Sanità, gli italiani pagano di tasca loro 40 miliardi all’anno. I residenti della Lombardia spendono più di tutti: 1.000 euro a testa

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Ultim’ora news 18 febbraio ore 20

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Gli italiani hanno speso 40,6 miliardi di tasca loro per avere accesso a cure sanitarie, una crescita del 26,8% negli ultimi dieci anni. Un flusso di spesa che rappresenta il 23% della spesa sanitaria totale in Italia nel 2023 che ha raggiunto 176,1 miliardi, di cui appunto 130,3 miliardi di spesa pubblica (74%). È quanto evidenzia il Report dell’Osservatorio Gimbe sulla spesa sanitaria privata in Italia nel 2023, commissionato dall’Osservatorio Nazionale Welfare & Salute (ONWS) e presentato al Cnel.

L’Italia resta alquanto lontana dalla soglia suggerita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: per garantire equità e accessibilità alle cure, la spesa out-of-pocket non dovrebbe superare il 15% della spesa sanitaria totale.

Per di più, un cittadino italiano spende in media di tasca sua 1.065 euro all’anno, un valore che non solo supera la media Ocse ma anche quella dei Paesi Ue con una differenza di oltre 200 euro. Tra gli stati europei solo Portogallo, Belgio, Austria e Lituania spendono più dell’Italia.

Guardando alle spese sanitarie in detrazione nelle dichiarazioni dei redditi, il valore della spesa pro-capite scende a 730 euro in quanto non tutti presentano dichiarazione o portano in detrazione tutte le spese o non hanno capienza fiscale per parte o tutte le spese sanitarie. Un valore medio è ottenuto in un range che va dai 1.023 della Lombardia ai 377 della Basilicata.

Le regioni con migliori performance nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea) registrano una spesa pro-capite superiore alla media nazionale, evidenzia il rapporto Gimbe, mentre quelle del Mezzogiorno e/o in Piano di rientro si collocano al di sotto. Quindi la spesa out-of-pocket non rappresenta un indicatore affidabile per valutare le mancate tutele pubbliche, sia perché circa il 40% riguarda prestazioni a basso valore ossia non apporta reali benefici alla salute sia perché è frenata dall’incapacità di spesa delle famiglie e dalla rinuncia a prestazioni per reali bisogni di salute.

In particolare, nel 2023 circa 4,5 milioni di persone hanno dovuto rinunciare a visite o esami diagnostici, di cui 2,5 milioni per motivi economici, con un incremento di quasi 600.000 persone rispetto al 2022.

Ancora marginale il ruolo della sanità integrativa

Nonostante l’elevata spesa privata per la sanità, la spesa intermediata attraverso fondi sanitari, polizze individuali e altre forme di finanziamento collettivo rimane limitata: nel 2023 ammonta a 5,2 miliardi di euro, ovvero il 3% della spesa sanitaria totale e l’11,4% di quella privata.

L’Italia resta così nettamente indietro rispetto agli altri Paesi europei per quanto riguarda la spesa intermediata: con un valore pro-capite di circa 140 euro, un dato che è meno della metà della media Ocse (285) e ben al di sotto della media dei paesi Ue (250). Tra gli stati membri dell’UE, ben 12 spendono più dell’Italia, con differenze che vanno dai +32 euro della Danimarca a +658 euro dell’Irlanda.

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Dal report Gimbe emergono inoltre due dati di particolare rilevanza. Il primo è che il 31,6% della spesa intermediata viene assorbito dai costi di gestione, mentre poco meno del 70% è destinato a servizi e prestazioni per gli iscritti. Il secondo evidenzia che tra il 2020 e il 2023 i fondi sanitari integrativi hanno progressivamente aumentato le risorse destinate all’erogazione di prestazioni, riducendo il margine rispetto alle quote incassate.

La sanità integrativa «potrà e dovrà certamente crescere in platea e in contributi», ha commentato Ivano Russo, presidente dell’Onws. In platea sarà «fondamentale strutturare un’azione seria di recupero dell’elusione contributiva da un lato, che in Italia purtroppo sfiora il 40% degli aventi diritto, e dall’altra estendere ancora alle realtà contrattuali che non prevedono lo strumento del welfare sanitario».

Per quanto riguarda i contributi «investire più risorse, sottraendo la parte salariale, sarà sicuramente complicato». E tuttavia, precisa Russo, «non c’è altra strada per far crescere questo settore che comunque, lo ricordo, a fronte di una contribuzione media di circa 150 euro all’anno, quindi meno di un abbonamento Netflix, garantisce ai lavoratori e alle rispettive famiglie, tutele sanitarie anche con piani che hanno un valore di mercato di 3/4mila euro». (riproduzione riservata)



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