attacchi russi”.

Diktat di un certo rilievo specie se espressi dal premier di una nazione che nel 2024 ha speso per la Difesa meno di 5 miliardi di euro e schiera un esercito di 8mila militari con 44 carri armati non tutti operativi.

Se i leader europei continuano a vivere come nel paese delle meraviglie non ci si deve stupire poi se a decidere le sorti del mondo si siedono solo gli adulti.

 

Il teatro dell’assurdo

Anche circa l’invio di truppe europee in Ucraina come forza d’interposizione o a garanzia della sicurezza di Kiev, l’unica cosa certa è che gli europei vogliono dire la loro ma non sanno bene cosa né soprattutto intendono correre rischi.

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Quasi tutte le nazioni europee, inclusa l’Italia, sono contrarie a inviare contingenti a Kiev. Per rendere disponibili i suoi militari, Berlino chiede un impegno totale degli Stati Uniti, che però hanno già fatto sapere categoricamente che non manderanno i loro soldati a Kiev e che se lo faranno gli europei non sarà sotto le bandiere della NATO e in caso di guerra con la Russia non potrà essere evocato l’Articolo 5 dell’alleanza che impone l’intervento di tutti gli alleati.

Tra le righe, ma neppure tanto, Trump ci dice che ha bisogno di stipulare intese globali con Putin e che se proprio ci teniamo a prolungare la guerra fredda con Mosca sono affari nostri.

In realtà anche il dibattito sulle forze europee in Ucraina, che si trascina da settimane, è del tutto irrealistico dal momento che Mosca ha sempre sostenuto che il negoziato è possibile solo se non vi saranno basi e forze di paesi aderenti alla NATO in Ucraina. Lo ha ribadito ieri il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov affermando che “il possibile dispiegamento di militari di Paesi della NATO in Ucraina presenterebbe complicazioni significative”.

Solo Macron e il premier britannico Keir Starmer hanno anticipato la disponibilità a mettere a disposizione un contingente militare da schierare in Ucraina ma da Londra diversi analisti e alti ufficiali in pensione hanno chiaramente ammesso che le forze britanniche non sarebbero in grado di far fronte a un impegno con forze rilevanti e col rischio di combattere i russi.

Allo stesso tempo un rapporto allarmante sulle forze aeree francesi (di cui Analisi Difesa si è occupata) rivela che disporrebbero di un numero di missili sufficiente a contrastare l’aeronautica russa per ben tre giorni!

Anche l’Olanda non è contraria all’ipotesi di inviare truppe in Ucraina, ma per farlo ritiene necessario il sostegno degli Stati Uniti, come ha detto il primo ministro olandese Dick Schoof. Quindi non se ne farà nulla e del resto l’esercito olandese conta appena 13.000 militari. Quanti potrebbe schierane in Ucraina?

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Di fronte all’irrealistico e infondato approccio europeo sembra emergere invece una più ragionevole proposta statunitense tesa a mettere in campo una forza di peacekeeping in Ucraina che includa truppe di nazioni neutrali quali Brasile o Cina, da schierare a presidio di un’eventuale linea di cessate il fuoco.

Si tratta in ogni caso di ipotesi premature (come ha fatto sapere anche il governo brasiliano) anche perché la Russia ha ribadito ieri per voce dell’ambasciatore all’ONU Vassily Nebenzia che “la futura Ucraina dovrebbe essere uno Stato demilitarizzato e neutrale, che non appartenga ad alcun blocco o alleanza”.

Dopo aver incontrato Rubio, Lavrov ha messo la pietra tombale sull’ipotesi di schierare truppe NATO/UE in Ucraina definita “completamente inaccettabile” per la Russia.

“Abbiamo preso nota del fatto che il presidente [Donald] Trump è stato il primo dei leader occidentali a dire che trascinare l’Ucraina nella Nato era una delle principali [ragioni] di ciò che sta accadendo, uno dei più grandi errori di Biden.

Se Trump fosse stato il presidente, ciò non sarebbe mai accaduto. Il presidente [Vladimir] Putin ha sottolineato più di una volta che l’espansione della NATO e l’assorbimento dell’Ucraina da parte della Nato rappresentavano una minaccia diretta per la Federazione Russa e per la nostra sovranità; oggi abbiamo spiegato che qualsiasi apparizione delle forze armate dei Paesi della NATO sotto una qualsiasi bandiera, sotto la bandiera europea o sotto altre bandiere, sarebbe del tutto inaccettabile”.

Lavrov ha così seppellito anche il summit di Parigi che ha quindi posto ancora più in luce l’irrilevanza e l’assenza di valutazioni realistiche dell’Europa ma anche le sue sempre più evidenti divisioni interne, palesate dalle reazioni isteriche alle dure critiche mosse dal vicepresidente statunitense JD Vance ma evidenziate anche dalle reazioni di nazioni europee escluse dal vertice di Parigi.

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Ill ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto ha criticato l’incontro “filo-bellico” di Parigi definito un “vertice di persone frustrate che non vogliono la pace”, denunciando “una strategia errata di coloro che continuano a provocare un’escalation. A differenza di loro, noi sosteniamo le aspirazioni di Donald Trump”.

Anche il primo ministro slovacco, Robert Fico considera la partecipazione di rappresentanti dell’Ue alla riunione senza un mandato “un evento che non aiuta la fiducia all’interno dell’Ue che non è autorizzata a prendere decisioni sullo schieramento di truppe straniere nel territorio di un altro Stato”.

Romania e Repubblica Ceca hanno deplorato invece di non essere state invitate a Parigi, denunciando così “l’arroganza” di Macron. “Nessuno ospita più rifugiati ucraini pro capite della Repubblica Ceca, e gestiamo uno dei sistemi di approvvigionamento di armi più efficienti”, ha detto una fonte del governo ceco a Le Monde.

A Bucarest Cristian Diaconescu, consigliere per la difesa e la sicurezza del presidente a interim Ilie Bolojan, ha espresso rammarico per il fatto che il suo paese non sia stato invitato a Parigi “nonostante i suoi sforzi” compiuti dalla Romania che a causa della guerra in Ucraina e delle sue conseguenze soffre oggi di una forte instabilità.

Infine, le fonti della Ue citate dai media hanno riferito che a Parigi i leader europei “sono pronti ad aumentare il livello dei rispettivi bilanci della difesa, sia individualmente che all’interno dell’UE, al fine di condividere meglio l’onere con gli Stati Uniti”.

Dichiarazione generica che non assume impegni circa la quota del PIL da destinare alla Difesa: il 2 per cento? Il 3,6 come riferiscono fonti NATO? Oppure il 5 pe cento come ci chiede Trump?

Secondo il premier polacco Tusk “se noi europei non spendiamo molto per la difesa adesso, saremo costretti a spendere 10 volte di più se non impediamo una guerra più ampia. Come primo ministro polacco ho il diritto di dirlo forte e chiaro, dato che la Polonia spende già quasi il 5% del suo PIL per la difesa. E continueremo a farlo”.

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Non è chiaro se Tusk non abbia compreso che la guerra in Ucraina si avvicina alla sua conclusione o se sia solo rammaricato per l’insuccesso di Kiev, come del resto tutti i leader occidentali che per tre anni hanno detto di voler restare al fianco dell’Ucraina fino alla vittoria ma senza rischiare la vita di nessuno loro soldato.

In ogni caso il premier polacco e presidente di turno della Ue, ha sottolineato l’importanza di coinvolgere tutti gli alleati della NATO per parlare con una sola voce e che le relazioni dell’Europa con gli Stati Uniti sono “in una nuova fase”, escludendo l’invio di truppe polacche in Ucraina.

 

Il mondo reale

Se usciamo dal paese delle meraviglie e guardiamo i fatti con quel realismo che sembra ormai difettare all’Europa, dobbiamo ammettere che non possiamo inviare truppe in un’area a rischio di guerra con la Russia perché senza gli Stati Uniti non abbiamo un deterrente nucleare consistente (solo quello francese che però non è a disposizione della Ue) da contrapporre come deterrente ai russi.

Lo ha ammesso oggi il ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani, in un’intervista a  Rai Radio1. “Non possiamo pensare a un futuro della sicurezza europea senza un accordo con gli Stati Uniti. Se noi vogliamo garantire la sicurezza dell’Ucraina, della frontiera orientale e dell’intera Europa dobbiamo naturalmente fare di più, come europei darci una difesa unica e arrivare a un esercito unico alla fine di un percorso, però dobbiamo continuare ad avere un solido rapporto transatlantico e quindi sostenere la presenza della Nato, insomma una Nato che abbia due pilastri, uno americano e uno europeo. Senza gli Usa noi non siamo in grado di fronteggiare un gigante come la Russia e quindi dobbiamo assolutamente continuare a lavorare con loro”.

In ogni caso nessun governo europeo sopravviverebbe a qualche decina di caduti (figuriamoci qualche migliaio) in una guerra contro i russi che ben pochi nell’opinione pubblica percepiscono come un nemico pronto ad invaderci. E più la propaganda NATO/UE insiste sul pericolo che le truppe di Putin marcino fino a Lisbona, meno risulta credibile agli occhi dei cittadini elettori.

A portare una ventata di sano realismo e a spiegare perché la guerra è finita (male), ha contribuito oggi Armin Papperger, amministratore delegato di Rheinmetall AG. “Gli europei e gli ucraini non hanno nulla nei loro magazzini”, ha affermato in un’intervista al quotidiano Financial Times. “L’Europa è relegata al tavolo dei bambini nei negoziati sull’Ucraina” attribuendo tale risultato agli scarsi investimenti nella Difesa degli ultimi 30 anni.

L’incontro informale di Parigi ha certo avuto lo scopo di assicurare a Emmanuel Macron, che guida una Francia politicamente instabile e con l’economia in profonda crisi, un podio da cui riproporre il ruolo guida di Parigi in un’’Europa che appare divisa, priva di obiettivi credibili e che guarda al suo massiccio riarmo come un diktat imposto dagli USA e che, a fronte di ingenti somme, si tradurrebbe solo tra diversi anni in maggiori capacità operative.

Il summit parigino può essere anche definito una sorta di “meeting degli esclusi” dal momento che i veri negoziati sul destino dell’Ucraina sono cominciati oggi a Riad, in Arabia Saudita con l’incontro Lavrov-Rubio.

Per dimostrare che la Francia gioca un ruolo nella soluzione della guerra in Ucraina, il ministro degli Esteri francese, Jean-Noël Barrot, ha annunciato oggi che “da lunedì adotteremo un nuovo treno di sanzioni alla Russia. Il 16esimo pacchetto dall’inizio della guerra, per costringere Vladimir Putin a sedersi al tavolo dei negoziati.

Otterremo la pace solo attraverso la pressione ed è per questo che continueremo ad aumentare il costo della guerra per Vladimir Putin“, ha aggiunto Barrot, precisando che le sanzioni si concentreranno “essenzialmente sulle risorse energetiche che la Russia utilizza per finanziare il suo sforzo bellico e più in particolare sui mezzi che la Russia ha trovato nel corso degli anni per aggirare le sanzioni che abbiamo applicato”.

Barrot e Macron non si sono accorti che Putin sta già negoziando, anche se non con l’Europa o con la Francia e che gli Stati Uniti si apprestano a ridurre, o ad abrogare, le sanzioni alla Russia come dimostra la volontà dichiarata da Trump di riammettere Mosca nel G8.

 

Le “riparazioni di guerra” agli USA

In questo contesto non sembra casuale che ieri il presidente ucraino Volodymyr Zelensky abbia usato toni duri con Donald Trump.  “Il problema è che gli Stati Uniti oggi dicono cose che sono molto gradite a Putin. Penso che sia questo il problema. Perché vogliono compiacerlo”.

D’altra parte a Riad oggi Lavrov e Rubio hanno parlato anche delle necessarie elezioni in Ucraina e fonti diplomatiche citate da Fox News hanno già fatto sapere che sia Mosca che Washington ritengono che Zelenskyy abbia “scarse possibilità di vincerle”.

Secondo le stesse fonti il presidente russo Vladimir Putin sarebbe convinto che qualsiasi candidato diverso dall’attuale presidente dell’Ucraina sarà “più flessibile e pronto a negoziare e fare concessioni”.

Sarà forse per questo che il presidente ucraino ha rinviato al 10 marzo la visita in Arabia Saudita prevista per domani.

Trump si è detto “molto deluso” dalle proteste del leader ucraino. “Ho sentito che sono arrabbiati per non avere un posto al tavolo dei negoziati. Ce lo hanno avuto per tre anni…. Allora non avrebbero dovuto iniziare la guerra”, ha affermato il presidente americano “archiviando” così tre anni di narrazione USA/NATO/UE sulla “brutale e ingiustificata aggressione russa all’Ucraina”.

Anche per Zelensky sembra essere iniziato il conto alla rovescia e del resto quale migliore capro espiatorio per la sconfitta dell’Ucraina, resa ormai ufficiale anche dal fatto che Kiev dovrà pagare le “riparazioni di guerra”…..agli Stati Uniti.

Dopo le dichiarazioni di Trump e Zelensky circa i possibili accordi per cedere agli Stati Uniti i giacimenti minerari e di terre rare ucraine, ieri il quotidiano britannico Telegraph ha rivelato la bozza dell’accordo proposto o imposto da Washington a Kiev e che Zelensky o chi per lui sarà evidentemente costretto a firmare.

La bozza di accordo che Donald Trump ha fatto arrivare la settimana scorsa a Kiev riguarderebbe non solo terre rare e risorse minerarie ma anche porti, petrolio e gas, per un valore di 500 miliardi di dollari, quel mezzo trilione che Trump aveva definito un risarcimento dovuto per gli aiuti militari ed economici forniti all’Ucraina dal contribuente americano durante l’Amministrazione Biden.

Secondo il Telegraph, che pubblica una bozza datata 7 febbraio, gli USA riceveranno il 50% delle entrate provenienti dall’estrazione delle risorse e il 50% del valore finanziario di “tutte le nuove licenze rilasciate a terzi”, con una clausola di pagamento anticipato. “Per tutte le licenze future, gli Stati Uniti avranno un diritto di prelazione per l’acquisto di minerali esportabili”. Di fatto il Telegraph sottolinea che le richieste di Trump equivarrebbero a una quota del Pil ucraino superiore alle riparazioni imposte alla Germania nel Trattato di Versailles che pose fine alla Prima guerra mondiale.

Sintetizzando, la migliore garanzia per una pace duratura è che Russia e Stati Uniti stanno dividendosi l’Ucraina e le sue risorse.

Il dado ormai è tratto e l’Europa, vittima di una guerra in cui ha ricoperto il consueto ruolo di “cameriere suicida” degli Stati Uniti, è tagliata fuori da un negoziato per la pace che verrà gestito nei contenuti strategici esclusivamente da Stati Uniti e Russia.

In più sarà costretta a pagare anche lei “riparazioni di guerra” sotto forma di spese energetiche e militari ingigantite sottostando ai diktat di Trump, con le minacce di dazi commerciali e i costi vertiginosi della ricostruzione dell’Ucraina.

Come in tutte le guerre, gli sconfitti sono costretti a pagare il conto e la manifesta sconfitta dell’Europa spiega il motivo per cui molti leader del Vecchio Continente si affannino ora per impedire la conclusione di un conflitto che li ha azzoppati e ridicolizzati ma che né loro né gli ucraini possono vincere.

“Se le recenti dichiarazioni delineano il nostro futuro, possiamo aspettarci di essere lasciati in gran parte soli per garantire la sicurezza in Ucraina e nella stessa Europa”, ha detto ieri l’ex presidente della Bce ed ex premier italiano Mario Draghi, che però è lo stesso che due anni e mezzo fa ci assicurava che le nostre sanzioni stavano piegando l’economia e la macchina bellica russa.

Come nel caso di Ursula von der Leyen (indimenticabile la dichiarazione  sui russi che rubavano le schede elettroniche dalle lavatrici ucraine per usarle nei loro armamenti), l’unica cosa che potrebbe rendere ancor più tragico il bilancio di questa guerra per l’Europa è affidare le soluzioni a coloro che sono parte rilevante del problema.

@GianandreaGaian

Foto: Ukrainan Geological Survey, TASS, Ministero degli Esteri russo, Commissione Europea e MSC

 



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