di Matteo Orlando
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UNA LETTURA DELLA CONVERSIONE AL CATTOLICESIMO
Jon Fosse è una delle voci più significative della letteratura contemporanea, un autore la cui poetica si distingue per la sua capacità di sondare il mistero dell’esistenza umana con una profondità spirituale unica. Nato nel 1959 a Haugesund, sulla costa occidentale della Norvegia, Fosse è noto soprattutto per il suo stile minimalista e il suo approccio innovativo al teatro e alla narrativa. La sua opera è intrisa di silenzi, ripetizioni e pause, che lasciano spazio al non detto, all’invisibile, al trascendente.
Nel 2023, Fosse ha ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura, con la motivazione di aver dato “voce a ciò che non si può dire”. Questo riconoscimento ha gettato nuova luce non solo sulla sua opera letteraria, ma anche sulla sua profonda spiritualità. La conversione al cattolicesimo, avvenuta nel 2012, ha rappresentato un punto di svolta nella sua vita, segnando il compimento di un lungo cammino interiore.
Jon Fosse è cresciuto in un piccolo villaggio vicino a Haugesund, immerso nella bellezza austera della natura norvegese. Questo paesaggio, con i suoi fiordi, le montagne e l’oceano, ha esercitato una profonda influenza sulla sua sensibilità artistica. Fin da giovane, Fosse ha mostrato un interesse per la letteratura e la musica, studiando letteratura comparata presso l’Università di Bergen.
Sebbene cresciuto in una società culturalmente luterana, Fosse si è progressivamente allontanato dalla religione istituzionale durante l’adolescenza, sviluppando una visione esistenziale del mondo. Tuttavia, questa distanza dalla religione organizzata non ha mai significato un abbandono del senso del sacro. Al contrario, la ricerca del divino è stata una costante nella sua vita, anche durante i periodi più bui.
La carriera di Jon Fosse è iniziata negli anni ’80 con la pubblicazione del suo primo romanzo, “Raudt, svart” (Rosso, nero), che ha segnato l’inizio di un percorso di esplorazione del linguaggio e delle emozioni umane. Negli anni successivi, Fosse si è dedicato al teatro, diventando uno dei drammaturghi più rappresentati al mondo. Le sue opere teatrali, caratterizzate da dialoghi essenziali e pause cariche di significato, sono state accolte con entusiasmo sia in Europa che negli Stati Uniti.
L’opera di Fosse si distingue per la sua capacità di catturare l’invisibile: i suoi personaggi spesso si trovano in situazioni ordinarie, ma attraverso il ritmo e la struttura del testo emerge una dimensione trascendente.
La conversione di Jon Fosse al cattolicesimo, avvenuta nel 2012, ha sorpreso molti osservatori, ma per lo scrittore è stata una naturale evoluzione del suo percorso spirituale. Dopo anni di ricerca interiore e di lotta con il senso del vuoto, Fosse ha trovato nel cattolicesimo una risposta al suo bisogno di trascendenza e di comunione con il divino.
In un’intervista, Fosse ha dichiarato che la sua conversione non è stata un evento improvviso, ma il risultato di un lungo processo di riflessione e preghiera. Il cattolicesimo gli ha offerto una dimensione sacramentale della fede, che ha trovato particolarmente affine alla sua sensibilità artistica. La liturgia, con il suo ritmo e la sua ritualità, rispecchia il linguaggio poetico e teatrale di Fosse, dove il non detto e il simbolico assumono un ruolo centrale.
I drammi di Fosse sono spesso ambientati in spazi indefiniti, dove il tempo sembra sospeso e i personaggi si muovono in una dimensione di attesa. Quest’attesa, che ricorda l’opera di Beckett, è però intrisa di una tensione spirituale. In testi come “Qualcuno arriverà”, il desiderio di connessione e la paura dell’ignoto si intrecciano, creando un’atmosfera mistica.
Nella sua narrativa, Fosse esplora temi come la memoria, la perdita e la redenzione. La sua opera più ambiziosa, “Septologia”, è un ciclo di sette romanzi che racconta la vita di un pittore in dialogo con Dio. Scritta in una prosa fluida e priva di punteggiatura tradizionale, “Septologia” è una meditazione sull’essere e sul tempo, dove la preghiera diventa parte integrante della narrazione.
Il minimalismo di Jon Fosse non è solo una scelta stilistica, ma una vera e propria visione del mondo. Eliminando il superfluo, Fosse riesce a mettere in evidenza l’essenziale, creando uno spazio in cui il lettore o lo spettatore può entrare in contatto con il sacro.
La sua scrittura, con le sue ripetizioni e i suoi silenzi, evoca la liturgia cristiana, dove ogni parola e ogni gesto hanno un significato profondo. In questo senso, Fosse può essere considerato un autore profondamente spirituale, il cui minimalismo è un riflesso della sua fede.
Dopo la sua conversione, Fosse ha spesso descritto la vita come un pellegrinaggio verso Dio. Questa metafora si riflette nelle sue opere, dove i personaggi sono spesso in viaggio, alla ricerca di un senso o di una riconciliazione.
Fosse non si considera un autore religioso in senso stretto, ma la sua opera è attraversata da una tensione verso il sacro che lo rende una figura unica nel panorama letterario contemporaneo.
L’opera di Jon Fosse è una testimonianza della possibilità di trovare il sacro nel quotidiano, di trasformare l’ordinario in straordinario attraverso la parola. La sua conversione al cattolicesimo non è solo un evento personale, ma un elemento chiave per comprendere la profondità della sua ricerca artistica e spirituale.
Nel mondo contemporaneo, dove il sacro è spesso relegato ai margini, Fosse ci invita a riscoprire il divino nella nostra vita, ricordandoci che il mistero e la bellezza sono ovunque, se solo sappiamo ascoltare.
Jon Fosse, premio Nobel per la letteratura 2023, nel saggio “Il mistero della fede” racconta il suo rapporto con il divino
Il norvegese Jon Fosse è una delle voci maggiormente spirituali e mistiche della poesia e della drammaturgia contemporanea. Per la sua vasta produzione, che spazia dai drammi teatrali, alle composizioni poetiche ai romanzi, nel 2023 è stato insignito del premio Nobel per la Letteratura con la seguente motivazione: «Per la sua drammaturgia e la sua prosa innovative che danno voce all’indicibile».
Fosse, nella sua carriera più che quarantennale, ha sempre cercato di indagare quanto c’è di più misterioso, profondo e sacro nell’essere umano. Ha scandagliato le paure e i dubbi che accompagnano uomini e donne e non ha mai avuto timore di affrontare tematiche oggi spesso considerate antiquate come la ricerca del divino, la fede, la certezza o l’incertezza dell’esistenza di Dio. Nel saggio-intervista “Il mistero della fede” (Baldini+Castoldi, 2024, pp. 176) Fosse dialoga con il teologo Eskil Skjeldal proprio su queste tematiche, raccontando la sua conversione al cattolicesimo – avvenuta quando lo scrittore aveva più di cinquant’anni – alla luce della sua esperienza umana. Una esperienza fatta di incontri mistici, dubbi, sofferenza, alcolismo, amore senza limite per la scrittura e per la capacità che hanno le parole di dare un senso ai pensieri, alle emozioni e al nostro io più profondo.
Nella parola poetica, nell’arte, nella letteratura Fosse ha ritrovato spesso e continua ritrovare la voce di Dio. Un Dio che sussurra, che è onnipresente più che onnipotente, che, come alito di vento nel deserto, soffia piano, a volte quasi impercettibile, ma soffia in maniera costante, infinita. Un Dio, quello di Fosse, che rimane un mistero per l’essere umano, ma che si manifesta nei momenti più inaspettati come racconta il grande drammaturgo: “«a mia fede è legata al dubbio e alla disperazione. E la disperazione è di nuovo legata alla sofferenza e al dolore, alla morte. La crocifissione, la croce, prende su di sé la sofferenza trasformandola in qualcosa che non è sofferenza. Perché dove la disperazione raggiunge il limite, lì c’è Dio. Sono contrario a usare lettere maiuscole, a sottolineare in grassetto. Ma questa frase averi voluto scriverla in grassetto, quindi la ripeto: dove la disperazione raggiunge il limite, lì c’è Dio. Questa è la mia esperienza».
Una esperienza che Fosse racconta con sincerità disarmante, tralasciando ogni retorica e spazzando via ogni retaggio di “incenso e sacrestia”. Lo scrittore norvegese è, infatti, un credente che rifugge gli eccessi del dogmatismo, anche se comprende che molti esseri umani hanno bisogno di dogmi, regole, liturgie fisse. È un cattolico rispettoso del magistero della Chiesa, ma anche critico rispetto a quelle scelte dell’istituzione che non lo convincono e che non condivide. Dimostra soprattutto una straordinaria umilità nel mostrarsi prima di tutto come un essere umano fragile, incerto, errabondo, che ha trovato nella fede una “guida” con cui percorrere con maggiore serenità e coraggio le vie tortuose dell’esistenza.
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