Le meraviglie in mare e in terra del patrimonio naturale italiano

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Il granchio blu ha un sapore delicato, tendente al dolciastro: una carne, la sua, con una consistenza tenera che ricorda un po’ quella del gambero o dell’astice. Ai Caraibi o lungo la costa atlantica degli Stati Uniti – è da lì che proviene – è assai comune, tanto da essere chiamano anche Atlantic blue crab o Maryland blue crab. Naturale che sia in pole position nelle ricette culinarie locali: nelle zuppe, nelle insalate oppure cotto al vapore, come nella tradizionale Steamed Crabs Maryland Style che tra gli altri ingredienti, oltre a «qualche segreto di famiglia per renderlo davvero squisito», prevede birra, salsa Old Bay Seasoning (a base di sale al sedano, spezie, peperone) e paprika. Un’«innocua» presenza autoctona, quindi, questo crostaceo conosciuto pure come granchio reale blu o granchio nuotatore.

EPPURE NEL MEDITERRANEO, dove pare sia arrivato negli anni Cinquanta, è minaccioso e dannosissimo. In particolare sulla costa Adriatica dove sta distruggendo l’ecosistema di mari, laghi e lagune: può vivere fino a 4 anni, si riproduce velocemente e si nutre voracemente di vongole, cozze, orate, anguille e spigole causando danni irreversibili all’economia locale legata alla pesca. Nella foto a colori scattata dal fotografo naturalista Marco Colombo le sue grandi chele dentellate di un blu elettrico sono in primo piano, pronte all’azione.

OSSERVARE LA NATURA da vicino ha un potere quasi immaginifico, ma certamente nel contesto della mostra Il paese della biodiversità. Il patrimonio naturale italiano, organizzata dal National Geographic Italia e National Biodiversity Future Center (NBFC), primo centro di ricerca nazionale sulla biodiversità in collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche presso la sede del CNR a Roma (fino al 30 aprile) è anche uno strumento didattico per conoscere, approfondire e riflettere sulla complessità stessa del patrimonio della biodiversità.

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OBIETTIVO DEL PROGETTO è la sensibilizzazione del pubblico rispetto a tematiche di estrema urgenza, come quella che il National Biodiversity Future Center ha identificato come una delle sfide cruciali per il nostro paese e, con uno sguardo più ampio, per il bacino del Mediterraneo, ovvero la conservazione della biodiversità vegetale e animale all’interno di un ecosistema compromesso. La fotografia diventa, quindi, la chiave d’accesso ad un primo livello di lettura che va oltre il soggetto inquadrato.

NELLA CINQUANTINA di immagini fotografiche, attraverso un percorso che dal corridoio digitale porta all’ambiente mare, poi all’ambiente terra per poi concludersi con la sezione dedicata alle piante, sono ritratte specie innocue e pericolose, esemplari comuni e rari. C’è una berta maggiore fotografata in Sardegna, il cui verso inquietante è detto anche «canto delle sirene», così come un gallo cedrone con le sue bellissime piume gialle e nere che può attaccare l’uomo con becco e unghie quando si sente in pericolo: una specie a rischio d’estinzione a causa della deforestazione e del bracconaggio. Quanto all’orchidea piramidale rosa è un’elegantissima pianta con rizotuberi globosi e fusto flessuoso che cresce nei terreni aridi e semiaridi; tutte le specie, animali e vegetali – in Italia si trovano oltre 58 mila specie faunistiche e 6.700 specie di piante – dall’orso bruno marsicano alla gorgonia rossa, dalla vipera dal corno alle lucciole, dall’euforbia arborea al pino loricato, dai polmoni di mare alle lucciole sono state riprese nel loro habitat.

NELLO SGUARDO DEI TRE fotografi del collettivo The Wild Line (Marco Colombo, Bruno D’Amicis e Ugo Mellone), autori delle fotografie, è evidente la ricerca di una qualità estetica: collaborano tutti con la rivista National Geographic e hanno conseguito il premio Wildlife Photographer of the Year. Ma ciò che non sfugge all’osservatore è la conoscenza approfondita dell’argomento di cui ciascuno si fa portavoce: Marco Colombo ha una laurea in Scienze Naturali e si occupa di divulgazione scientifica; Bruno D’Amicis è laureato in Scienze Biologiche e Ugo Mellone ha ottenuto il dottorato di ricerca studiando le immigrazioni di rapaci tra Mediterraneo e Africa.



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