In serie A il Lecce è chiamato ad affrontare sfide impari contro club di proprietà straniere

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Che il Lecce sia diventato ormai un modello di calcio sostenibile in Italia è risaputo. Altro fiore all’occhiello del club giallorosso è la proprietà tutta salentina in una serie A (e ora anche in serie B e in C) in cui sono in continua crescita le proprietà straniere. Diventa quindi difficile per il Lecce riuscire a competere con club che hanno patrimoni immensi alle spalle. Di questo e di molto altro si è discusso ieri mattina nel corso della trasmissione “Giù la maschera”, in onda su Rai Radio Uno e condotta in studio da Marcello Foa. Sono intervenuti Giorgio Gandola, Marco Bellinazzo, giornalista del Sole24ore, Pippo Russo, giornalista e docente di sociologia dello sport presso l’Università degli studi di Firenze, e il presidente del club giallorosso, Saverio Sticchi Damiani che ha risposto con fermezza alla domanda sulla difficoltà di competere con club di proprietà di fondi stranieri e quindi di enormi disponibilità finanziarie. «È vero, la realtà dice che a volte è uno scontro impari per noi. Spesso non sappiamo nemmeno chi sono le proprietà che rappresentano questa o quell’altra compagine sociale perché ci sono passaggi, anche frequenti, da un fondo all’altro. Situazioni magari critiche sul piano finanziario, poi vengono in corsa ripianate o tramite dei subentri di altri soggetti della stessa natura, sempre fondi. Alla fine si spersonalizza molto il tema delle proprietà. Non si sa nemmeno bene chi si ha di fronte, quali potenzialità hanno i club con cui ci si misura e per questo, a volte, la sfida è impari proprio perché dall’altra parte poi magari ci sono dei club, non cito solo il Lecce, ce ne sono altri, composti da persone fisiche». E qui Sticchi Damiani ha introdotto l’argomento Lecce. «Noi non siamo solo salentini, siamo gente appassionata da sempre del Lecce e che dispone di mezzi che derivano dal gestire un’azienda calcistica che ha dei bilanci e rispetto a quei bilanci fanno degli investimenti proporzionati. Quindi è un po’ più facile decifrare chi è l’Unione Sportiva Lecce». 
«Poi c’è anche un altro aspetto – ha proseguito Sticchi Damiani -. A volte la sfida è impari non solo per i capitali ma per via di chi ha anche più voglia o capacità di indebitamento che determinate società, come il Lecce, non accettano di dover sopportare. Quindi, a volte la sfida è impari non solo perché davanti c’è qualcuno che ha più capitali ma ha più voglia o capacità di indebitamento. E questo è uno dei temi più critici in questo momento del calcio italiano. Rispetto a questo, oggettivamente la lotta è impari e quindi ogni giorno per colmare questo gap cerchiamo di mangiarci la testa e di compiere meno errori possibili». Chiamato ad esprimersi sul perché grandi gruppi, soprattutto americani e del golfo arabo, Paesi che non hanno una tradizione con il calcio, hanno deciso di investire così pesantemente nel calcio italiano, Saverio Sticchi Damiani ha detto che «bisogna distinguere tra i grandi gruppi di investimento ed i mecenati stranieri, o i ricchi imprenditori stranieri che decidono di investire nel calcio italiano, che sono differenti. La categoria del ricco imprenditore straniero che si innamora di un’area geografica, di un posto e che decide di investire sul calcio, io lo ritengo un esempio virtuoso che è utile per il nostro calcio. E la spiegazione è che paradossalmente nel nostro calcio, comprare una squadra per determinati livelli di imprenditoria costa poco. Paradossalmente costa poco. Questo riguarda a mio avviso una parte sicuramente virtuosa che è quello dell’imprenditore, e ne abbiamo diversi in questo momento in Italia, che si innamorano e danno un contributo. Poi c’è una parte relativa ai fondi, che è legata ad acquisire società che hanno un alto livello di indebitamento. In questo, caso il vantaggio è comprare un club ad un prezzo basso perché gran parte del prezzo è determinato da un livello alto di indebitamento, che quindi viene scomputato dal prezzo di acquisto, per poi provare a completare un’opera di risanamento parziale per poi venderlo ancora e trarne dei benefici». Del suo Lecce, il presidente ha detto che «il nostro è un percorso in cui non sono arrivati solo i risultati sportivi, ma c’è stato un consolidamento di una società che si è strutturata sugli impianti sportivi, sul settore giovanile, sulla politica dei giovani e anche di bilanci, devo dire, sani ed equilibrati».

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