Settimana dedicata alle vittime del colonialismo italiano

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L’ascaro. Una storia anticoloniale, di Ghebreyesus Haile (Tamu, 2023), è un stato scritto nel 1927 e rappresenta una testimonianza unica ed originale sul colonialismo italiano. È stato presentato alla Biblioteca Nelson Mandela nell’ambito del progetto “Memorie decoloniali” in occasione della settimana dedicata alle vittime del colonialismo italiano, che ricorre dal 12 al 19 febbraio.

Descrivendo le motivazioni, le aspettative e la sofferenza dei giovani eritrei che volontariamente decidevano di arruolarsi come ascari, ossia mercenari, nell’Esercito Regio e combattere in Libia per la conquista imperialista dei loro oppressori, questo breve romanzo regala uno sguardo sul colonialismo italiano osservato da chi lo ha subito e rappresenta sia una rara fonte storica che il controcampo alla propaganda imperialista.

Quella dal 12 al 19 febbraio è considerata la settimana dedicata alle vittime del colonialismo italiano, quando ricorre il triste anniversario del massacro di oltre tremila civili etiopi per mano dell’esercito italiano, avvenuta ad Addis Abeba proprio il 19 febbraio del 1937, ricordato come Yekatit 12, perché nel calendario etiope corrisponde al 12 febbraio. Quel giorno l’esercito italiano aprì il fuoco su una folla composta principalmente da anziani, donne e bambini che si erano radunati per celebrare la nascita del primogenito del Principe Umberto di Savoia: erano esplose alcune bombe che avevano provocato qualche morto e alcuni feriti. La reazione dell’esercito fu immediata e violentissima e proseguì per i tre giorni successivi, mettendo a ferro e fuoco la città e provocando un totale di almeno 20.000 vittime.

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Yekatit 12 è ritenuto uno dei più violenti crimini commessi durante il periodo coloniale italiano e appartiene ad un passato imperialista che nel nostro Paese non è mai stato veramente affrontato. La storia coloniale italiana nel Corno d’Africa, iniziata nel 1882, continuata nel periodo fascista e proseguita fino agli anni ’60 del secolo scorso, non ha avuto in Italia uno spazio adeguato per la sua comprensione come invece è avvenuto nel Regno Unito, in Francia o in Belgio, non c’è stato un vero lavoro sulla memoria dei crimini commessi, come ha ricordato Sandro Triulzi, direttore dell’Archivio delle Memorie Migranti e moderatore dell’evento. “Un processo di autocritica mai affrontato che oggi, probabilmente, è in parte responsabile del proliferare di tante forme di razzismo e di un atteggiamento nei confronti dell’immigrazione disgiunto dalle ragioni storiche e dalle responsabilità del passato”.

 “L’ascaro. Una storia anticoloniale” è stato scritto quando l’Eritrea era soggetta al dominio coloniale italiano iniziato quarant’anni prima e l’autore è Ghebreyesus Hailu, un colto e poliglotta divenuto sacerdote a Roma. Narra le vicende di Tequabo, un diciottenne eritreo che decide di lasciare la sua terra ed i vecchi genitori per arruolarsi come volontario nell’Esercito Regio per combattere in Libia a fianco dell’Italia.

Voluta da Giolitti nel 1911 e proseguita fino al 1943, sebbene venisse chiamata “campagna di pacificazione” e giustificata come un atto di autodifesa, la guerra coloniale in Libia fu di fatto un’invasione, una brutale aggressione contro una popolazione spesso disarmata che cercava di difendere la propria terra e dove agli ascari veniva affidato il lavoro sporco. Trattati come con razzismo e crudeltà, gli ascari si trovavano a combattere i libici a fianco del loro comune aggressore, per difendere una terra che non era la loro. Provenivano numerosi da Etiopia, Eritrea ma anche Yemen, Sudan e Somalia, erano soldati coraggiosi, efficienti ed infaticabili e costavano poco. L’esercito rappresentava, in quelle zone, il principale fattore di mobilità sociale per giovani disoccupati, attratti non soltanto dal salario ma anche da promesse di gloria e di riconoscimento del proprio valore.

Come si legge nell’introduzione, questo breve romanzo rappresenta “una pietra miliare della letteratura contemporanea in lingua tigrina” e anche “uno dei testi più significativi prodotti da autori africani in età coloniale”, perché mette a fuoco due realtà contrapposte. Se da un lato offre una lucida critica alla violenza del colonialismo italiano, dall’altro è “una denuncia altrettanto lucida all’asservimento della popolazione eritrea al dominio coloniale”, assecondato passivamente e reso ancora più paradossale dall’adesione volontaria al progetto espansionistico dei propri aggressori.

Nel romanzo viene messo a fuoco proprio questo paradosso: nonostante fossero trattati come animali, costretti a marciare nel deserto senza acqua e riparo, lasciati morire sulla sabbia stremati, “gli ascari “non si erano spinti in queste terre per guadagnare due franchi, benché in cerca di un nome limpido e di gesta eroiche”.  Ma incrociare lo sguardo dei beduini che tenacemente difendevano la propria terra faceva provare loro vergogna perché, a differenza degli arabi, avevano “assistito in silenzio alla conquista del loro paese da parte degli italiani” e avevano lasciato le loro case “non per trarre un beneficio per sé o per il proprio paese, ma per sottomettere invece questi conterranei che, anche se distanti, erano pur sempre figli d’Africa”.

Questo tipo di auto riflessione sulla partecipazione delle colonie all’espansione imperialista è rara in epoca coloniale, ed infatti il romanzo verrà pubblicato solo nel 1950, perché sarebbe stato impensabile pensare che l’autore, sebbene ospite in Vaticano, avrebbe potuto portare in stampa un’opera dai toni così marcatamente anticoloniali in pieno regime fascista. Come ricorda Alessandro Volterra, in quel periodo le voci dei sudditi delle colonie italiane erano infatti ancora più rare che altrove, in quanto erano organizzate all’insegna di una rigida segregazione, dove l’accesso all’istruzione era consentito soltanto fino alla quarta elementare per ostacolare deliberatamente la formazione di un’élite locale.

Questa è una delle ragioni per cui in Italia manca una letteratura coloniale ma, ricorda Triulzi, scarseggia anche quella post-coloniale, “che ci avrebbe indotto a riflettere e a discutere i traumi ed il profondo razzismo di quel periodo, e che in qualche modo continua a condizionare lo sguardo attuale nei confronti dell’immigrato”.

Come si legge dalle note alla traduzione scritte da Alessandra Ferrini, il valore di questo testo non deriva perciò solo dalla sua importanza storica, ma perché invita a riflettere sulle conseguenze del colonialismo negli odierni equilibri geopolitici e “sulle potenziali ripercussioni che l’ampio utilizzo di reclute eritree nella repressione della resistenza libica ha potuto avere sulle successive relazioni tra libici ed eritrei”, mostrando come “la necropolitica sia il fattore primario di connessione tra il passato coloniale e le odierne politiche neoimperialiste nel Mediterraneo”.

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(19 febbraio 2025)

 

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