Centri di facilitazione digitale: scuole di vita e inclusione

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Una maestra desidera acquisire rapidamente familiarità con il tablet per un progetto didattico con la sua classe; una mamma non riesce più a usare il registro elettronico perché deve cambiare la password; un pensionato con invalidità ha bisogno di assistenza per richiedere l’abbonamento ai mezzi pubblici, una giovane nonna non riesce a usare in farmacia le ricette mediche “dematerializzate”.

Questi sono solo alcuni dei bisogni che i Centri di facilitazione digitale romani affrontano ogni giorno. È ancora presto per un primo bilancio sul loro funzionamento (sono stati inaugurati lo scorso luglio), ma emergono già alcune indicazioni importanti sulla capacità di rispondere a bisogni diversificati, più o meno complessi. Molti cittadini si rivolgono al Centro per un problema specifico che richiede una soluzione mirata, ma altrettanti si appassionano e ritornano.

L’effetto scuola: un luogo che rigenera l’abitudine all’apprendimento

La metà dei primi Centri di facilitazione digitale nati nel territorio di Roma Capitale sono collocati all’interno delle scuole (13 su 25). Per quelli gestiti dalla Fondazione Mondo Digitale la percentuale è molto più alta, 12 su 14. Si tratta di una scelta strategica con impatto a medio e lungo termine. Questo posizionamento non solo facilita la loro accessibilità grazie alla capillarità delle istituzioni scolastiche sul territorio, ma ha anche un valore simbolico e pratico. Tornare in una scuola rappresenta per molti adulti un modo per riscoprire l’apprendimento come esperienza quotidiana. E la “frequenza” genera un “effetto scuola”, un circolo virtuoso che stimola non solo la soluzione di problemi pratici legati all’alfabetizzazione digitale, ma anche un desiderio più ampio di migliorare il proprio livello di conoscenza. Molti cittadini, inizialmente spinti solo da necessità immediate, ritornano poi per approfondire le loro competenze e scoprire nuovi strumenti.

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Un giovane facilitatore ci racconta il caso emblematico di una coppia di pensionati che sono diventati “clienti” abituali: stanno scoprendo nuove funzionalità dello smartphone, che prima usavano solo in modo basico soprattutto per telefonare. Non vogliono gravare troppo sui figli e al centro hanno trovato un luogo per recuperare l’abitudine e il piacere di usare la tecnologia in autonomia, nonché di aggiornarsi. “La vivacità e l’interesse che li anima li rende partecipanti attenti, prendono appunti, fanno esercizi a casa di propria spontanea volontà, proprio come a scuola”, spiega con un certo stupore il giovane facilitatore. Potremmo dire che grazie al Centro hanno riattivato una sorta di “tensione cognitiva”, chiave di ogni processo di apprendimento soprattutto in età adulta, quella che cercava il maestro Manzi di “Non è mai troppo tardi”: la spinta a voler sapere, il desiderio che motiva a conoscere la realtà, a porsi nuove domande e a cercare risposte.

L’erosione delle competenze e il ruolo dei Centri

Sollecitare la spinta a voler sapere è fondamentale, perché secondo l’ultima Indagine sulle competenze degli adulti (Oecd, 2024), il 35% dei cittadini tra 16 e 65 anni si colloca al livello 1 o inferiore nei domini di literacy, numeracy e problem solving adattivo​. Questo significa che oltre un terzo della popolazione adulta fatica a leggere testi complessi, fare calcoli base o risolvere problemi con più variabili. Inoltre, un dato allarmante è l’ampio divario generazionale: gli adulti italiani di età compresa tra 55 e 65 anni ottengono punteggi significativamente inferiori rispetto ai più giovani, con una perdita media di competenze progressiva nel tempo.

La regola del meno cinque

Tullio De Mauro, con la sua “regola del meno cinque”, ci ricordava che le competenze non praticate si deteriorano rapidamente, con una perdita stimata di circa cinque anni di studio. In Italia oltre il 26 per cento degli over 60 ha come titolo di studio più alto la licenza media. E poco più del 44 per cento ha solo la licenza elementare o nessun titolo. Questo significa che, con il fenomeno dell’analfabetismo di ritorno, la quota dei cittadini più maturi senza competenze sufficienti per partecipare alla vita comune può superare il 70 per cento. Ma una società come può definirsi democratica senza istruzione?

Su questa sfida è da leggere il paragrafo “La fabbrica degli ignoranti” curato dagli analisti del Censis nel Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2024: “Benché in Italia gli analfabeti propriamente detti siano ormai una esigua minoranza (solo 260.000), mentre i laureati sono aumentati fino a 8,4 milioni, ovvero il 18,4% della popolazione con almeno 25 anni (erano il 13,3% nel 2011), la mancanza di conoscenze di base rende i cittadini più disorientati e vulnerabili”. I Centri di facilitazione digitale possono rappresentare un argine fondamentale contro questo processo. La loro funzione non si limita all’acquisizione di competenze digitali, ma agisce come stimolo per mantenere vive e aggiornate le competenze di base.

Un nuovo ruolo culturale per le scuole

Il posizionamento dei Centri nelle scuole rivela una potenzialità culturale oltre che educativa. Le scuole tornano a essere luoghi centrali nella vita della comunità, aperte non solo agli studenti ma anche agli adulti, e si trasformano in hub di apprendimento permanente. Questa strategia incide profondamente sulla percezione dell’educazione, non più vista come esclusivo appannaggio delle fasce giovani, ma come un diritto e una necessità per tutte le età.

Un percorso di inclusione e cittadinanza

L’alfabetizzazione digitale è, oggi, una porta d’accesso alla cittadinanza attiva. Usare i servizi digitali, come l’app IO o le credenziali Spid, significa poter accedere ai propri diritti, dalla salute alle agevolazioni fiscali. Per molte persone, però, la tecnologia rappresenta ancora una barriera. I Centri di facilitazione digitale non solo forniscono assistenza pratica, ma offrono un’opportunità di empowerment. Un altro aspetto da non trascurare è il sentimento di scoraggiamento e di frustrazione che provano soprattutto i cittadini più anziani di fronte a una sorta di burocrazia digitale “a spirale” o circolare: devi già possedere le competenze digitali per le quali stai chiedendo aiuto. Un paradosso che rende l’accesso più difficile proprio a chi ne ha più bisogno. Ricordo una conversazione a uno sportello dello Poste: una signora con poca familiarità con le tecnologie chiedeva aiuto per attivare lo Spid; l’impiegata le rispondeva che doveva prendere appuntamento online. La signora replicava che non sapeva muoversi online e proprio per questo aveva bisogno di un aiuto. E l’impiegata, senza ascoltare davvero il problema, le ripeteva che non c’era problema a fornirle aiuto, bastava prendere un appuntamento… online!

La funzione sociale dei Centri è quindi evidente: combattono l’esclusione digitale e culturale, promuovono l’autonomia, rafforzano il legame tra i cittadini e le istituzioni, “riparando” anche le relazioni interrotte dalla burocrazia. Non è un caso che molti facilitatori raccontino come i partecipanti, anche i più scettici, si entusiasmino quando riescono a padroneggiare strumenti tecnologici che prima ritenevano inaccessibili. E soprattutto quando trovano un aiuto “in carne e ossa” che ascolta, si prende carico delle difficoltà e della frustrazione tanto da riuscire a pacificare anche i cittadini più “arrabbiati” con l’amministrazione.

Verso un nuovo modello di apprendimento continuo

In un contesto in cui l’Italia fatica a raggiungere la media Ocse nelle competenze degli adulti, i Centri di facilitazione digitale rappresentano una risposta concreta e scalabile. Grazie alla loro collocazione nelle scuole, favoriscono non solo la diffusione capillare delle competenze digitali, ma contribuiscono a costruire una società più equa e consapevole, dove l’apprendimento è un percorso continuo e intergenerazionale. Tornare a scuola non significa solo risolvere un problema digitale: è l’inizio di un viaggio verso una cittadinanza più piena e partecipata. L’educazione non ha età e che, con il giusto supporto, ognuno può tornare a sentirsi protagonista del proprio futuro.

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