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Un incontro «informale», ma fra cancellerie europee in fibrillazione. Un incontro parigino a porte chiuse, anche sull’ipotesi scottante di un invio di truppe “di pace” in Ucraina, con Francia e Gran Bretagna “possibiliste” e il freno deciso di Germania, Italia, Spagna e Polonia. Un inedito “club degli 8” riunito precipitosamente, per reagire al colpo di scena diplomatico rappresentato dal vertice russo- americano di oggi a Riad, in stile Guerra fredda, senza inviti per l’Ucraina aggredita.
All’Eliseo, tutto scatta a metà pomeriggio, dopo un atto dovuto per evitare che Washington possa bollare la riunione parigina come una «congiura» in seno alla Nato: una telefonata fra il presidente americano Donald Trump e l’omologo francese Emmanuel Macron. Prima delle 16, con aria grave, inaugura gli arrivi il premier britannico Keir Starmer, quasi per simboleggiare un eventuale riavvicinamento “obbligato” Uk-Ue e fra i due Stati continentali con deterrenza nucleare. Sfila poi l’olandese Mark Rutte, a capo della Nato: colui che a Parigi alcuni vedrebbero già potenzialmente nel ruolo di regista della concertazione politica in gestazione, con o senza una proiezione militare in Ucraina per il “mantenimento della pace”.
Anche gli altri, nell’ordine, si lasciano fotografare con Macron: Dick Schoof (Olanda), il portoghese Antonio Costa, a capo del Consiglio europeo, il premier spagnolo Pedro Sanchez, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, agli sgoccioli prima delle elezioni cruciali che dovrebbero allontanarlo dal potere, la premier danese Mette Frederiksen, appena prima di Ursula von der Leyen, al timone della Commissione Ue. Con qualche minuto di ritardo, staccato dagli altri ma accolto lo stesso da un Macron che torna all’ingresso, arriva il polacco Donald Tusk, l’uomo che rivendica più spesa militare in tutta l’Unione.
Quando i corazzieri della Guardia Repubblicana sono già partiti, per ultima, arriva la Lamborghini con a bordo la premier Giorgia Meloni giunge verso le 16 e 45. La riunione è già avviata e salta così la foto di rito con il padrone di casa. Per tutto il pomeriggio, si scrutano le pareti dietro cui si svolge un incontro definito in Francia da alcuni come «della nuova era», o della « post-amicizia con gli Usa», o ancora «della profezia di Charles de Gaulle», con riferimento a una vecchia massima dell’ex presidente francese: «Un giorno, gli americani se ne andranno».
Di certo, una riunione attraversata da una forte tensione, fra cancellerie non proprio all’unisono, soprattutto sul punto più scottante. Evocare oggi lo schieramento di truppe è «altamente inappropriato », ha detto Scholz al termine, davanti alla Tour Eiffel, sottolineando che non dovrà esserci «alcuna divisione sulla sicurezza tra Europa e Stati Uniti». Dichiarazioni certamente non smentite da Roma e Varsavia, nella stessa giornata in cui, fin dalle ore prima della riunione, si è delineato il fronte dei “possibilisti” all’invio di truppe in chiave di “mantenimento della pace”.
Per Starmer, il ruolo di primo piano di Londra nella crisi «significa anche essere pronti e disposti a contribuire alle garanzie di sicurezza per l’Ucraina mettendo le nostre truppe sul terreno, se necessario». Una posizione di Londra in linea con quella di Parigi. Si dice pronta pure l’Olanda, ma solo al fianco degli Usa. Per Copenaghen, in ogni caso, occorre «aumentare il sostegno militare all’Ucraina, produrre di più e farlo più velocemente ». Fra i membri Ue ieri assenti, poi, pure Stoccolma è fra i “possibilisti”. Fra i punti in discussione a Parigi, anche le modalità per sbloccare fondi volti al rilancio della spesa militare Ue. Al termine della riunione, significativamente, nessun comunicato congiunto, nonostante l’attesa febbrile attorno all’Eliseo. Sullo sfondo, pure interventi dissonanti, talora da membri della stessa Ue, a cominciare dai vertici ungheresi del premier “trumpista” Viktor Orban. Frontale l’attacco, per bocca del capo della diplomazia, Péter Szijjártó: «I leader europei che sostengono la Guerra e sono contrari a Trump si riuniscono oggi a Parigi per bloccare gli sforzi di pace in Ucraina».
Parole da un esecutivo che dice di schierarsi con «gli sforzi di pace » americani. Nelle stesse ore, il Cremlino, attraverso il portavoce Dmitry Peskov, ha dichiarato di non disdegnare la riunione parigina, se convergente con la “chiusura” del conflitto promossa da Mosca. Ma da Parigi, Scholz ha replicato martellando che « non può esservi una pace imposta che l’Ucraina deve accettare». A spalleggiarlo, pure lo spagnolo Sanchez, che ha invocato «una pace giusta per l’Ucraina».
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