«La cultura palestinese è un collante, e fa paura»

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Non può ancora andare alla sua libreria, l’Educational Bookshop in via Salah Edin a Gerusalemme Est, per ordine dei giudici e i cinque giorni trascorsi agli arresti domiciliari non li ha ancora digeriti. Però Mahmoud Muna è più sereno rispetto a qualche giorno fa, quando ha dovuto trascorrere, come il nipote Ahmad, due notti in prigione e subire un processo per direttissima sulla base di accuse vaghe legate ai libri, in inglese e arabo, che espone e vende. «Ahmad ed io abbiamo appreso dai media che eravamo accusati prima di istigazione, poi di turbativa dell’ordine pubblico, ma la verità è che siamo stati interrogati dalla polizia una sola volta e per 15 minuti. E non ci è stato contestato nulla di preciso. Siamo stati detenuti senza sapere perché», ci dice Mahmoud, parte di una famiglia che dedica ai libri e alla cultura gran parte del suo tempo. A Gerusalemme studiosi, giornalisti, diplomatici, operatori umanitari e tante altre persone hanno come punto di riferimento l’Educational Bookshop che dispone di centinaia di libri sul Medio oriente, la Palestina e Israele, di autori arabi e occidentali, palestinesi ed ebrei, oltre a proporre frequenti eventi culturali. Eppure, a inizio mese, sei poliziotti sono arrivati ​​ai due punti vendita del negozio e per ore hanno ispezionato gli scaffali, sfogliando libri e usando i telefoni per scansionare e tradurre titoli «sospetti». Persino il quotidiano israeliano Haaretz ha attirato la loro attenzione. «Non sapevano inglese e arabo, agivano senza avere una idea precisa. Hanno portato via 250 libri in grandi sacchi della spazzatura, alcuni non ci sono stati ancora restituiti. Si sono concentrati su di un libretto da colorare per bambini, dal titolo ‘Dal fiume al mare’, che non era neppure in vendita, non avevamo ancora preso una decisione su di esso». «Mi hanno chiesto cosa faccio nella vita, ho risposto che vendo libri e preparo il caffè per le persone che vogliono sfogliarli nella libreria. Poi mi hanno portato via senza accusarmi di nulla», continua Mahmoud Muna che abbiamo intervistato a Gerusalemme.

Mahmoud Muna (foto dell’Educational Bookshop)

A distanza di giorni, come vedi il tuo arresto e i suoi riflessi.

Ho capito che all’Educational Bookshop siamo sulla strada giusta e che dobbiamo proseguire il nostro impegno come librai e produttori di cultura. Mi ha convinto di ciò il sostegno travolgente che abbiamo ricevuto da tutti, dai nostri amici e dalle nostre famiglie e dalla famiglia allargata dei visitatori palestinesi e stranieri della libreria. Abbiamo ricevuto solidarietà dall’Europa, dall’America e da tanti ebrei, a conferma della nostra importanza e del modo in cui le persone ci vedono, anche più di quanto pensassimo. Le minacce all’Educational Bookshop riaffermano l’importanza della cultura. Le dittature sono così preoccupate dai libri, dalla letteratura e dalle opere scritte perché uniscono le persone e creano un pensiero critico. Noi sfidiamo la narrazione israeliana, e anche quella palestinese. E più di prima crediamo di avere un impegno nei confronti della nostra società e continueremo. Se Israele vuole iniziare a censurare i libri, che ci faccia avere un elenco di ciò che è consentito e di ciò che è vietato leggere.

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Prima di voi, la polizia aveva arrestato il proprietario di una libreria nella città vecchia di Gerusalemme con l’accusa di vendere testi che incitano alla violenza. Le librerie saranno sempre di più un obiettivo?

Non pensiamo di rappresentare l’inizio di un attacco alla vita e alle istituzioni culturali palestinesi. Siamo da qualche parte nel mezzo, perché c’è già stata negli anni una aggressione a molte istituzioni culturali, al teatro Hakawati, al centro Yabous, a film e altre produzioni. (Dopo il 7 ottobre 2023) è stata detenuta per giorni anche una famosa cantante (Dalal Abu Amneh di Nazareth, accusata di incitamento all’odio per un post nei social, ndr). Il raid alla nostra libreria, quindi, è parte di una strategia che esisteva già. E mi auguro che sia l’ultimo e che abbia termine la limitazione del diritto di espressione per i palestinesi e della libertà di operare dei nostri centri culturali a Gerusalemme e in ogni luogo.                                                                                                                                                                                                                                             I palestinesi da tempo investono nella difesa della loro identità culturale                             

Sì, soprattutto negli ultimi 20 anni. Laddove l’identità politica si è sfaldata per divisioni e scontri interni, è intervenuta quella culturale a fare da collante tra tutti i palestinesi attraverso la letteratura, l’arte, il cinema, la danza, il teatro e molto altro. E il fatto che si provi ad ostacolare e colpire la nostra produzione culturale è la dimostrazione della sua importanza.



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